Attraverso la voce di Mussolini, leggendo questo sedicente romanzo documentario, scopriremo come potrebbe morire, ancora oggi, la democrazia, tra gli applausi fragorosi della folla, vittima della nostra fragile società e politici inetti: un nuovo romanzo sull’ascesa del fascismo redatto dal punto di vista del duce.
Quando Benito Mussolini fondò, il 23 marzo 1919, l'organizzazione che sarebbe poi diventata il “Partito Nazionale Fascista”, il primo quotidiano italiano relegò la notizia in un trafiletto, accanto a quella dedicata al furto di sessantaquattro casse di sapone. È qui che inizia la narrazione di Antonio Scurati in M. Il figlio del secolo.
L’ascesa del dittatore, privo di qualsiasi credo e ideologia in realtà, fu poi favorita dall’establishment liberale, dalla borghesia liberale, imbevuta di ideali del 19° secolo: amore per la nazione, individualismo e un'economia libera dall'intervento del governo; e dall’élite urbana presuntuosa che supponeva di poter controllare i desideri da “prima donna” del loro leader e, addirittura, usarli per i propri fini.
Tutti i personaggi descritti e gli eventi riportati sono basati su una meticolosa documentazione storica che mira a esplorare ambiziosamente l’ascesa del fascismo in Italia; l’autore si prende poi delle libertà nell’avventurarsi nella mente di Mussolini stesso.
Per certi versi quest’opera mi è sembrata forgiata da Pynchon: nel caso delle produzioni dello scrittore americano siamo costretti a leggere i suoi volumi con a fianco carta e penna per prendere appunti e approfondire in seguito le tematiche, anche usando enciclopedie on-line, cercando di scovare l’esatto punto in cui la finzione si mischia con la realtà e viceversa. Il giornalista italiano invece esplica tutto e demarca formalmente i limiti delle libertà che si prende durante la narrazione.
Proprio per questo noi lettori riusciamo comunque a sperimentare, dal punto di vista del protagonista, sia la sua comprensione ingegnerizzata del potere che gli errori di calcolo dei suoi avversari. Anche altri membri della cerchia ristretta del dittatore ottengono primi piani, come la sua amante e mentore Margherita Sarfatti e il sicario del partito Amerigo Dumini.
Quando Benito Mussolini fondò, il 23 marzo 1919, l'organizzazione che sarebbe poi diventata il “Partito Nazionale Fascista”, il primo quotidiano italiano relegò la notizia in un trafiletto, accanto a quella dedicata al furto di sessantaquattro casse di sapone. È qui che inizia la narrazione di Antonio Scurati in M. Il figlio del secolo.
L’ascesa del dittatore, privo di qualsiasi credo e ideologia in realtà, fu poi favorita dall’establishment liberale, dalla borghesia liberale, imbevuta di ideali del 19° secolo: amore per la nazione, individualismo e un'economia libera dall'intervento del governo; e dall’élite urbana presuntuosa che supponeva di poter controllare i desideri da “prima donna” del loro leader e, addirittura, usarli per i propri fini.
Tutti i personaggi descritti e gli eventi riportati sono basati su una meticolosa documentazione storica che mira a esplorare ambiziosamente l’ascesa del fascismo in Italia; l’autore si prende poi delle libertà nell’avventurarsi nella mente di Mussolini stesso.
Per certi versi quest’opera mi è sembrata forgiata da Pynchon: nel caso delle produzioni dello scrittore americano siamo costretti a leggere i suoi volumi con a fianco carta e penna per prendere appunti e approfondire in seguito le tematiche, anche usando enciclopedie on-line, cercando di scovare l’esatto punto in cui la finzione si mischia con la realtà e viceversa. Il giornalista italiano invece esplica tutto e demarca formalmente i limiti delle libertà che si prende durante la narrazione.
