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La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

30/06/2023

La luna e i falò, di Cesare Pavese

Andrea Brattelli ci parla di uno dei libri (a ragione) più amati dalle ultime generazioni: La luna e i falò. Un capolavoro e un testamento letterario (scritto nel 1949, viene pubblicato nel 1950 poco prima del suicidio dell'autore) nel quale Cesare Pavese narra la società contadina delle Langhe, ma anche un romanzo sul ritorno, la Resistenza, il controverso rapporto con le proprie radici (o con la loro mancanza), la ricerca di sé. Personalmente vi consiglio anche l'adattamento in graphic novel a opera di Marino Magliani e Marco D’Aponte per Tunué, un coraggioso esperimento che utilizza l'artificio metanarrativo. 


"Puoi portare il ragazzo fuori dal paese, ma non puoi portare il paese fuori dal ragazzo", così recita un proverbio.

La luna e i falò è un romanzo profondamente radicato nell’animo di Cesare Pavese che lo ha scritto. Egli narra la storia di Anguilla, un uomo d'affari di successo, che torna dalla California per riconnettersi con il suo suo paese natale, l'Italia, dopo anni e anni di assenza. Nel villaggio dove visse con la famiglia affidataria, in Piemonte, vicino al fiume Belbo, dovette sopportare un’infanzia difficile fatta di povertà e privazioni, illuminata però dalla presenza di un amico, un ragazzo più grande di lui di nome Nuto.

Fin dall'inizio, la posizione incerta del narratore è palpabile nella storia. Cresciuto come un contadino, piuttosto che come un vero figlio, Anguilla in età adolescenziale potremmo considerarlo come una barca alla deriva in questo mondo, sempre però alla ricerca di una vita migliore.

Di questo ragazzo che diventerà poi un uomo ambizioso l’autore ne tratteggia finemente la psicologia. Dalle grandi città in cui tanto e tutto è a disposizione degli esseri umani ma nessuno si gode nulla, torna nello stesso “buco” da dove è disperatamente fuggito. Preferisce al trambusto l’odore dell’erba, delle piante e dei fiori; ammira fazzoletti di vigna che asciugano le lacrime di coloro che, non avendo nulla, trovano sollievo nel cibarsi dei frutti che la terra dona. 

All'improvviso quindi questo luogo che lo imbarazzava e che ora lo porta a nuovamente a vergognarsi perché egli non lo aveva considerato adeguatamente ai tempi e non era stato grato a queste colline che lo hanno educato attraverso la fatica della vita campestre, esplode in tutti i suoi colori e nella sua bellezza.

Il cerchio si chiude dunque e, come scrisse T.S.Eliot: "[…] la fine di tutte le nostre esplorazioni giungerà quando saremo tornati da dove abbiamo iniziato e conosceremo questo posto come se fosse la prima volta.[…]". 

La luna e i falò può essere considerata un’opera un po’ ripetitiva per quanto concerne i temi trattati ma è comunque una prova letteraria molto suggestiva sulla nostalgia e il senso di appartenenza che rende un toccante omaggio alla campagna italiana, anch’essa protagonista e sofferente, come gli uomini, della guerra che ha vissuto in passato e che ha irrorato di sangue dei popoli i vitigni dall’uva rossa.

23/06/2023

Gente in viaggio, di Saverio Strati

Andrea Brattelli sceglie di parlare di un libro ormai dimenticato: Gente in viaggio, pubblicato per la prima volta nel 1966, che raccoglie 14 racconti nei quali l'autore Saverio Strati racconta la Calabria e le storie della sua povera gente tormentata dalla fame. 

"Questi sono i veri peccati: approfittare della miseria dei poveri.”



Nel 1966 Saverio Strati riunisce in un volume quasi tutti i racconti (in realtà è Debenedetti che li sceglie) pubblicati su "Il Paragone" e "Il Contemporaneo" tra il 1954 e il 1957. L’opera è divisa in tre parti. La prima parte include "La quercia", "La selvaggina", "La regalia", "Le pesche", "Gianni Palaia di Melissa". Il tema che li accomuna è l’amaro destino dell’età adulta.

La seconda parte raccoglie "Per una manciata di more", "Viaggio in macchina", "A piedi nudi", "I calzoni di Gregorio". Il tema di fondo di queste storie è la violenza fatta patire agli adolescenti. La terza parte mette insieme "Una fine brutta", "Don Michelino il Barbiere", "La casa di Mastro Cristoforo", "Limitri"e "Gente in viaggio".

