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La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

25/06/2021

Serpico di Peter Maas

Questa settimana Andrea Brattelli ci parla della biografia, uscita nel 1973, di un personaggio davvero affascinante: l'agente di polizia Frank Serpico.


Ispirato da una storia vera, il libro in questione tratta della vita di Frank Serpico, un poliziotto newyorkese il quale, portato agonizzante in ospedale in seguito ad una ferita da arma da fuoco, ricorda il suo passato, mentre del sangue copiosamente gli sgorga dal viso, increspando la sua barba arruffata da hippie.

Perché è vestito così? Perché tanti suoi colleghi lo vorrebbero vedere morto? Perché quest’uomo è così importante?

Ma la domanda che svela la risposta di tutti i precedenti quesiti, e che sottintende un paradosso è: ci si può fidare di uno sbirro incorruttibile?

Un flashback ci riporta ai suoi inizi, quando era giovane, appena uscito dall’Accademia di Polizia.

Pieno di buoni principi e con un’idea romantica della giustizia, Frank osserva con preoccupazione le concessioni fatte dai suoi colleghi in cambio di piccoli favori: una multa non fatta per un parcheggio in doppia fila, del cibo non pagato presso un ristorante dei sobborghi.

Ciò che lo turba però di più inizialmente sono i metodi violenti dei suoi colleghi: chiede così il trasferimento, ma la situazione non cambia. Le buste per corromperlo arrivano ancora prima che egli prenda servizio presso il nuovo distretto.

Illustrando in modo angosciante il dilemma vissuto dal protagonista, il film illustra la corruzione come qualcosa di endemico che è reso accettabile per tutti dal fatto che è imposta dalla polizia cittadina.

Diviso quindi tra la volontà di cambiare il sistema e la ripugnanza nel diventare una spia, Serpico cerca inizialmente di ignorare il problema e ci costringe persino a cercare di capire l’atteggiamento dei suoi colleghi, poiché molti di loro hanno famiglia e non guadagnano abbastanza svolgendo il lavoro di onesti pubblici ufficiali.

Peter Maas descrive il protagonista con molta minuzia, dimostrando una grande intelligenza.

Durante la narrazione crea contrasto tra l’angoscia futura di Serpico e i suoi modi irriverenti di ex cadetto appena diplomato alla scuola di polizia ed è commovente osservare come il giovane, che risponde zelante alle chiamate fuori dalla sua giurisdizione, finirà per lasciare il posto ad un uomo amareggiato e che diffida di tutto e tutti, nervoso e intrattabile.

In realtà il protagonista è un uomo calmo e i suoi dissidi interiori li maschera dietro idiosincrasie: giocherella con elastici durante chiacchierate ed interrogatori, si prende cura in maniera maniacale del suo cane, a volte fa fatica a sedersi perché tenendosi sempre le mani sulla fronte, come se volesse costringere i suoi pensieri più orridi ad essere confinanti nel suo cranio, non riesce a orientarsi e ad appoggiarsi al bracciolo, col rischio di cadere.

Il suo diventare nervoso poi però vince sulla calma, e i suoi colleghi rimangono esterrefatti notando il crescere del suo disagio fino alla perdita di serenità da parte di Serpico e al giungere della rabbia vera e propria.

Ma Frank è più di un poliziotto: egli dimostra altri interessi oltre a cercare di "risolvere il caso e arrestare il cattivo”; è interessato all'arte e cerca di stabilire un contatto con persone provenienti da diverse aree di interesse, mostrando la sua sintonia con il suo tempo anche attraverso il suo aspetto, facendosi crescere i baffi e i suoi capelli, il che lo aiuta nel travestimento quando si infiltra.

La verosimiglianza alla narrazione è data dallo scrittore attraverso dettagli: il poliziotto che scrive la targa di un'auto colpita accidentalmente durante una sparatoria, la cura di Serpico nel compilare i rapporti degli arresti che fa. Inoltre Peter Maas illustra il senso di isolamento del protagonista mettendolo a fuoco in ampi scorci di vita quotidiana che lo rendono piccolo davanti al mondo e ci fanno capire il suo disagio psicologico e il suo bisogno di aiuto inserendo ad esempio, in un episodio, un primo piano degli investigatori che lo circondano nel parco; il risultato è chiaramente opprimente.

Mi soffermerei ora nel descrivere gli ambienti, così come vengono posti sotto i riflettori dalla penna dell’autore: l’atmosfera urbana e decadente, al pari dei vestiti e costumi indossati da Serpico durante il periodo in cui svolgeva il ruolo di poliziotto infiltrato; vengono descritti con cura i braccialetti e la bigiotteria, come se fossero gioielli di Cartier.

