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La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

29/07/2022

La commedia umana di William Saroyan

Forse l'unico ad aver rifiutato il Pulitzer, lo scrittore statunitense di origini armene William Saroyan, a differenza di molti altri scrittori coevi, fu tradotto e pubblicato quasi subito anche in Italia (tra l'altro, da grandissimi autori-traduttori come Elio Vittorini). Andrea Brattelli ci parla del suo La commedia umana del 1943, in parte autobiografico, che vinse un Oscar come miglior soggetto per la trasposizione cinematografica avvenuta l'anno successivo.



Pubblicato nel 1943, La commedia umana di William Saroyan è un libro sul senso di comunità che aggrega persone all’interno di un quartiere o di un paesino di provincia, ad esempio facendole cooperare per il benessere comune e per migliorare se stesse.

Ho la fortuna di vivere in un quartiere di Milano in cui vi è tanto di quel verde da poter vedere i bambini giocare all’aperto durante le loro ore di svago piuttosto che in enormi centri commerciali, dove i negozi diventano anche luoghi di conversazione; ecco perché forse mi sono sentito trasportato durante la lettura di questo libro e mi sono immedesimato in ogni personaggio di questo romanzo.

The Human Comedy è la reliquia che rappresenta il periodo più innocente della storia americana brulicante di persone sfacciatamente sincere nella loro umana semplicità.

Lo scrittore ci fa visitare la città californiana di Itaca, dove il quattordicenne Homer Macauley, orfano di padre, è rimasto privo anche della sua spensierata fanciullezza e quindi deve lavorare molto, consegnando telegrammi, per migliorare le condizioni economiche della sua famiglia.

Alcuni adulti di grande bontà e carisma si prendono cura di lui, come, ad esempio, i suoi capi all’ufficio telegrafico. In questo modo il protagonista matura più in fretta rispetto agli altri suoi coetanei ed impara molto sui veri valori della vita.

Gli occhi del protagonista, mentre egli sfreccia tra le strade della cittadina americana con la sua bicicletta, registrano tutti gli avvenimenti che accadono. Ciò è una sorta di distrazione, di distaccamento dalle sensazioni di tristezza che prova quando porta alle madri i telegrammi che annunciano che i loro figli sono morti in guerra. La paura è che un giorno giunga la brutta notizia anche per lui, dato che anche il fratello maggiore sta combattendo oltre oceano.

Il ragazzo va a scuola e corteggia una sua compagna. Scrivo riguardo a questo episodio perché il narratore ci tiene a sottolineare e descrivere la forza dell’amore, quello struggente, che tiene unite le persone e che ci dovrebbe distrarre dalle cose materiali.

L’amore ci potrebbe far vincere qualsiasi battaglia anche se, sovente, le sofferenze che proviamo non sono commisurate alla forza che abbiamo realmente per cercare di far loro opposizione e contrastarle.

La battaglia comune è quella di cercare un senso alla follia persistente in questo pianeta. La “commedia” sta nel cercare la comprensione in un mondo che non è comprensibile.

26/07/2022

Lo Squalo di Peter Benchley

Quale periodo migliore per leggere (o rileggere) un romanzo diventato un classico film dell'orrore estivo? Riccardo Colella ha scritto per il suo blog Il cinenauta la recensione del libro Lo Squalo di Peter Benchley e io ve la ripropongo (su sua autorizzazione, ovviamente!) perché è parecchio interessante: va oltre la spiegazione del romanzo, analizzando la storia della sua fortuna come bestseller e parlando della letteratura "di mare" oltre che, ovviamente, del film di Steven Spielberg.


Il 1916 fu un anno in cui lo stato del New Jersey si ritrovò, suo malgrado, protagonista delle prime pagine dei giornali del paese. Tra il 1° e il 12 luglio, infatti, lungo la costa dello stato si registrò un’insolita serie di attacchi di squalo nella quale persero la vita quattro bagnanti e un altro restò ferito. La grande ondata di caldo che investì la costa atlantica, aveva favorito l’afflusso di turisti nelle località balneari attirando, così, grandi branchi di pescecani che trovarono nelle calde acque del Jersey Shore le condizioni ottimali per fare il bello e il cattivo tempo. In principio, le autorità locali ipotizzarono che il responsabile degli attacchi potesse essere un grosso squalo bianco, poiché proprio nello stomaco di un Carcharodon carcharias catturato al largo di Long Island furono ritrovati dei resti umani. Considerando, però, che diversi attacchi si verificarono in acqua dolce, si convenne che solo uno squalo leuca poteva esserne il responsabile. Sta di fatto che l’accaduto riscosse un’eco così profonda da segnare prepotentemente l’immaginario collettivo, tanto da ispirare uno dei più importanti best sellers statunitensi come Lo squalo di Peter Benchley, a sua volta fonte d’ispirazione per l’omonimo film del 1976, diretto da Steven Spielberg e vincitore di tre Premi Oscar e un Golden Globe.