In tutte queste narrazioni la fame non è solo identificata nella miseria nera ma è anche torto subito, sopruso. Il potere, che, di volta in volta, è impersonificato nella figura di un maresciallo, piuttosto che in quella del podestà, del dottore e via discorrendo, viene smitizzato, smontato nei suoi meccanismi perversi. È il lavoro degli sfruttati che rende forti i galantuomini.

Da questa frase tratta da "Gente in viaggio":

[…]”Lui è perché lo facciamo noi essere”[…]

Si evince il clima teso delle trame. Sono tutte storie di morti di fame costretti a lavorare la terra per ingrassare il padrone di turno. Il tema dello sfruttamento si arricchisce tuttavia del contrasto ideologico tra la generazione dei padri e quella dei figli non più disposti a subire. Ed è quindi in questo frangente che inizia una sorta di rivolta. L’unica ribellione possibile però sussiste nel migrare, andare via in Spagna piuttosto che in Abissinia durante il fascismo, schiacciare quindi altri disgraziati per assicurare alla famiglia il sussidio del duce. Ma non si vuole qui piangere sulla condizione del Mezzogiorno che la Calabria di Strati richiama nei suoi paradigmi più noti e, spesso, più abusati a fine di folclore che rimescola nell’animo gli istinti più animaleschi.

Protagonisti indiscussi della seconda parte del libro sono gli adolescenti e forse è proprio per questo che le narrazioni assumono i contorni di una fiaba. Una novella tra tutte è emblematica in tal senso: "La casa di Mastro Cristoforo". In essa si tratta il tema del ritorno in terra natia dopo anni di duro lavoro all’estero. Il protagonista ha finalmente i soldi per mettere su casa ma, improvvisamente, muore. I temi del racconto popolare conditi con ingenuità ci sono tutti: il destino, lo sforzo compiuto per riscattarsi, la conquista della libertà affrancandosi dalla schiavitù.

L’impegno sociale però si evince nella storia che dà il titolo alla raccolta, ovvero "Gente in viaggio" e su cui, per vari motivi, mi vorrei soffermare.

Sceneggiato dall’autore, insieme a Roberto Mazzucco, fu trasmesso il 10 Luglio 1973 per la TV dei ragazzi nel ciclo "Racconti italiani". È il racconto più stilisticamente vivace, ma anche il più elegante della raccolta, che, in parte, corregge il pregiudizio della povertà linguistica di Strati. Chi racconta la vicenda in prima persona è un giovane intellettuale, che sul traghetto Messina – Reggio si imbatte in Benedicimus. L’ironia è velata anche nel nome; si tratta di un volgare e arricchito commerciante di origine contadina. Questi non crede molto nella politica ma, costretto a prendere posizione, professa un rozzo partitismo. I buoni sono i democratici cristiani i cattivi i comunisti, straccioni e pidocchiosi. Le cose si complicano quando il ragazzo gli rivelerà che, seppur egli è un ingegnere, vota per il P.C.I. Il piano del faccendiere escogitato durante la conversazione, ovvero di poter dare in sposa sua figlia al colto protagonista sembra andare a farsi benedire, ma nel conformismo di Benedicimus anche un comunista trova posto.

16/06/2023

Tonio Kröger, di Thomas Mann

Andrea Brattelli parla di Tonio Kröger, novella del 1903 che racchiude il pensiero giovanile di Thomas Mann sulla vita e sull'arte. Le influenze dei filosofi contemporanei si uniscono a riflessioni autobiografiche trasfuse nell'opera prediletta dallo stesso autore.



Siamo nel periodo a cavallo tra il 19° e il 20° secolo, vi è un cauto ottimismo riguardante il progresso tecnologico che fa capolino durante l’avanzata della rivoluzione industriale. È proprio in questo momento che Thomas Mann partorisce questa novella intrisa del nervosismo della borghesia democratica e liberale spaventata da piccoli imprenditori emergenti con cui si sarebbe dovuta spartire il piatto (le posizioni al vertice dello stato, nell’esercito e l’amministrazione) insieme anche agli imperituri nobili da sempre esistenti. A contemplare questa decadenza vi erano cultori della bellezza della sensualità sin troppo ostentata e raffinata, completamente avulsi dalla realtà.

Tornando allo stile dell’opera, tanto per rimanere in tema, possiamo notare come manchi totalmente un evento che possa innescare delle azioni tra i personaggi. Vi sono, piuttosto, descrizioni di stati d’animo e riflessioni che sottolineano lo sviluppo di Tonio Kröger come artista collegati in rapida successione come in un leitmotiv* che Richard Wagner esprimeva, ai tempi, attraverso la sua musica. Lo stesso abbinamento tra il suo nome e cognome inaspriscono il divario tra esotico e borghese, esprimono il contrasto tra spirito e vita, tra artista e borghesia.

