Seguici su https://quarantasettelibrocheparla.com/

La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

29/10/2021

Fosca di Igino Ugo Tarchetti

Questa volta, complice l'approssimarsi del giorno di Halloween, ho chiesto ad Andrea Brattelli di parlare di un libro che amo molto: la mitica Fosca di Tarchetti! Come sempre, Andrea va molto oltre la "recensione" e contestualizza l'opera e il suo sfortunato autore. Un testo da riscoprire assolutamente.



Opera da recensire scelta da Vaina e me non a caso per il giorno di Halloween. In questa ricorrenza secondo il folklore popolare vi è un congiungimento tra il mondo dei morti e quello dei vivi, si supera la linea di demarcazione che separa l’immaginario dal vero, tema fondamentale per tutti gli Scapigliati a cui non viene meno quindi neppure Ugo Igino Tarchetti nello scrivere Fosca.

Il tema reale delle sue produzioni, anche le poesie che riecheggiano in questo breve romanzo, è l’interpretazione del passaggio tra fisico e psichico, il mettere a nudo l’ossessione per la morte e il disfacimento fisico; tutto ciò in contraddizione con i sentimenti palesati verso le donne e l’amore in generale.

Le passioni vengono vissute bruciando le tappe, come per fuggire da una borghesia milanese in ascesa che non aveva tempo, presa dall’industrializzazione, di dedicarsi alle Lettere, oppure rincorrendo il Romanticismo nordico di tardo Ottocento, a cui vuole per forza appartenere ma che presto rinnegherà.

Il lavoro e lo studio sino a tarda notte consumeranno presto il nostro autore.

Il mondo reale in questo libro di Tarchetti entra di soppiatto: egli ne è già nauseato perché vi è immerso tutto il giorno, in una Milano in cui non riesce a vedere neppure un filo d’erba.

Lo scrittore ritiene però che la vita di città sia complementare nel descrivere le situazioni all’interno del romanzo. Durante la lettura ci si sente come legati ad un pendolo oscillando tra reale e fantastico, concretezza e immaginazione. La scienza viene vista come strumento per cercare di comprendere ciò che non si riesce a misurare per provare comunque a padroneggiare tutti gli aspetti della nostra vita.

Possiamo quindi definire Tarchetti un poeta “globale” avulso dagli altri scapigliati che con frenesia riportavano su carta tragedie umane a ritmo sincopato.

L’autore incontrerà purtroppo la morte prima di finire l’opera. Vittima da tempo di depressione e atteggiamenti maniacali, non riusciva più a sentirsi un uomo libero ma, piuttosto, un essere umano subordinato ad un altro essere umano, per via dell’industrializzazione che accelerava lo sfruttamento del lavoratore oltre che del progresso.

Per riassumere in breve ciò che accade nella vicenda narrata, la storia si snoda tra la luce e l’amore per Clara e il buio e l’ossessione per Fosca. Il protagonista parla in prima persona e mischia sapientemente realtà e fantasia. Vi è una sorta di simmetria che viene poi rotta, non si capisce bene se volutamente o perché l’autore non è riuscito nell’intento, e a prendere il sopravvento nel racconto sarà Fosca.

Si potranno leggere drammi ed equivoci, poca suspence tra una scena e l’altra perché sin dall’inizio si capisce che ad ogni periodo serena irromperà la figura della protagonista come una campana a morto in una ridente mattina di primavera.

22/10/2021

La notte dell’aquila di Jack Higgins

Andrea Brattelli ci parla di un vero e proprio classico dello spionaggio, ambientato ai tempi della seconda guerra mondiale e scritto dallo scrittore britannico Jack Higgins. Pubblicato nel 1975, fu subito un bestseller e venne portato sullo schermo da John Sturges, con un grande cast e la collaborazione dello stesso Higgins alla sceneggiatura.


La notte dell’aquila è un classico romanzo di spionaggio. Il titolo fa riferimento a una frase in codice comunicata in Germania da uno dei protagonisti, ovvero: “The Eagle has landed”ed è basata su fatti realmente accaduti (su questa affermazione indagheremo meglio).

Allo scrittore venne in mente di scrivere questo romanzo dopo aver letto una scritta su di una lapide, durante la visita a dei defunti in un cimitero a Norfolk. Da lì iniziarono le sue ricerche.

Nel libro si descrive fondamentalmente il piano messo in atto da tredici paracadutisti tedeschi per rapire Churchill.

Nel 1943 infatti Hitler, ispirato dall’audace salvataggio di Mussolini da parte di Otto Skorzeny, con uno stratagemma simile cerca di rapire l’allora primo ministro britannico che stava trascorrendo un periodo di vacanza a Norfolk.