Con l’estate entrata ormai a pieno regime e considerando che, nel corso degli anni, proprio la trasposizione cinematografica del libro è andata affermandosi come uno dei più grandi successi planetari di sempre, terrorizzando diverse generazioni di bagnanti, quale stagione migliore per tuffarsi tra le placide - si fa per dire - pagine di Amity? Dando per assodato che chiunque di noi abbia visto il film con Roy Scheider, Richard Dreyfuss e Robert Shaw, perché così dev’essere, non è così scontato l’aver letto il libro. Le due opere si differenziano sia per stile narrativo, come è ovvio che sia, che per contenuto e se consideriamo che, nel film, il regista si focalizza quasi esclusivamente sulla figura dello squalo e dei tre protagonisti che gli danno la caccia, è nel libro di Peter Benchley che il grosso pescecane rimane quasi in ombra, nascosto nel profondo dell’oceano, pronto a sferrare il suo feroce attacco, sospinto dalle note della celeberrima colonna sonora scritta da John Williams. Ovviamente lo squalo c’è. E c’è anche la tensione, la paura e l’atavico terrore dell’uomo nei confronti dell’ignoto e dei grandi mostri marini, già introdotti con Moby Dick nel 1851 e nel 1870 con Ventimila leghe sotto i mari.

L’affamata e gigantesca minaccia che incombe sull’isoletta di Amity, però, arriva quasi a fare da contorno alle vicende familiari che coinvolgono lo sceriffo Brody e sua moglie Ellen. E così, al contrario di quanto accade nel film, proprio Brody e l’oceanografo Matt Hooper sono tutt’altro che alleati; e quando quest’ultimo assume il ruolo di “terzo incomodo”, si arriva quasi a tifare per lo squalo... In tutto ciò, cosa ne è stato di quel tronfio lupo di mare di Quint che nel film era interpretato da Robert Shaw, già protagonista de La stangata di George Roy Hill? Partendo dal fatto che tutta la sequenza relativa all’affascinante racconto sul naufragio dell’USS Indianapolis non compaia nel libro, il rude pescatore risulta piuttosto simile a quello che noi tutti conosciamo, così come lo è il triste epilogo che lo attende a bordo dell’Orca, in una sorta di “novello” Capitano Achab. È invece bene sottolineare come, proprio nel libro, lo squalo sia ben distante dall’animale che scientificamente attaccava le proprie vittime, anche grazie al fine intelletto messo in risalto da Spielberg. Lo squalo è un predatore mosso unicamente da fame e istinto di sopravvivenza. Niente vendette e nessun agguato premeditato, solo voglia di addentare tutto quello che si agita davanti ai suoi recettori e la fine del romanzo può lasciare spiazzati, specialmente se paragonata all’opera di Spielberg. Interessanti, invece, sono le caratterizzazioni degli abitanti della cittadina e la trama che ne lega le vicissitudini. Si presti attenzione alla storia del sindaco, solo per citarne una.

Non è trascurabile, infine, il fatto che, al momento della sua pubblicazione, Lo squalo di Peter Benchley abbia scalato vertiginosamente le classifiche di tutto il mondo, posizionandosi e confermandosi saldamente in testa alle classifiche dei libri più venduti dell’epoca per ben quarantaquattro settimane consecutive. Ad oggi, è ipotizzabile che abbia venduto oltre 20 milioni di copie, assestandosi ampiamente tra le opere più importanti della letteratura americana. Il pathos, i colpi di scena, il ritmo serrato e l’avventura, nonché la tensione, che si respirano nell’opera di Spielberg, però, lo collocano un gradino sotto al cult del 1976, in uno di quei rari casi in cui l’opera di celluloide supera quella letteraria.