Inoltre, l'appartamento di Frank è perennemente a soqquadro, macchine da scrivere ovunque per redarre lettere da mandare ai suoi superiori. In questo modo si evince che anche la burocrazia che è dietro particolari azioni influisce negativamente sugli arresti.

Alla fine tuttavia, ciò che conta davvero è lasciarsi andare nel seguire la traiettoria emotiva e psicologica del personaggio del titolo e la sua tragedia, la quale non risiede solo nella situazione impossibile che lo circonda, ma nella distruzione irreparabile del suo sogno di essere un poliziotto efficiente in un incorruttibile dipartimento. Così, quando Serpico finalmente lancia un piccolo grido, ci rendiamo conto che, in un modo o nell'altro, la sua battaglia è già persa e ci dispiace non solo per la sua delusione, ma anche per il cinismo del mondo in cui vive (e nel quale tutti noi viviamo).

18/06/2021

Il nudo e il morto di Norman Mailer

Questa volta Andrea Brattelli ci parla di uno dei più conosciuti romanzi sulla seconda guerra mondiale: Il nudo e il morto, pubblicato nel 1948 quando Norman Mailer aveva appena 25 anni. Per questo romanzo d'esordio, l'autore prese spunto dalla sua esperienza come cuoco durante la campagna delle Filippine. 

"Nessuno poté dormire. Al mattino le imbarcazioni d'assalto sarebbero state calate in mare e le prime truppe, traversando la fascia della risacca, avrebbero messo piede sulla spiaggia di Anopopei. Gli uomini di ogni reparto, a bordo di ogni nave del convoglio, sapevano che tra qualche ora qualcuno di loro sarebbe morto."




Scenario: una brigata americana sta combattendo i giapponesi su una non ben determinata isola del Pacifico.

Il lettore entra subito, sin dalle prime righe, in intimità con tutti i personaggi dell’opera; dai protagonisti alle comparse, dai soldati semplici fino al generale. Nonostante le differenze culturali e le sofferenze patite in battaglia, la maggior parte dei nostri eroi ci appare rispettabile, gentile e sobria.

Quando scrisse questo romanzo, Norman Mailer aveva solo 25 anni e quindi un po' di ingenuità gliela si può perdonare. Trapelano infatti tra le righe dello scritto echi di infinita bontà che, alla resa dei conti, per chi è fondamentalmente istruito alla “pietà”, è preferita alla vendetta.

Sembra che lo scrittore voglia impartire una sorta di morale ai giovani piuttosto che scrivere un romanzo di guerra per adulti che si aspettano di leggere di soldati spaventati e imprecanti che combattono senza sosta spinti dalla “pietas”.

I combattenti che compaiono come protagonisti in altri libri sono però sempre giovani forse fin troppo illuminati per essere destinati a morire in guerre volute da altri.

Mr. Mailer ovviamente non ama la guerra, né le persone che combattono. Addirittura penso odi anche coloro che vengono illusi dalla propaganda pacifista. Non è quindi molto chiaro perché abbia voluto scrivere questo volume (lo definisco così data la lunghezza) a tratti neppure molto originale per quanto concerne i temi trattati.

La natura dei protagonisti, i quali non sono avvezzi a queste situazioni, viene letteralmente deformata dalle circostanze inevitabili in battaglia e dal clima che si respira in una organizzazione militare.

La generazione rappresentata è diventata adulta al momento di partire per la Seconda Guerra Mondiale, ha visto la generazione precedente riprendersi la democrazia dopo la prima guerra mondiale e soccombere alla Grande Depressione; le minoranze (sangue misto di ebrei americani, messicani americani) non sono state assimilate ancora dal grande sogno di un paese unito sotto la bandiera di una stessa nazione e le varie etnie mostrano i problemi di integrazione nei vari reparti.

Si fa quindi una perfetta analogia tra i gruppi dominanti che osservano dall’alto gli alterchi tra etnie e le industrie dei magnati del petrolio e di altri settori strategici che sono in competizione tra loro per il predominio su interi settori economici.

Durante la pace vi è una crescita del paese che porta a livellare le differenze economiche e sociali e le grandi industrie cercano accordi; durante la guerra invece i più forti fanno sì che i più poveri soccombano perché i primi hanno usurpato già dei diritti ai secondi e ne pretendono di più ancora per ottenere livelli di potere senza precedenti.

Tornando all’analisi del nostro racconto, come accade per tradizione in ogni buon romanzo americano vi sono dei flashback sulla vita passata, domestica, ora di un soldato, ora di un altro. Queste tecniche stilistiche si mescolano sapientemente con la paura ispirata dal pericolo che emerge nei superbi dialoghi tra il generale e i suoi alti ufficiali.

