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La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

27/01/2023

Due libri di Antonio Scurati per il Giorno della Memoria

Per celebrare il Giorno della Memoria, vi parliamo di due libri di Antonio Scurati, scrittore e accademico: Il tempo migliore della nostra vita (Premio Viareggio 2015 per la narrativa e finalista al Campiello); del 2018 è invece M. Il figlio del secolovincitore del Premio Strega 2019, primo di una tetralogia. Iniziamo proprio da quest'ultimo, recensito da Andrea Brattelli.

Attraverso la voce di Mussolini, leggendo questo sedicente romanzo documentario, scopriremo come potrebbe morire, ancora oggi, la democrazia, tra gli applausi fragorosi della folla, vittima della nostra fragile società e politici inetti: un nuovo romanzo sull’ascesa del fascismo redatto dal punto di vista del duce.

Quando Benito Mussolini fondò, il 23 marzo 1919, l'organizzazione che sarebbe poi diventata il “Partito Nazionale Fascista”, il primo quotidiano italiano relegò la notizia in un trafiletto, accanto a quella dedicata al furto di sessantaquattro casse di sapone. È qui che inizia la narrazione di Antonio Scurati in M. Il figlio del secolo.

L’ascesa del dittatore, privo di qualsiasi credo e ideologia in realtà, fu poi favorita dall’establishment liberale, dalla borghesia liberale, imbevuta di ideali del 19° secolo: amore per la nazione, individualismo e un'economia libera dall'intervento del governo; e dall’élite urbana presuntuosa che supponeva di poter controllare i desideri da “prima donna” del loro leader e, addirittura, usarli per i propri fini.

Tutti i personaggi descritti e gli eventi riportati sono basati su una meticolosa documentazione storica che mira a esplorare ambiziosamente l’ascesa del fascismo in Italia; l’autore si prende poi delle libertà nell’avventurarsi nella mente di Mussolini stesso.

Per certi versi quest’opera mi è sembrata forgiata da Pynchon: nel caso delle produzioni dello scrittore americano siamo costretti a leggere i suoi volumi con a fianco carta e penna per prendere appunti e approfondire in seguito le tematiche, anche usando enciclopedie on-line, cercando di scovare l’esatto punto in cui la finzione si mischia con la realtà e viceversa. Il giornalista italiano invece esplica tutto e demarca formalmente i limiti delle libertà che si prende durante la narrazione.

Proprio per questo noi lettori riusciamo comunque a sperimentare, dal punto di vista del protagonista, sia la sua comprensione ingegnerizzata del potere che gli errori di calcolo dei suoi avversari. Anche altri membri della cerchia ristretta del dittatore ottengono primi piani, come la sua amante e mentore Margherita Sarfatti e il sicario del partito Amerigo Dumini. 

A mano a mano che scorrono le pagine i fascisti passano da essere un gruppo ai margini con tendenze leggermente socialiste al braccio violento e lungo capace di schiacciare il potere crescente della sinistra durante il periodo di cambiamenti in Europa. Gran parte del libro tratta, ad esempio, dello squadrismo agrario, la campagna di terrore scatenata dalle milizie fasciste contro i contadini poveri che cercavano di unirsi.

Scurati di suo percepisce il fascismo come il male supremo e crea un contesto in cui si cerchi di fornire una risposta al perché di un consenso postbellico di estrema destra che non vede sbiadire, che a stento si tiene a a bada; l’unica nota positiva è che un romanziere, anche ai giorni nostri, è stato capace di farci almeno notare ciò riuscendo a farci esplorare il regime dall’interno. 

Crollano i tabù quindi, si mostrano le vittime (causate dalla capacità del duce di capitalizzare il caos per poi mostrarci come sia l’unico capace a porvi rimedio), che servono da fondamenta alla ricostruzione dell’antifascismo e dei suoi principi democratici. Per attuare questo piano il cammino è studiato per noi nati decenni dopo in modo da farci odiare il fascismo solo alla fine, non all’inizio e dopo averci indotto la nausea per un gran numero di pagine intervallate da un mosaico di brevi capitoli ognuno dedicato ad un momento storico ed ognuno di essi ha una cosa in comune.