Al centro della narrazione c’è il famoso monologo, emblema del libro, del protagonista sull’arte, di chiaro stampo saggistico. Nella sua conversazione con la pittrice Lisaweta, Tonio Kröger formula la teoria dell'estetismo: l'arte è soprattutto stile, forma ed espressione. Contenuto e verità sono secondari. Allo stesso tempo, prende le distanze dall'arroganza e dall'ironica indifferenza del dandy: non è l'eccentrico, il raffinato, il morboso che caratterizza il vero artista, ma il desiderio segreto per i piaceri della vita ordinaria.

La concezione della sofferenza come prerequisito per la creazione artistica si basa essenzialmente sullo studio da parte dell’autore della filosofia di Arthur Schopenhauer. Vedeva la volontà come la forza trainante e la causa di tutte le sofferenze del mondo. Solo l'ascetismo e la rinuncia offrirebbero la salvezza veicolata dall’arte.

Il netto contrasto tra arte e vita, tra malato e sano, tra luminoso e buio, che dà vita all’intera narrazione è chiaramente ispirato da Friedrich Nietzsche, il cui operato ha esercitato una grande influenza anche su Thomas Mann.

Secondo l'idea che il narratore ha dell'artista, questi soffre della sua coscienza elitaria, ma qualsiasi pathos emotivo è da evitare. Camuffa il suo dolore con la maschera dell'ironia, con l'aiuto della quale mantiene la sua superiorità stucchevole e si protegge dalla pietà degli altri.

Tonio Kröger si sente escluso da una vita felice e normale non solo a causa del suo talento artistico e la sua sensibilità innata, ma anche per le sue tendenze omosessuali. L'ex compagno di classe di Mann, Armin Martens, con il quale provava un amore tanto appassionato quanto doloroso, è il modello utilizzato per impersonare il rubacuori d'infanzia del personaggio principale, Hans Hansen.

In definitiva questo scritto è considerato una confessione personale e artistica di Thomas Mann. Egli stesso descrisse la storia come la sua "figlia letteraria preferita".


*frasi e immagini linguistiche ripetitive.

13/06/2023

Vergogna, di John Maxwell Coetzee

John Maxwell Coetzee, nato nel 1940 a Città del Capo, è uno scrittore sudafricano di discendenza afrikaner che nei suoi libri ha parlato spesso di apartheid ma anche di diritti degli animali. Vergogna è uscito nel 1999 e ha vinto il Booker Prize. Non a caso al suo interno si trovano parecchie riflessioni animaliste e antispeciste (per un approfondimento consiglio la lettura di questa analisi che ho trovato molto interessante): al 2000 risale infatti La vita degli animali, che riprende in forma letteraria le lezioni tenute dall'autore a Princeton pochi anni prima sul maltrattamento degli animali. Qui trovate inoltre la puntata di un podcast focalizzato su scrittori antispecisti dedicata a Coetzee.

Il titolo originale di Vergogna è Disgrace. Eppure anche la variante italiana ha un significato che rispecchia inequivocabilmente il contenuto del romanzo. La vergogna richiamata dal titolo è doppia: è quella di David Lurie, il protagonista, un docente universitario di 52 anni che commette un abuso su una delle sue studentesse ed è costretto a lasciare il lavoro; ed è quella che prova la figlia di Lurie, che subisce violenza da tre sconosciuti poco dopo essere stata raggiunta in campagna dal padre fuggitivo.

I messaggi che ci vengono lanciati dalle pagine di questo libro sono talmente tanti che non basterebbe un trattato per elencarli tutti: ciò che maggiormente colpisce è la crescita di Lurie, che da uomo interamente governato dal desiderio sessuale (al punto che l'incipit è proprio: "A suo avviso, per essere un uomo della sua età, cinquantadue anni, divorziato, ha risolto il problema del sesso piuttosto bene") compie un enorme cambiamento nel giro di poche settimane. 

Vergogna è un libro duro, che con le sue 200 pagine ci conduce in un mondo fatto di regole forse incomprensibili per chi proviene da un'altra cultura; è un romanzo che trascende la narrazione per formarci e informarci, non solo sul rapporto tra natura e cultura e sulla violenza insita nella campagna (argomento ricorrente nella letteratura e nella cinematografia), ma anche sui delicati rapporti tra padre e figlia e sulle molteplici sfumature che regolano le relazioni tra uomini e donne. 