22/07/2022

Il lupo della steppa di Hermann Hesse

Andrea Brattelli alle prese con un classico incentrato sull'eterno e incessante contrasto interiore tra natura e cultura. Pubblicato nel 1927, Il lupo della steppa è uno dei romanzi più interessanti di Hermann Hesse che fa confluire nelle pagine una parte della sua vita: in seguito a una profonda crisi che lo portò ad avere pensieri di morte, si riprese iniziando a condurre una vita mondana a base di taverne e sale da ballo.


Il protagonista del romanzo di Hermann Hesse intitolato Il lupo della steppa è Harry Haller, un uomo che si sente soffocato nella società in cui vive, dalle convenzioni. L’autore si comporta, nei confronti di questo personaggio, come un confidente e lo invita a riflettere sul fatto che le sue sofferenze non sono causate da problemi gravi e che, quindi, possono essere superate. Si evince subito che Harry Haller è l’alter ego di Hermann Hesse, un "Doppelgänger" che con lui affronta le asperità della vita quotidiana.

La struttura di Steppenwolf è molto particolare, a partire dalla prefazione dell’editore che, in realtà, risulta essere un artificio e fa parte interamente del romanzo.

In seguito si possono leggere dei quaderni, come se l’intero scritto fosse un diario, in cui si delinea in maniera alquanto eterea la figura di Haller. Volutamente infatti lo si rende distaccato, reciso via, in maniera chirurgica, dalla realtà che lo circonda. La sua mente e il suo fisico sono archetipi primitivi legati alla natura di lupo, orso asociale che sente di dover soddisfare bisogni primari, avulsi da quelli più complessi richiesti nella vita moderna. Sembra una definizione semplice, questa, della sua psiche, ma è molto più complicato di così: la Natura umana non è un sistema binario, un interruttore acceso o spento ed ha una perizia innata nel dare il via libera alla sua capacità di limitarsi.

Le angosce del protagonista lo spingeranno verso il suicidio; desisterà grazie ad una donna, Hermione, che lo aiuterà e gli farà conoscere anche i piaceri della vita mondana come il Jazz, ballare il Foxtrot, il sesso e le droghe.

Quest’opera è un romanzo di esplorazione del proprio "io", di come dall’autodistruzione si può rinascere dalle proprie ceneri come l’araba fenice.

Encomiabile il lavoro di Hermann Hesse nel cambiare "voce" e toni durante le varie fasi della vita di Harry, il quale, all’inizio si percepisce come un giovane borghese succube delle convenzioni, poi come un pazzo delirante, in seguito come un lupo solitario e, infine, come un uomo che riesce a fare una sintesi della sua vita ammettendo gran parte degli errori commessi.

Infatti, alla fine della storia, tutti i suoi pensieri si uniscono sotto l’unico grande richiamo di un premio Nobel.

Vi sarebbero molti spunti da ampliare in questo scritto e su cui rimuginare riguardo la natura umana e la sua esistenza all’interno della società moderna.

15/07/2022

Will Hermes. New York 1973-1977. Cinque anni che hanno rivoluzionato la musica

Un viaggio nella New York degli anni '70 che, con i suoi problemi di degrado e criminalità, tra graffiti e gang (nel 1975, agenti di polizia in borghese distribuivano volantini con il disegno di un teschio e la scritta Welcome to Fear City), partorì una scena musicale straordinaria. Andrea Brattelli ci parla di un libro del 2011 di Will Hermes, giornalista di Rolling Stone, pubblicato in Italia nel 2014 col titolo New York 1973-1977. Cinque anni che hanno rivoluzionato la musica (Love Goes to Buildings on Fire: Five Years in New York That Changed Music Forever). Il testo parla delle nascenti scene punk, hip hop e disco, ma anche di salsa, loft jazz e dei compositori minimalisti della downtown. 




Uno dei passatempi preferiti per gli amanti della musica quando si ritrovano nella loro cerchia di amici al bar o tra altri appassionati è discutere (anche animatamente) su quale sia stata l’epoca d’oro per la musica.

Se noi potessimo tornare indietro nel tempo in quale periodo vorremmo essere catapultati? E in quale città?

Gli esperti del jazz vorrebbero vivere nella New Orleans degli anni '20, i seguaci del rock a San Francisco o Londra durante gli anni '60, ecc.

Un luogo però è menzionato sempre e comunque da tutti i fan: New York nel 1970.