Come sottolineato dagli storici infatti, la graduale introduzione del suffragio universale maschile dopo la prima guerra mondiale aveva spaventato la vecchia borghesia, che si sentiva minacciata dal nuovo spirito del populismo, più pronunciato a sinistra. Antonio Salandra, un politico liberale di alto livello che in seguito sostenne Mussolini, lo disse candidamente: "Il liberalismo è stato sopraffatto dalla democrazia."

Infatti anche se il movimento di Mussolini alla fine ha guadagnato trazione con le masse popolari, un'alleanza elettorale con queste élite gli ha permesso di entrare in Parlamento. Quando il Partito Fascista si candidò per la prima volta alle elezioni generali, nel 1919, non ottenne alcun seggio. Per le elezioni successive, nel 1921, formò una lista congiunta con l'Unione Liberale, ottenendo il 19% dei voti e piazzandosi al terzo posto. Quando Mussolini lanciò la sua famigerata marcia su Roma, nel 1922, spingendo il re a nominarlo primo ministro, i suoi alleati liberali erano già tutti a bordo della sua “barca”.

Questi aspetti sono molto interessanti da studiare perché troviamo delle analogie con le élite liberali delle democrazie contemporanee: siamo in un momento in cui le democrazie tendono a pensare e considerarsi erroneamente come un baluardo contro le forze populiste e antidemocratiche.

Infatti delle rimostranze e lamentele in questi gruppi riecheggiano ogni volta che le elezioni popolari producono ciò che le élite di oggi considerano risultati nefasti. Si pensi alle reazioni alla Brexit e alla vittoria di Donald Trump, che hanno spinto commentatori come Andrew Sullivan a chiedersi, come titolava il suo articolo sulla campagna di quest'ultimo, se "le democrazie finiscono quando sono troppo democratiche", e tesi divulgative come quella del filosofo Jason Brennan, che sosteneva di concedere più rappresentanza politica ai ben informati (consiglio il suo libro Contro la democrazia che ritengo profetico).



 
Dopo la recensione di Andrea, vi voglio parlare brevemente di un libro scritto da Scurati alcuni anni prima e che è interamente incentrato sulla figura di Leone Ginzburg, il quale risalta come un vero e proprio eroe. 

Nato a Odessa nel 1909 da genitori ebrei, dopo aver vissuto tra Italia, Russia e Germania, Leone Ginzburg si stabilisce definitivamente a Torino dove conclude gli studi classici, si laurea e si sposa con Natalia Levi. Una volta diventato docente, Leone rifiuta di giurare fedeltà al fascismo, come imporrebbe il Regio Decreto 31 agosto 1933, n. 1592. Qui potete leggere la lettera di Ginzburg al Preside di Facoltà, Ferdinando Neri, in cui comunica che non intende farlo.

Scurati lo sottolinea più volte: Ginzburg è un eroe perché è uno dei pochissimi che pronuncia  apertamente il suo “no”. Da questo punto di vista mi ha fatto molto male leggere parole che pongono sotto una luce totalmente differente, ad esempio, Cesare Pavese.

L'autore segue la storia di un grande intellettuale, mite e generoso, che viene cacciato dall’università e nonostante le persecuzioni, il carcere e il confino riesce a fondare la casa editrice Einaudi e a mettere su famiglia e contemporaneamente a prendere parte alla Resistenza, senza mai toccare le armi. Leone conoscerà una fine vergognosa in carcere nel 1944, a causa delle torture subite dai nazisti. 