Fini psicologi non arriveranno mai a capire ciò che Norman aveva già compreso in giovane età e descritto ne Il nudo e il morto: le disgrazie per l’umanità non derivano da un unico dittatore ma da finti leader che bramando potere faranno leva e parleranno alla pancia dei propri accoliti; le loro sembianze saranno quelle di manager non troppo detestabili, non di volgari prepotenti.

La figura del generale protagonista in questa guerra è assimilabile alla descrizione di cui sopra: un intellettuale fascista, un ossimoro vivente che guida le miserie umane.

La battaglia è inquadrata sotto vari punti di vista, come una telecamera che si muove repentinamente: ora vi è il punto di vista del generale, ora dei suoi alti ufficiali consiglieri, ora del plotone che, seppur formato da un’orda di uomini, sembra un gigantesco serpente preistorico che vive di vita propria.

Scorgiamo così l’occhio clinico dell’autore/regista che mostra l’intero shock della battaglia come se egli stesso fosse colpito su un nervo scoperto. Il metodo descrittivo mi riporta alla mente Un cane andaluso o i versi della canzone Psycho Killer.

Vi è uno sforzo inutile e sadico da parte dell’autore nel descrivere certe scene della vita dei nostri eroi che collimano sottilmente con l’esperienza di guerra: la scena in cui Gallagher continua a ricevere le lettere della moglie morta di parto e lui le scrive aspettando una sua risposta non sospettando nulla; la morte di Wilson ecc.

Il nudo e il morto è un romanzo enormemente lungo, come un fiume le cui acque sono agitate della disillusione, che non lascia nulla all'immaginazione. È un bombardamento continuo dell’anima del lettore che arriva fino alla saturazione. I soldati di Mr. Mailer sono persone reali, che tramandano oralmente il vernacolo dell'amarezza e dell'agonia umane.

Un bagliore del cielo è abbastanza fedele come immagine metaforica allo spettro della battaglia ed illumina il sangue, che sgorga dalle viscere degli uomini e della guerra. Eppure, nonostante tutto il suo virtuosismo, i suoi assordanti colpi di cannone evocativi, il romanzo può essere semplicemente interpretato come una serie di scene teatrali che si susseguono anche l’una indipendente dall’altra dove ogni personaggio mette in scena i suoi drammi interiori più profondi ma anche le sue scaramucce con i compagni di ventura.

11/06/2021

Un uomo da marciapiede di James Leo Herlihy

Andrea Brattelli racconta con il consueto sguardo tagliente uno dei più conosciuti libri sulla rappresentazione degli outsider negli Stati Uniti. Il romanzo di James Leo Herlihy, pubblicato nel 1965 e portato sullo schermo nel 1969 da John Schlesinger con le interpretazioni di Jon Voight e Dustin Hoffman, è la raffigurazione potente di una galassia di perdenti. I difetti sottolineati da Andrea spingono una volta di più alla lettura (o riscoperta) di un libro che più di altri fa capire appieno tutte le false promesse del "sogno americano".

Se fossi costretto a sintetizzare la trama di questo libro a scapito di una vera recensione, potrei scrivere che la trama di Midnight Cowboy (Un uomo da marciapiede tradotto dall’editoria italiana) tratta dell’amicizia tra due uomini che soffrono entrambi di una misera solitudine interiore.

Si trascinano in una metropoli, sono ragazzi “difficili” le cui esperienze possono insegnare forse qualcosa ai ragazzi problematici del mondo reale, dato che, all’inizio, alcuni stereotipi fanno presagire che non ci sia una tale carestia di sentimenti nel mondo reale e che le vicissitudini siano confinate all’interno delle pagine di questo libro e tra i fotogrammi della pellicola da cui è tratto il film.

In seguito le tematiche prendono forma nonostante gli interpreti siano ancora troppo stigmatizzati nelle loro azioni quotidiane.

L’universo di Times Square è costituito da persone senza speranza e per le quali il lettore fatica a provare stima. Paradossalmente queste comparse sembrano descritte meglio, dal punto di vista psicologico, rispetto ai personaggi principali. Emanano l’odore del ventre dell’America.

Le storie e i personaggi compiono grandi esibizioni e si fa un’attenta analisi della società americana ma ci si accorge poi che la realtà è osservata attraverso un gioco di specchi deformanti e alla fine l’autore cade in cliché.

Forse doveva dipingere i personaggi con la semplicità richiesta dai loro ruoli, tanto per iniziare. Il problema non è del pennello e/o delle tempere usate, ma sono le mani.