Proprio per questo noi lettori riusciamo comunque a sperimentare, dal punto di vista del protagonista, sia la sua comprensione ingegnerizzata del potere che gli errori di calcolo dei suoi avversari. Anche altri membri della cerchia ristretta del dittatore ottengono primi piani, come la sua amante e mentore Margherita Sarfatti e il sicario del partito Amerigo Dumini.
A mano a mano che scorrono le pagine i fascisti passano da essere un gruppo ai margini con tendenze leggermente socialiste al braccio violento e lungo capace di schiacciare il potere crescente della sinistra durante il periodo di cambiamenti in Europa. Gran parte del libro tratta, ad esempio, dello squadrismo agrario, la campagna di terrore scatenata dalle milizie fasciste contro i contadini poveri che cercavano di unirsi.
Scurati di suo percepisce il fascismo come il male supremo e crea un contesto in cui si cerchi di fornire una risposta al perché di un consenso postbellico di estrema destra che non vede sbiadire, che a stento si tiene a a bada; l’unica nota positiva è che un romanziere, anche ai giorni nostri, è stato capace di farci almeno notare ciò riuscendo a farci esplorare il regime dall’interno.
Scurati di suo percepisce il fascismo come il male supremo e crea un contesto in cui si cerchi di fornire una risposta al perché di un consenso postbellico di estrema destra che non vede sbiadire, che a stento si tiene a a bada; l’unica nota positiva è che un romanziere, anche ai giorni nostri, è stato capace di farci almeno notare ciò riuscendo a farci esplorare il regime dall’interno.
Crollano i tabù quindi, si mostrano le vittime (causate dalla capacità del duce di capitalizzare il caos per poi mostrarci come sia l’unico capace a porvi rimedio), che servono da fondamenta alla ricostruzione dell’antifascismo e dei suoi principi democratici. Per attuare questo piano il cammino è studiato per noi nati decenni dopo in modo da farci odiare il fascismo solo alla fine, non all’inizio e dopo averci indotto la nausea per un gran numero di pagine intervallate da un mosaico di brevi capitoli ognuno dedicato ad un momento storico ed ognuno di essi ha una cosa in comune.
Come sottolineato dagli storici infatti, la graduale introduzione del suffragio universale maschile dopo la prima guerra mondiale aveva spaventato la vecchia borghesia, che si sentiva minacciata dal nuovo spirito del populismo, più pronunciato a sinistra. Antonio Salandra, un politico liberale di alto livello che in seguito sostenne Mussolini, lo disse candidamente: "Il liberalismo è stato sopraffatto dalla democrazia."
Infatti anche se il movimento di Mussolini alla fine ha guadagnato trazione con le masse popolari, un'alleanza elettorale con queste élite gli ha permesso di entrare in Parlamento. Quando il Partito Fascista si candidò per la prima volta alle elezioni generali, nel 1919, non ottenne alcun seggio. Per le elezioni successive, nel 1921, formò una lista congiunta con l'Unione Liberale, ottenendo il 19% dei voti e piazzandosi al terzo posto. Quando Mussolini lanciò la sua famigerata marcia su Roma, nel 1922, spingendo il re a nominarlo primo ministro, i suoi alleati liberali erano già tutti a bordo della sua “barca”.
Questi aspetti sono molto interessanti da studiare perché troviamo delle analogie con le élite liberali delle democrazie contemporanee: siamo in un momento in cui le democrazie tendono a pensare e considerarsi erroneamente come un baluardo contro le forze populiste e antidemocratiche.
Infatti delle rimostranze e lamentele in questi gruppi riecheggiano ogni volta che le elezioni popolari producono ciò che le élite di oggi considerano risultati nefasti. Si pensi alle reazioni alla Brexit e alla vittoria di Donald Trump, che hanno spinto commentatori come Andrew Sullivan a chiedersi, come titolava il suo articolo sulla campagna di quest'ultimo, se "le democrazie finiscono quando sono troppo democratiche", e tesi divulgative come quella del filosofo Jason Brennan, che sosteneva di concedere più rappresentanza politica ai ben informati (consiglio il suo libro Contro la democrazia che ritengo profetico).