Accanto alle vite di Leone e Natalia Ginzburg, nel libro Scurati parla anche dei propri nonni Antonio e Peppino, Ida e Angela. Perché l'autore intreccia le vite di persone comuni con quella dell'eroe? Personalmente, avendo letto i volumi di uno dei figli di Leone, lo storico Carlo Ginzburg (a loro volta criticati da larga parte della storiografia tradizionale) ritengo che quello di Scurati sia un omaggio alla Microstoria, che consiste appunto nel raccontare episodi locali all'apparenza marginali che tuttavia assumono una validità generale: la Storia è fatta di tante piccole storie e i grandi personaggi non sarebbero tali se non avessero un forte impatto sulla vita di tante persone comuni.

Il tempo migliore della nostra vita è un libro da leggere, anche se la forma non è delle più scorrevoli: l'opera inizia come un romanzo e finisce come un saggio, è in parte una biografia, in parte una cronaca di famiglia e in parte microstoria; ma l'originalità di questo vero e proprio viaggio nel tempo sta (anche) nei suoi difetti.

24/01/2023

Henry David Thoreau, Camminare

Questo breve saggio pubblicato postumo potrebbe far pensare che Henry David Thoreau (1817-1862) fosse molto limitato: egli afferma infatti che, a differenza dell'Asia e dell'Africa, nelle terre inesplorate degli Stati Uniti si può andare a zonzo senza il rischio di incrociare belve feroci. La spiegazione è molto semplice: lo scrittore e filosofo, amico di Ralph Waldo Emerson, non lasciò quasi mai la cittadina di origine (Concord, nel Massachusetts).

Dopo gli studi a Harvard e pochi anni di insegnamento, Thoreau si dedicò allo studio e alle passeggiate, trascorrendo l’intera esistenza a Concord, salvo alcune escursioni. Del ritiro di due anni sul lago Walden raccontò nel suo scritto più noto: Walden o la vita nei boschi (citato anche in L'attimo fuggente), che lungi dall'essere un libro "radical chic", espressione che si utilizza per indicare un interesse di facciata, evidenzia una forte comunione dell'autore con la natura e l’attenzione ai suoi fenomeni, tanto che il testo sarà il punto di riferimento dei movimenti ecologisti del Novecento. 

Fortemente critico verso la borghesia, la società moderna, l'industrializzazione e lo schiavismo, Thoreau scrisse anche il manifesto Disobbedienza civile, che influenzerà notevolmente i pensatori radicali successivi. Il filosofo racconta di essere stato arrestato per aver rifiutato di pagare la tassa per finanziare la guerra in Messico, sostenendo un pensiero che sarà alla base della resistenza nonviolenta, e cioè che le leggi sono ingiuste se vanno contro la coscienza e i diritti dell'uomo.



Anche in Camminare si respira pienamente il pensiero di Thoreau, per il quale passeggiare per alcune ore tutti i giorni era un'esigenza insopprimibile: sentiva infatti che stare fermo a scrivere equivaleva ad accumulare ruggine. In poche pagine, lo scrittore mette in guardia chi legge dai pericoli della civiltà industriale e della vita sociale, sottolineando i difetti della modernità: solo la natura selvaggia è la vera patria dell'uomo e può guarire i mali dell'animo; solo nella natura, dove non ci sono case né villaggi, si trova la "verità". 

Vagabondare per boschi e paludi senza meta dona la salvezza spirituale ed è l'affermazione della suprema libertà dell'essere umano. Passeggiare senza meta né fine se non quello di ritrovare la pace interiore, l'armonia con il proprio corpo, il contatto con la parte più profonda di sé. Camminare è una lettura breve e significativa che ci ricorda l'importanza delle piccole cose. Una lettura piccola, ma dal contenuto enorme.

20/01/2023

L' anno della morte di Ricardo Reis, di José Saramago

Andrea Brattelli alle prese con un romanzo nel quale José Saramago immagina le vicende di uno dei numerosi eteronimi di Fernando Pessoa: Ricardo Reis, lasciandogli il compito di manifestare il suo punto di vista sul 1936, quando scoppia la guerra di Spagna e si prepara il secondo conflitto mondiale.