In quell’anno si rivoluzionarono il Jazz e il Rock & Roll, nacquero altri stili musicali come la musica Punk, la Disco Music, la musica elettronica.

Will Hermes, critico senior della rivista Rolling Stone, attraverso il suo libro Love goes to building on fire: five years that changed music forever e grazie al suo background giornalistico, ci guida in un viaggio negli anni che vanno dal 1972 al 1977, ovvero il periodo d’oro della musica.

Questo libro/documentario è scritto davvero bene. L’autore porta in scena la quotidianità newyorkese mettendo in risalto alcuni avvenimenti storici del periodo e, nel mentre, inizia a entrare nel cuore dell’argomento principale. 

A noi lettori sembra a questo punto di essere scagliati in trincea insieme a quegli artisti che fecero sì la storia della musica ma che si sobbarcarono anche numerosi sacrifici perché per terminare nella magnificenza si inizia nella minutaglia. 

Faccio riferimento ad esempio a Hector Lavoe per quanto concerne la musica latina; il Loft Jazz nasce proprio dal canto di vita vissuta di giganti come Anthony Braxton, Don Cherry e Sam Rivers che vissero però prima in appartamenti sporchi e angusti pensati da architetti famelici di profitto più che propensi a costruire decenti unità abitative.

Il giornalista poi esplora la musica sperimentale dei musicisti Philip Glass, Rhys Chatham e Laurie Anderson. Qui si evince come la musica e la matematica vadano a braccetto, questo è il mio pensiero: la creatività non si alimenta marciando su una strada sgomberata, ma addentrandosi nella natura selvaggia. Il rigore matematico serve per disegnare mappe ma solo i veri esploratori si spingono al di fuori dei loro confini affinché ne siano prodotte altre.

In questo arco di anni '70 inizia a fiorire anche l’Hip Hop e, nell’opera, se ne descrive lo stato ancora embrionale. Per ulteriori approfondimenti in merito mi permetto di suggerire il libro Can't stop won't stop. L'incredibile storia sociale dell'hip-hop di Jeff Chang; posso comunque aggiungere un fatto eclatante, ovvero che la musica Rap per un periodo si unì alla Disco che era ballata sia nei quartieri del Bronx, sia in quelli alti di Manhattan: un altro modo di intendere il superamento dei confini quindi, abbattendo le classi sociali, e considerando metaforicamente la musica alla stregua dei treni della metropolitana che viaggiavano veloci tra i vari quartieri americani, tutti colorati dai disegni dei writers che si stavano imponendo sulla scena cittadina in quel momento.

Questo scritto è per tutti. Artisti, musicisti, appassionati in genere.

Parla, letteralmente, al cuore delle persone perché ci induce una voglia di osare, come facevano i musicisti dell’epoca, dapprima senza una soldo, che rischiavano di perdere davvero tutto perché non sapevano se il loro lavoro sarebbe stato apprezzato dai media e dal pubblico.

Ai tempi sono stati accettati da tutti e ora sono osannati. Vengono descritti innumerevoli artisti e le loro vite in questo libro di 350 pagine in maniera tale da farli essere tutti protagonisti; davvero un lavoro encomiabile.

Il contesto storico è analizzato alla perfezione come anche si percepisce in maniera distinta l’energia creativa che trasmetteva la brulicante New York negli anni '70.

08/07/2022

Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway

Il vecchio e il mare. Andrea Brattelli alle prese con un grande classico, in occasione dell'anniversario della morte di Ernest Hemingway (il 2 luglio). Pubblicato dapprima su Life nel 1952 e vincitore del Pulitzer e del Bancarella (in Italia il romanzo fu criticato da Moravia e apprezzato da Montale e Calvino), il romanzo contribuì inoltre a far ottenere il Nobel allo scrittore statunitense.


Il vecchio e il mare è la storia di un uomo, un pescatore cubano, che ogni giorno lotta contro la natura, le difficoltà, la povertà e... se stesso. Quale periodo migliore, se non questo, per farci guidare da Hemingway a visitare i Caraibi e vivere la vita di Santiago?

Il riverbero delle onde che si infrangono sulla battigia e il riflesso del sole sull’incresparsi dei frangenti del mare segnano un’altra giornata di “magra” per il protagonista che da troppi giorni non porta pesce a casa.