Vergogna è un libro duro anche per un altro motivo: fa provare rabbia per la scelta di Lucy di restare in un luogo all'apparenza inospitale dove la ragazza ha conosciuto la violenza; eppure la sua scelta è in qualche modo comprensibile: perché in quanto vittima dovrebbe lasciare la sua casa? La decisione di denunciare lo stupro spetta solo a chi ha subito violenza: il compito di chi sta accanto alla vittima non dovrebbe essere convincere o costringere, ma ascoltare, sentire, empatizzare, comprendere.

Vergogna è un libro controverso. Accusato di razzismo, di pessimismo, di eccessivo compiacimento della Disgrace affrontata da David e da Lucy; sgradevole nelle descrizioni che Lurie fa delle donne; durissimo nel delineare la sorte degli animali che giungono alla clinica veterinaria teatro della trasformazione di David. Eppure, se ci si lascia trasportare dalle straordinarie capacità narrative di Coetzee, si potrà addirittura ridere di una grottesca situazione vissuta da Lurie. 

Per concludere, c'è un ulteriore elemento che all'interno del romanzo resta sullo sfondo, ma non per questo è meno rilevante: Lurie lavora a un'opera incentrata sull'amore tra Lord Byron e Teresa Gamba Guiccioli; un'opera che cambia forma col passare del tempo, proprio come il protagonista, plasmato dagli eventi... E, per quanto mi riguarda, anche chi legge Vergogna si sentirà, almeno in parte, cambiare. Come dice Aidan Chambers: "Siamo quello che leggiamo."

09/06/2023

Ritorno a Brideshead, di Evelyn Waugh

Andrea Brattelli ci parla di un romanzo del 1945, Ritorno a Brideshead, incentrato sulle avventure sentimentali del protagonista e molto personale quando affronta il tema religioso, rispecchiando nel testo la conversione al cattolicesimo dell'autore Evelyn Waugh. Nel 2008 il romanzo è diventato un film per la regia di Julian Jarrold.

"Conoscere e amare un altro essere umano è la radice di ogni saggezza." ∼ Evelyn Waugh, Brideshead Revisited

Il fiore della saggezza ha radici profonde perché deve resistere ai forti venti della frustrazione dato che è difficile che sbocci al primo tentativo ma ne occorrono molti, così come saranno tanti prima i fallimenti; occorre avere una ricca conoscenza di cui son costituiti i suoi semi.

Brideshead Revisited di Evelyn Waugh è una storia riguardante la coltivazione della saggezza, della salvezza e dell’amore che ne deriva. Leggendo questo libro mi è venuta in mente la canzone di De André intitolata “Via del Campo” in cui ad un tratto l’autore canta “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono fior”: infatti è solo andando oltre le apparenze che ci si eleva. Vedere qualcuno cambiare punto di vista ormai è un qualcosa che sulla Terra è quasi impossibile da osservare, come quando si guarda l’ambiente circostante attraverso un vetro scuro.

Quest’opera è davvero molto nodosa, simile ad una radice appunto. I motivi sono molteplici: per prima cosa, la reale protagonista della vicenda è un'élite sbiadita che ci respinge con il suo snobismo e ci frusta sul viso, seppur leggermente, con un fascio di giunchi, metafora della sua presunta superiorità.

Apatia e infelicità accompagnano la maggior parte di personaggi del libro. La sordidità e l’eleganza non vengono considerate un ossimoro nelle abbienti famiglie della Oxford degli anni '20. Il languore appartiene alla giovinezza e muore con essa.

Cavalcando ancora il paradosso, la scontentezza alimenta alcune delle scene più divertenti presenti nella narrazione. Waugh stesso infatti sembra reincarnarsi nel corpo di un consumato snob e ci offre uno spettacolo caricaturale degli interpreti dell’Inghilterra aristocratica travisando il significato di una poesia di Hilaire Belloc in cui egli scrive:” […] Nelle mie passeggiate mi sembra che la grazia di Dio sia cortesia […]." 

Ecco, per i suddetti nobili inglesi questa frase simboleggia il fatto che a loro tutte gli sia dovuto... Non riflettono minimamente sul fatto che abbracciare Dio significhi godere appieno delle sue creazioni, fare esperienze di vita reale pur affrontando le difficoltà, e non, invece, starsene tutto il giorno entro mura e giardini domestici, chiusi in una gabbia d’oro non andando mai a patti neppure con le proprie certezze. Non sembra questo il modo di vivere odierno di moltissime persone che, attraverso i social, sopravvivono a una vita fatta di apparenze e non sperimentano quella vera? Charles Ryder, il protagonista, si ribellerà, finalmente, ad un certo punto, a tutto questo e smetterà di essere un antiquario di gusti che non piacciono più a nessuno.