Sin dalla prima frase di questo libro: "Qui è dove il mare finisce ed inizia la terra", sento il richiamo dello stile classico e formale di quest’opera che mi fa tornare sui banchi di scuola, quando studiavamo in classe l’Odissea. Con questa predisposizione d’animo mi addentro in una lettura cerebrale, in una storia surreale che stuzzica l’immaginazione. Qui non si tratta di narrativa minimalista; questi personaggi iberici hanno volti, corpi e una mente tutta da esplorare: sono figure a “tutto tondo”, come si suol dire. Se talvolta queste persone ci appaiono con dei volti troppo languidi, prive di amor proprio, è solo perché vengono contestualizzate in periodo storico molto particolare frutto di una politica sconcertante.

È il 1936, l'Europa balla tra tumulti che decretano la morte della Repubblica. Oltre la Spagna il fascismo avanza e nel paese si fanno strada i fantasmi della guerra civile. In Portogallo, Salazar è già al potere e sta militarizzando totalmente lo stato. In questo contesto il protagonista Ricardo Reis, dopo un lungo soggiorno in Brasile, sceglie di tornare a Lisbona.

Qualsiasi parola esca dalla sua bocca, in ogni occasione, è interpretata dagli interlocutori e da noi lettori come l’inizio di una confessione, un’autobiografia intima, poche frasi che vanno studiate. Lo so, tutto ciò suona come qualcosa di mistico ed, effettivamente, non sono poche le riflessioni filosofiche del personaggio principale, talune risultano anche un po’ dozzinali quando egli si interroga sulla propria esistenza. Sembra folgorato sulla via di Damasco ma è semplicemente tornato a casa sua, a Lisbona.

Ed è così che le vite di tre affascinanti personaggi (due donne e il fantasma di un poeta morto) si intersecano con la nuova vita di Ricardo Reis.

Soprassederei sulle sue vicende amorose, ma sottolineerei la capacità del narratore di rappresentare l’amore fisico che fiorisce dalla figura della donna, che travolge la frettolosità tipicamente maschile insita nelle “scappatelle”. Una delle due donne menzionate in precedenza ha un braccio deformato ma non per questo lei sente meno il bisogno di indipendenza e detesta quindi essere trattata come una invalida. Le carezze sull’arto menomato lei le avverte con più dolcezza che sul resto del suo corpo.

Il terzo personaggio, il fantasma di Fernando Pessoa, attraversa le porte dell’inferno per tornare nel nostro mondo e arriva con dei fardelli carichi di simbolismo in un’atmosfera misteriosa che si fa strada intorno a lui come nebbia. Pessoa, morto nel 1935 all'età di 47 anni, è considerato il poeta moderno più influente del Portogallo.

José Saramago fonde le due personalità, quella del poeta e del protagonista, e narra le loro vicende in una Lisbona che sembra respirare le ansie di entrambi mentre passeggiano per i viali e le contrade in festa per il Carnevale, osservando i cambiamenti che hanno avuto luogo nel 1920. È un puzzle per noi lettori seguire ciò che viene partorito dalla mente del narratore e leggere la reale storia del tempo attraverso gli articoli di giornale di cui si nutre avidamente Ricardo. Sarà però difficoltoso anche per i protagonisti ricomporre la quotidianità dopo alcuni avvenimenti. Le nazioni per un lungo periodo si faranno la guerra per appropriarsi di ciò che loro, incredibilmente, pensano che gli sia dovuto a prescindere, confondendo la prepotenza con l’innocenza infantile di un bambino che desidera il giocattolo.

Saramago tramite quest’opera ci racconta una storia che fa riflettere sulle relazioni umane, le differenze di classe, i sogni infranti nel cassetto. È un romanzo “vecchio stile” e, al contempo, lirico, simbolico e meditativo di uno dei maggiori scrittori europei che merita di essere conosciuto.