Il romanzo basa le sue fondamenta proprio su questo personaggio che ci rende partecipi delle sue peripezie: sentiamo i suoi fallimenti e la vita ci sembra impossibile; assaporiamo la sua speranza e perseveranza che ci arricchisce lo spirito. La sua ostinazione gli fa sopportare le difficoltà giorno dopo giorno. Il segreto è occuparsi delle cose semplici quotidianamente e tifare per Joe DiMaggio.

Ogni giorno Santiago si incontra con il suo amico, Manolin, di cui si prende cura, con il quale discute di pesca e sport. I due sembrano legati dallo stesso destino. Questo rapporto dà forza a entrambi, perché ognuno di loro si rifiuta di credere che la sfortuna li perseguiterà ancora per molto. Ed è così che avvertiamo la stanchezza negli occhi nel leggere che il pescatore si addentra sempre più nel ventre del mare, sempre più lontano, scrutando sotto il sole cocente all’orizzonte per cercare fauna marina da portare in tavola. Sentiamo il suo male di schiena mentre si china in continuazione per sollevare reti, lenze e perché dorme la notte su un giaciglio di fortuna oppresso dai pensieri.

Questa novella ci insegna cosa significhi essere un umano e dover imparare a parlare con la Natura per sopravvivere, con l’acqua, con esseri resi soprannaturali che custodiscono il linguaggio più antico del mondo. Crediamo di aver comprato qualsivoglia frammento di spiaggia soltanto perché la solchiamo e siamo tanto temerari da pensare che l’oceano e la sua fauna rispondano prontamente ai nostri bisogni quando lo desideriamo.

01/07/2022

Mario Tobino, Il figlio del farmacista

Di Mario Tobino conosciamo sicuramente Il clandestino (Premio Strega 1962) e Per le antiche scale (Campiello 1972, portato poi sullo schermo da Mauro Bolognini), ma Andrea Brattelli ci parla del suo esordio nella narrativa con Il figlio del farmacista, pubblicato durante la seconda guerra mondiale. Figura estremamente interessante quella di Tobino, medico psichiatra e neurologo che ha partecipato alla resistenza ed era contrario alla chiusura dei manicomi. Molti dei suoi libri sono stati portati al cinema; in particolare, Il deserto della Libia ha ispirato Scemo di guerra di Dino Risi e Le rose del deserto di Mario Monicelli.


Il figlio del farmacista è il primo romanzo di Mario Tobino. Lo scritto è chiaramente autobiografico ma non segue un andamento lineare nel tempo; il motivo innanzitutto risiede nel fatto che non è l'ennesima storia che inizia raccontando di un'infanzia travagliata per poi mostrare come, attraverso la fatica, si arrivi al raggiungimento di tutti gli obiettivi che si erano prefissati, bensì l'opera inizia descrivendo in maniera suggestiva l'ambiente famigliare dell’autore a Viareggio e il suo percorso per diventare medico.

Lampi di luce illuminano lo svolgersi naturale degli accadimenti e nell'animo del giovane si accendono le emozioni tipiche di chi vuole scoprire qualcosa di nuovo tutti i giorni. L'esperienza, in generale, la si desume attraverso i sensi e ci impone di fare delle riflessioni su ciò che ci accade intorno.

Questo domestico poema in prosa è un disinvolto incastro e disincastro tra pensieri e fatti dove vi è uno sdoppiamento tra l’io narrante e la persona narrata. Riecheggiano quindi, in questo senso, odi al futurismo appena passato, in una Bologna in fermento dove prevale la "prosa d'arte" nel descriverla.

Sussiste una mescolanza tra parlata toscana e ligure, dialetti che vengono torniti formando periodi che, con attenzione, come quando si lavora un oggetto unico ad un macchinario, si cerca di tenere coesi in un ritmo che non crei tensioni interne.

La voglia di scrivere per il narratore è come una strega che affascina molti ma li condanna quasi tutti al fallimento: è per questo motivo che Tobino narra i fatti con serenità, un pizzico di ironia e saggia comprensione senza scadere nel decadente e nell'autocompassionevole.

Ciò che l’autore scrive e il modo sembrano le confidenze di un uomo avanti negli anni che ripercorre i momenti salienti della sua giovinezza con dolce compiacimento e garbata nostalgia; il libro invece è stato concepito da un giovane e assume un sapore particolare da questo incontro tra freschezza dei fatti narrati e precoce erudizione letteraria e psicologica.