Joe Buck e Ratso (Rizzo) sono dei poveri “naufraghi”: freddi e bagnati, navigano in strade di polvere e sembrano scampati a mareggiate di spazzatura.

La loro meta è la Florida, l'obiettivo sposare ragazze ricche. Sono abbastanza onesti intellettualmente da capire di essere dei buoni a nulla e che possono quindi solo essere mantenuti.

Vivono di immaginazione... Ecco, forse la loro vera casa sono i loro sogni non realizzati. Assomigliano a Bonnie e Clyde.

La realtà di Times Square è crudele e sembra urlare nelle loro orecchie all’infinito che non ci sarà mai un bus per la Florida per loro né feste dove potranno mai famigliarizzare con personaggi famosi tipo Andy Warhol.

A volte la narrazione si dilunga troppo in questa sequela, come si stesse tessendo la trama farlocca e prevedibile di una telenovela di serie B per casalinghe annoiate.

Riadattare poi a questo stile la trama principale risulta difficile. Ma qual è, poi, questa trama principale?

Risposta: la giovinezza impaziente di chi arriva dalla campagna alla città e ciò su cui riflettere è il fatto che erroneamente si considera ciò un mito esclusivamente americano ma non è così: quanti braccianti italiani del Sud sono emigrati al Nord per lavorare nelle grandi fabbriche come la Fiat, la Magneti Marelli, la Falck ecc.?

L’erba delle fresche e verdi pianure ora trova le sue radici nella giungla urbana. In questo modo si plasmano nuovamente i protagonisti, riadattandosi secondo i dettami stilistici di Dreiser e Sherwood Anderson.

Tutto ciò rende questo libro straordinario ed è per questo che alcune pecche risaltano ed è impossibile non notarle e discuterne.

Un uomo da marciapiede avrebbe dovuto essere un libro sulla reciproca scoperta dal momento in cui Joe Buck inizia a frequentare Rizzo.

Il primo è un ragazzo piuttosto giovane con un viso fresco e pulito. Cammina togliendosi la polvere del Texas dagli stivali da cowboy e si dirige poi in autobus verso New York City lasciandosi dietro tristi ricordi che ritornano come flashback traumatizzandolo.

Pensa di poter fare il gigolò per le ricche signore di Park Avenue e si stabilisce in una camera d’albergo a Manhattan con vista su Times Square.

Poi Joe incontra Rizzo che conosce bene la città e si fa strada nelle sue viscere. I due stanno insieme perché non hanno altro a cui aggrapparsi per sostenersi nella loro vita fatta di miserie.

Party psichedelici, ricordi di una ex stuprata e una nonna dalle caratteristiche ambigue da cui si è fuggiti, rendono, secondo l’analisi della psiche freudiana, Joe un represso che neppure il danzare su sottofondi musicali assordanti tipo “figli dei fiori” potrà curare.

Alla fine, Midnight Cowboy è un libro sui senzatetto. Ratso e Joe corrono sempre il rischio di vivere per strada. La loro casa è comunque più fatiscente del peggior vicolo buio di città. Sono due esseri grotteschi che impersonano il cowboy e il vagabondo sempre in cerca di soldi.

08/06/2021

Black Hole di Charles Burns

"Mi sentivo come se stessi guardando al futuro... e il futuro sembrava davvero incasinato."

Black Hole, ambientato nella Seattle degli anni Settanta, è un graphic novel che veleggiando tra il dark e l'horror mostra in un modo unico l'alienazione degli adolescenti colpiti da una misteriosa piaga che si trasmette per via sessuale e provoca deformazioni, aumentando ulteriormente il desiderio ma anche la sofferenza e la follia dovuta all'emarginazione.

Le ferite che si aprono nella gola, nella schiena e sotto i piedi delle ragazze e dei ragazzi di questo comic book sono squarci (che ricordano spesso la forma della vagina) su un futuro cui tutti cercano di sottrarsi, così come tentano di nascondersi anche dal presente, drogandosi da sani per poi, una volta mutati, finire a vivere come eremiti o come persone senza dimora che si nutrono di rifiuti.

Tuttavia, Black Hole (pubblicato dapprima negli Stati Uniti tra il 1995 e il 2005 poi in Italia nel 2007, edito da Coconino Press con la traduzione di Elena Fattoretto) è molto più di un romanzo di formazione sulle ragazze e sui ragazzi che affrontano attraverso mutazioni tra l'osceno e il fantastico il passaggio al vero orrore dell'età adulta.