13/01/2023

Herzog di Saul Bellow

Andrea Brattelli ci parla di un capolavoro del Novecento. Vincitore del National Book Award 1965, Herzog (alter ego dello scrittore) non è solo un romanzo ma anche un saggio di filosofia e una critica alla società e al mondo ebraico. Attraverso la forma del romanzo epistolare, il futuro Premio Nobel per la Letteratura Saul Bellow racconta anche se stesso e il suo disordine esistenziale, che assume una valenza universale.
"Se sono matto, per me va benissimo, pensò Moses Herzog."



Dopo aver letto Herzog di Saul Bellow mi sono reso conto realmente del significato del concetto estetico giapponese che va sotto il nome di wabi-sabi, spiegatomi da un mio Maestro anni fa. Infatti, se un oggetto o un'espressione può provocare dentro noi stessi una sensazione di serena malinconia e un ardore spirituale, allora si può dire che quell'oggetto è wabi-sabi.

Ho avuto le suddette sensazioni leggendo questo libro in cui si mescolano in una sorta di “meta-trama” le relazioni umane elementari, sessuali, familiari, sociali, che rappresentano le fondamenta su cui basare in seguito dibattiti filosofici, riflessioni sulla civiltà americana e sul significato della morte. Il protagonista stesso è il personaggio meglio delineato di tutta la vicenda ma è impossibile comprenderlo appieno e cercare di capire il perché ci spinge ad analizzare meglio le situazioni narrando i fatti in terza persona per poi, in conclusione, spiazzarci con dei risvolti di trama che deridono le nostre considerazioni.

Forse la coscienza fratturata del nostro eroe impone a quest’uomo una sorta di timido e, al contempo, ironico distanziamento dal suo pubblico. La sua psiche risente del suo dolore per essere stato tradito dalla moglie ed egli stesso se ne vergogna; vorrebbe che i suoi monologhi fossero intesi a guisa di lezioni sulla società statunitense come quelle tratte dal The Education di Henry Adams ma, in realtà, sono solo elucubrazioni di un marito cornuto e sofferente. Risulta essere quindi un padre troppo severo ma senza polso per i suoi figli, un figlio immaturo per i suoi genitori, assente per i suoi fratelli, egoista con gli amici. Un agglomerato di contraddizioni vivente insomma, che con le sue due gambe si muove in un racconto che egli stesso compone passivamente mosso da uno spirito inquieto.

Quest’opera è una lunga lettera in cui il protagonista/autore cerca di comunicare con il mondo esterno dalla sua gabbia di gomma nella quale è prigioniero. Come la sua psiche che gli impone di scrivere lettere noiose e tronche ai suoi amici e che alla fine non spedisce; questo sistema lo disconnette dal resto del mondo. Herzog aspettando tempi migliori fa lunghe peregrinazioni in bagno e in questo assomiglia molto a Leopold Bloom dell’Ulisse di Joyce.

La struttura del romanzo che si articola su tre strati rende talvolta la lettura poco gratificante se non, addirittura, frustrante. Bisogna cogliere il cambio di registro; il momento in cui una narrazione si assottiglia per lasciare poi espandere l’altra in un altro contesto di solito coincide o con la crisi di mezz’età del protagonista oppure con il suo momentaneo e parziale ravvedimento. Il wabi-sabi descritto all’inizio di questa recensione è dato, in definitiva, dalla lettura delle missive incompiute, dai solecismi di un uomo che ci parla in una forma linguistica scorretta perché il significato di tutto ciò che leggiamo sui giornali e riviste impolverate sugli scaffali di casa nostra o delle monumentali biblioteche dobbiamo interpretarlo come fanno gli archeologi quando studiano una lingua sconosciuta sui frammenti di antiche vestigia; i frammenti vengono definiti tali perché le forme armoniose dissiperebbero l’energia dell’immaginazione che è l’unica arma contro le brutture della quotidianità. Assuefarsi alla mediocrità per cercare in essa la nostra zona di comfort è solo una cura omeopatica.