Quale insegnamento si può trarre dalla lettura di questo romanzo? Vari, in realtà.

Impareremo che sebbene amare ed entrare in intimità con un essere umano sia la radice della saggezza, amare e conoscere potrebbe risultare molto doloroso.

Capiremo che, sebbene amare e conoscere un essere umano sia la radice della saggezza potrebbe essere necessario non fidarsi delle apparenze altrimenti la delusione griderà come una voce nel deserto anche se, alla fine, ci porterà ad una revisione corroborante della nostra vita.

02/06/2023

La fine è nota, di Geoffrey Holiday Hall

La fine è nota, uno dei due romanzi scritti dall'enigmatico Geoffrey Holiday Hall, si intitola così perché è un poliziesco che inizia dalla fine. Non lo conoscevo prima di leggere la recensione di Andrea Brattelli. Sciascia ne parlava in questi termini: «Fin dalle prime pagine mi parve di qualità diversa, di livello più alto. Ero allora fortemente affezionato agli scrittori americani, da Steinbeck a Caldwell a Faulkner a Cain: e mi parve che in quella pleiade si accendesse il lumicino del giovane Holiday Hall».


Riassumendo in poche parole questo romanzo, lo si potrebbe definire un giallo dal cuore blue(s) con tinte di noir intriso di malinconica e latente sofferenza di chiaro stampo faulkneriano. La narrazione a ritroso è avvolgente e lo scrittore (di cui misteriosamente si sa realmente poco o nulla) è capace di svelare il meccanismo che ruota intorno a un suicidio tramite un gioco coinvolgente e avvolgente, molto originale oserei definire.

Bayard Paulton, il protagonista della vicenda, è un brav'uomo, onesto e dedito al lavoro. Nell’afosa estate newyorkese si tampona la fronte con un fazzoletto di seta a causa del caldo e per le preoccupazioni dovute ad agitazioni sindacali i quali rappresentanti, in balia di una sorta di narcisismo patologico, cercano di cavalcare il malcontento contro i responsabili dei magazzini Noblington anche a costo di sacrificare i posti di lavoro degli operai.

Qualcosa di imprevedibile però sconvolge la vita del nostro vicepresidente: uno sconosciuto, mentre egli è ancora via per delle faccende, suona alla sua porta chiedendo di lui, la giovane e bella moglie lo accoglie in casa e il forestiero si butta giù dal balcone.

Chi era quell’uomo? Cosa voleva da Paultron? Perché era così disperato da suicidarsi?

Per lo sconcertato protagonista rispondere a queste domande diventerà un bisogno primario e pressante.

Non manca, come nei noir anni ’40, la figura della femme fatale protagonista anche dei film in bianco e nero di quegli anni. In questo senso si può affermare che questo libro sia figlio del suo tempo. La misoginia di quel periodo prevedeva la presenza di una donna bella e giovane ma estremamente vacua, incapace di provare sentimenti reali per chiunque, che usa il suo fascino per irretire uomini abbienti e assicurarsi la vita che desidera fatta di shopping e basata sullo sfoggiare vestiti alla moda, cappellini abbinati che poi finiranno presto nel dimenticatoio nell’armadio così come i suoi marmocchi staranno in un sempiterno torpore tra le braccia a foggia di quercia di anziane badanti sovrappeso fino a quando non saranno da ostentare presso amicizie selezionate.

In definitiva, posso confermare che il merito maggiore del romanzo è il saper coinvolgere efficacemente il lettore nella ricerca di informazioni sull’ enigmatico Roy Keaney insieme a Bayard Paulton. Il primo, suicida, il grande assente, viene ricordato da varie comparse che raccontano anche di se stessi, incalzati da domande atte a cercare di svelare il motivo del suo tragico gesto. Ne scaturisce un panorama desolato, avvelenato da ambizioni malsane e frequentazioni ambigue. L’espressività e la psicologia dei personaggi è delineata in maniera raffinata e avvincente. La reminiscenza stessa del defunto è riconducibile ad una brace accesa più che ad un fuoco fatuo e, sebbene Sciascia paragonò questo scritto ad un’opera di Steinbeck o Faulkner, a me Roy fa pensare di più a Suttree, protagonista dell’omonimo romanzo di Cormac McCarthy. Capitolo dopo capitolo lo spirito del suicida con la sua inquietudine ci condurrà, in un crescendo di tensione, a scoprire l’arcano.