Come sottolineato dagli storici infatti, la graduale introduzione del suffragio universale maschile dopo la prima guerra mondiale aveva spaventato la vecchia borghesia, che si sentiva minacciata dal nuovo spirito del populismo, più pronunciato a sinistra. Antonio Salandra, un politico liberale di alto livello che in seguito sostenne Mussolini, lo disse candidamente: "Il liberalismo è stato sopraffatto dalla democrazia."
Infatti anche se il movimento di Mussolini alla fine ha guadagnato trazione con le masse popolari, un'alleanza elettorale con queste élite gli ha permesso di entrare in Parlamento. Quando il Partito Fascista si candidò per la prima volta alle elezioni generali, nel 1919, non ottenne alcun seggio. Per le elezioni successive, nel 1921, formò una lista congiunta con l'Unione Liberale, ottenendo il 19% dei voti e piazzandosi al terzo posto. Quando Mussolini lanciò la sua famigerata marcia su Roma, nel 1922, spingendo il re a nominarlo primo ministro, i suoi alleati liberali erano già tutti a bordo della sua “barca”.
Questi aspetti sono molto interessanti da studiare perché troviamo delle analogie con le élite liberali delle democrazie contemporanee: siamo in un momento in cui le democrazie tendono a pensare e considerarsi erroneamente come un baluardo contro le forze populiste e antidemocratiche.
Infatti delle rimostranze e lamentele in questi gruppi riecheggiano ogni volta che le elezioni popolari producono ciò che le élite di oggi considerano risultati nefasti. Si pensi alle reazioni alla Brexit e alla vittoria di Donald Trump, che hanno spinto commentatori come Andrew Sullivan a chiedersi, come titolava il suo articolo sulla campagna di quest'ultimo, se "le democrazie finiscono quando sono troppo democratiche", e tesi divulgative come quella del filosofo Jason Brennan, che sosteneva di concedere più rappresentanza politica ai ben informati (consiglio il suo libro Contro la democrazia che ritengo profetico).
Dopo la recensione di Andrea, vi voglio parlare brevemente di un libro scritto da Scurati alcuni anni prima e che è interamente incentrato sulla figura di Leone Ginzburg, il quale risalta come un vero e proprio eroe.
Scurati lo sottolinea più volte: Ginzburg è un eroe perché è uno dei pochissimi che pronuncia apertamente il suo “no”. Da questo punto di vista mi ha fatto molto male leggere parole che pongono sotto una luce totalmente differente, ad esempio, Cesare Pavese.
L'autore segue la storia di un grande intellettuale, mite e generoso, che viene cacciato dall’università e nonostante le persecuzioni, il carcere e il confino riesce a fondare la casa editrice Einaudi e a mettere su famiglia e contemporaneamente a prendere parte alla Resistenza, senza mai toccare le armi. Leone conoscerà una fine vergognosa in carcere nel 1944, a causa delle torture subite dai nazisti.
Accanto alle vite di Leone e Natalia Ginzburg, nel libro Scurati parla anche dei propri nonni Antonio e Peppino, Ida e Angela. Perché l'autore intreccia le vite di persone comuni con quella dell'eroe? Personalmente, avendo letto i volumi di uno dei figli di Leone, lo storico Carlo Ginzburg (a loro volta criticati da larga parte della storiografia tradizionale) ritengo che quello di Scurati sia un omaggio alla Microstoria, che consiste appunto nel raccontare episodi locali all'apparenza marginali che tuttavia assumono una validità generale: la Storia è fatta di tante piccole storie e i grandi personaggi non sarebbero tali se non avessero un forte impatto sulla vita di tante persone comuni.
Il tempo migliore della nostra vita è un libro da leggere, anche se la forma non è delle più scorrevoli: l'opera inizia come un romanzo e finisce come un saggio, è in parte una biografia, in parte una cronaca di famiglia e in parte microstoria; ma l'originalità di questo vero e proprio viaggio nel tempo sta (anche) nei suoi difetti.