Per non destare sospetti, oltre ad un abile camuffamento dei soldati si cercano anche due persone che parlino inglese, come Liam Devlin, irlandese membro dell’IRA e Kurt Steiner, tenente colonnello però agli arresti per aver salvato, insieme a dei commilitoni, una ragazza ebrea a Varsavia.

La lentezza del romanzo è notevole, almeno fino a quando si giunge all’arrivo dei paracadutisti nella ridente cittadina inglese; da lì in poi il ritmo aumenta fino ad un epilogo da antologia.

I problemi nell’impostare un simile romanzo sono due, ma Higgins li ha risolti bene, a parer mio.

Punto primo: anche se questo libro è un thriller, sappiamo già come andrà a finire: nessuno è mai riuscito a rapire Churchill; l’importante è cercare di capire come e perché soldati addestrati non ne siano stati capaci e ciò rende curioso il lettore.

Punto secondo: Higgins riesce a farci sembrare simpatici dei nazisti che sono gli antieroi della storia.

Il narratore puntualizza sin quasi dall’inizio che Steiner e i suoi uomini sono soldati professionisti, non nazisti. Sono in un'unità penale, dopo aver tentato di fermare un'unità delle SS che stava uccidendo una ragazza ebrea. Lo stesso Steiner ha un codice d'onore ottocentesco e suo padre è un antinazista che la Gestapo ha imprigionato. Inoltre, non ha caratteristiche negative, al limite dell’incredibile (spero che l’autore non abbia pensato che siamo così ingenui). I suoi uomini lo adorano, le donne lo adorano. È premuroso, affascinante e forte. Ispira un rispetto immediato in tutti quelli che lo incontrano.

Devlin, il combattente dell’IRA riesce a risultare più difficile come “eroe” da comprendere. Anch’egli è esistito per davvero: si chiamava Frank Ryan, un uomo dell'IRA che ha combattuto dalla parte repubblicana in Spagna e ha trascorso la guerra in Germania.

Fondamentalmente, per rendere digeribili gli antieroi, basta metterli a confronto e farli combattere (e battere) comparse moralmente peggiori di loro.

Tornando a noi, la maniera in cui Higgins ci fa immergere nella storia è utilizzando la tecnica della catarsi, nata con la tragedia greca.

Narrando esattamente e in dettaglio i preparativi della missione, veniamo coinvolti nella trama.

In realtà alcuni punti sono un po’ confusionari, mi sono fatto quindi uno scaletta durante la lettura, come quando alle elementari per comporre un tema scrivevo i vari passaggi da rispettare per far capire ad un qualsiasi lettore di cosa stessi trattando (regola delle 5 w, scrivere l’introduzione presentando in maniera concisa l’argomento ecc.).

Trama della missione:

  • Viene ordinata una missione.
  • Si raccolgono le risorse per la missione (compresi gli uomini opportunamente addestrati).
  • Il protagonista viene ostacolato.
  • Il protagonista cerca di portare a termine la missione comunque.
  • Viene tradito.
  • Vi è lo scontro finale…
La confusione è alimentata dal fatto che i protagonisti sono più di uno e si fa fatica a capire chi è il vero "villain", dato che abbiamo a che fare con dei nazisti.

Churchill è solo un MacGuffin, per citare Hitchcock, perché fa parte di uno stratagemma iniziale che serve per poi far dipanare la matassa della storia dimenticandoci di lui, presi dall’enfasi della narrazione.

Infine, dobbiamo affermare che la storia narrata nel libro in realtà non è vera.

Come un trailer Higgins utilizzò documenti, cartine “truccate” prima dell'uscita del libro, per far credere che tutta la storia fosse vera.

In realtà i sovietici affermarono di aver sventato un complotto per assassinare Churchill, Stalin e Roosevelt alla Conferenza di Teheran. La trama coinvolgeva spie tedesche che preparavano la strada all’arrivo di paracadutisti.

In effetti, non c'erano spie tedesche in Inghilterra durante la seconda guerra mondiale: furono tutte catturate dall'MI5.  

16/10/2021

Punto di fuga di Peter Weiss

Oggi Andrea Brattelli ci parla di Peter Weiss, uno scrittore tedesco di famiglia ebraica che con l'avvento del nazismo emigrò in Inghilterra e viaggiò molto per l'Europa per poi approdare in Svezia, prendendo la cittadinanza. Divenne grafico e regista, poi iniziò a pubblicare romanzi, alcuni dei quali autobiografici, e lavori teatrali tra i quali spicca L’istruttoria, oratorio in 11 atti, che sottolinea i rapporti tra nazisti e industriali. 


Il primo dei romanzi esplicitamente autobiografici di Weiss, Congedo dai genitori, descrive la sua infanzia e giovinezza fino al 1940. A quel punto l’autore ha sostanzialmente rivendicato la sua indipendenza e ha deciso di diventare un artista. In effetti, il vero successo arriverà solo una ventina di anni dopo, con la scrittura di queste due memorie romanzate.