I protagonisti non sono solo tanti giovani Werther in salsa Cronenberg (se l'ispirazione cinematografica è quella, a sua volta Black Hole ha sicuramente ispirato It follows di David Robert Mitchell e molti altri artisti). Nelle tavole scritte e disegnate da Charles Burns, complice l'utilizzo di un bianco e nero a forte contrasto, affiora il disagio di vivere in una società fatta di pregiudizi, discriminazioni e violenze; ma l'amore resta una fonte di speranza insopprimibile: oltre ogni paura, oltre ogni orrore. 

04/06/2021

Io posso. Due donne sole contro la mafia, di Pif e Marco Lillo

Andrea Brattelli questa volta ci parla di un libro appena uscito che narra la storia di due sorelle vittime due volte, danneggiate da interessi mafiosi e poi abbandonate dallo Stato. Un libro che tutti dovremmo acquistare.


Libro comprato la settimana scorsa e finito di leggere in pochi giorni: adoro il cartaceo ma concepisco la scelta per praticità degli e-book; questo scritto è però maneggevole, l’ho tenuto sempre con me e sono quindi riuscito a dedicargli tutte le mie attenzioni durante le pause e nel mentre dei viaggi in metro. Risulta breve e intenso e i caratteri a “misura d’uomo” ne hanno facilitato la lettura prima di coricarmi, nonostante gli occhi stanchi.

La vicenda narrata è surreale, ma, come negli scritti di Stajano e di Sciascia, troppo presto (e con tanta amarezza) ci si rende conto che è tutto vero.

Per uno come me nato nell’81 e che ricorda benissimo le vicende e la morte dei giudici Falcone e Borsellino, anche il finale di quest’opera può apparire scontato. Mi permetto di pensare però che quando si legge un libro l’importante sia il percorso, il viaggio che si intraprende e che ci induce a pensare e riflettere.

Riassumo brevemente i fatti senza “spoilerare” nulla anche se in rete troverete il riassunto delle traversie.

Un costruttore legato alla mafia, falsificando documenti, fa risultare che la casa di due sorelle sia in realtà sua e danneggia poi l’abitazione per costruirci accanto un palazzo più grande. 

Inizia un’odissea di trent’anni per Maria Rosa e Savina Pilliu, in cui l’approdo alla “Terra Promessa” non si intravede neppure. 

“Promessa”, forse mi è venuto in mente di scrivere questa “parola”, impropriamente, perché è ciò che dovremmo chiedere allo Stato: Egli dovrebbe Promettere che simili fatti non accadano mai più alle persone oneste.

Parola. Una “parola” come “sole” (contro la mafia), che leggo in copertina. Poggi il libro accanto a te per meditare, per riprenderti un attimo da quei periodi scritti nel libro che si sviluppano come tentacoli di una piovra su cui sopra si svolgono fisicamente gli eventi e dietro sotterfugi e situazioni apparentemente non collegate si arriva poi a sbrogliare la matassa.

Accumuliamo tempo per poi perderlo sui social a gridare a chissà quale sopruso nei nostri confronti, quando ci sono nel mondo persone “sole” che devono affrontare drammi veri ogni giorno.

Social che, come riportato in un episodio nel libro, sono veicolo di nefandezze e diffamazione a danno delle sorelle da parte del (de)genere umano.

Anche per questo motivo ho scelto di comprare questo libro, affinché queste due donne possano, attraverso la sua vendita, e grazie al fatto che gli autori ne devolveranno il ricavato, non essere più le “sole” a dover pagare il 3% all’Agenzia delle Entrate su un risarcimento mai ricevuto, mai più “sole” pur essendo vittime di mafia, mai più “sole” in una casa distrutta da personaggi senza scrupoli.

Leggendo gli avvenimenti, con accurate digressioni sulla mafia e le sue attività dagli anni '80, ci si sente come un pugile stremato alle corde in balia dei pugni dell’avversario.

Non so come abbiano fatto le sorelle Pilliu a resistere a questi attacchi che hanno subito realmente sulla loro pelle.

A Napoli è nata la tradizione del “caffè sospeso” secondo la quale un cliente paga due caffè pur ricevendone uno solo. In questa maniera, chi non può permettersene una tazzina lo riceve offerto.

Mi piace pensare che il finale di questo libro sia, appunto, “sospeso”. Possiamo intervenire tutti noi socialmente per cambiarlo e rompere la tenaglia che stringe nella sua morsa queste due donne, una stretta costituita da mafia e Stato.

In ultimo, ho scelto questo libro anche, banalmente, per la copertina. L'immagine mi ha ricordato vagamente quella del libro Africo di Stajano, che consiglierei a tutti di leggere e del quale avevo già parlato qui.