06/01/2023

Willow di Wayland Drew

Per festeggiare l'atmosfera magica dell'Epifania, Andrea Brattelli ci parla del romanzo di Willow tratto dalla sceneggiatura del film del 1988 diretto da Ron Howard. Un libro che aggiunge dettagli e profondità alla versione cinematografica, una storia che presenta analogie con...



Willow è un’ opera di Wayland Drew che non si basa direttamente sul film omonimo del 1988 bensì sulla sceneggiatura di Bob Dolman il quale, a sua volta, si ispirò ad uno scritto di George Lucas.

Il lungometraggio quindi differisce abbastanza dal libro. Quest'ultimo, in particolare, è molto più ricco di descrizioni che ci permettono di immergerci completamente in questo mondo fantastico e anche la psicologia dei personaggi è delineata in maniera più approfondita; nel romanzo le immagini che nell’opera cinematografica sono un coacervo di riferimenti a personaggi piuttosto che all’ambiente che li circonda sono e rimangono distinte e aiutano a capire alcune scelte dei protagonisti insite nell’intera struttura psicologica della storia.

Ho trovato vari riferimenti alla produzione monumentale più famosa di Tolkien, ovvero Il signore degli anelli. Non mi permetto però di affermare che vi sia nei suoi confronti una dipendenza servile. Willow è una discreta lettura epica e di fantasia, con personaggi ben sviluppati ed una trama che scorre agevolmente e coerentemente senza “salti” fuori dalla logica consequenziale degli eventi che si snodano man mano nella trama.

Per porre qualche esempio riguardo a ciò che ho scritto in precedenza, posso scrivere che Bavmorda, come Sauron, è ossessionata dal potere ed usa la magia per cercare di dominare il mondo. La prima però, a differenza del secondo che è un essere soprannaturale, ultraterreno e non ha nulla di umano, è una persona come noi su cui possiamo accanirci a causa della sua malvagità. Entrambe queste figure meschine sembrano contaminare la Natura, vera, ennesima, entità dalle sembianze quasi divine, di cui noi poveri mortali abbiamo la percezione terrena attraverso distese di campi verdi, zone boschive rigogliose e valli fiorite che un cancro osa minacciare. Altro esempio ancora, i Nelwyn hanno forti somiglianze fisiche con i nani e gli hobbit ma una cultura e dei costumi completamente diversi.

Per quanto concerne invece il tema della magia e il suo connubio con il misticismo è impossibile non accorgersi che dietro la sua trattazione nel romanzo (che comunque non influisce con la trama) vi sia l’impronta di Lucas.

La “action-heroine” del libro è incarnata alla perfezione da Sorsha, il personaggio femminile più importante. È la figlia di Bavmorda; il tema centrale del libro è proprio legato alle sue scelte e al suo percorso morale in antitesi con ciò che le è stato insegnato in primis per non andare contro il volere di sua madre, in seguito per farne le veci. A dispetto del fatto che è molto simile a Teela dei Masters of the Universe sotto vari aspetti, con tanto di armatura che farebbe impallidire Tony Stark, la vedremo, verosimilmente, combattere molto poco. Peccato, è infatti un’abile combattente, dura come un chiodo da bara, che non ha ricevuto sconti in allenamento rispetto ai suoi colleghi maschi , sa usare bene le armi in battaglia.

Gli archetipi che rendono simili epopee di questo genere sono i confini ben tracciati tra bene e male, i conflitti che intercorrono tra loro, e il tema ricorrente è il senso di responsabilità che guida le scelte dei protagonisti i quali adempiono al loro dovere per rendere l’avvenire migliore per chiunque, a qualsiasi costo, e ciò li farà assurgere al ruolo di eroi indiscussi.