Punto di fuga è presentato in modo diverso: è un testo di natura quasi frammentaria, con episodi separati l'uno dall'altro. Copre un arco molto più breve rispetto al primo volume, descrivendo la vita di Weiss in Svezia (fondamentalmente a Stoccolma) dal 1940 al 1947. Inizia l'8 novembre 1940 (compleanno dell'autore).

Durante i mesi successivi Weiss finalmente è posto in condizione di mostrare la sua educazione sia nella dura realtà quotidiana che nell'arte con cui entra in contatto, divenendo così un vero artista.

Nel romanzo vengono esplorate le questioni di identità  in particolare la sua identità formalmente ebraica: i suoi sentimenti sul suo background ebraico sono, in particolare, intensificati quando vede un film di Auschwitz dopo la guerra. 

La sua identificazione con coloro che soffrirono e morirono sotto i nazisti avrà anche un ruolo di primo piano in numerose opere successive, come nel breve saggio Meine Ortschaft.

Le influenze letterarie sono elencate mentre il narratore si rifugia in questo mondo. Forti e chiari sono i richiami e le influenze di Stendhal, Galsworthy, così come quelle di Wassermann, Musil e Mann. Scrive infatti: "Mi riempivo la casa di libri e non riuscivo più a trovare posto per due libri in rilegatura marrone, Il castello e Il processo, per me imprenscindibili."
 
Vanishing Point è fortemente autobiografico, nel senso che i sentimenti di amore e amicizia vengono palesati senza censure nonostante si tocchino eventi e temi intimi: descrive le sue storie d'amore nella vita reale, mette in mostra i sentimenti per la nascita del suo primo figlio.

Alla fine del libro troviamo questa conclusione da antologia:

"Potevo comprarmi carta, una penna, una matita e un pennello e potevo creare immagini quando e dove volevo. (...) Quella sera, nella primavera del 1947, sull'argine della Senna a Parigi, all'età di trent'anni, vidi che era possibile vivere e lavorare nel mondo, e che potevo partecipare allo scambio di idee con chiunque e in qualunque luogo, con il mondo che evolve intorno a me, legato a nessun paese."

08/10/2021

L'autobiografia di Mamma Jones

Andrea Brattelli ci parla non solo della figura di Mamma Jones (Mary Harris Jones, operaia e sindacalista statunitense di origine irlandese) ma, seguendo i contenuti del libro, illustra anche la condizione degli operai e in particolare dei minatori a cavallo tra il XIX e il XX secolo, e l'organizzazione dei primi sindacati.



Questa autobiografia, pubblicata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1925, è un documento eccezionale sulla lotta di classe negli USA nel periodo, cruciale per il movimento operaio, che va dalla guerra civile alla prima guerra mondiale.

Meravigliosa la figura della protagonista, per l’importanza del suo ruolo nella storia del sindacalismo americano e, in particolare, nella storia dell’organizzazione dei minatori.

Continui sono i rimandi, molto dettagliati nello scritto, alla lotta proletaria in quel periodo, alle condizioni di vita della classe operaia, alle contraddizioni interne al movimento sindacale per un periodo che va dall’inizio dell’attività dei Knights of Labor (1869-70), alla sollevazione di massa del 1877, allo sciopero per le otto ore del Primo Maggio 1886, fino a quello dell’acciaio del 1919 e oltre.

Sulla classe operaia la guerra civile aveva avuto effetti contraddittori. L’abolizione della schiavitù era stata certamente una vittoria per i lavoratori bianchi che ora non dovevano più contrastare la manodopera a costo zero e servile sottoponendosi a turni i lavoro massacranti, e avevano sconfitto letteralmente sul campo la dottrina sudista de “il capitale deve possedere il lavoro” promulgata da Rockefeller, i Morgan, i Gould, ecc.

Per quanto concerne il mercato del lavoro, con l’introduzione dell’Homestead Act nel 1862, che assegnava gratuitamente cinque acri di terra a chi si impegnasse a coltivarla, si diede automaticamente il via ad una massiccia emigrazione verso la frontiera ed una uscita dalla porta di servizio dal lavoro salariale.

Il ricambio continuo degli individui della classe operaia rendeva estremamente difficile, a causa della diversità di alfabetizzazione e cultura dei vari migranti, il mantenimento di condizioni stabili di lavoro e di organizzazione.

Nacque quindi la National Labor Union nel 1866, un insieme di movimenti agrari di tipo populista che risentirono però anch’essi di grandi depressioni che andavano a minare i livelli di qualità della vita e il salario.

Dalle ceneri di queste disfatte nacquero i Knights of Labor, sul finire degli anni 60, come società segreta che però, a differenza della massoneria che noi tutti conosciamo, ammettevano tra i membri anche le donne.

Si distinsero per la loro capacità di rivolgersi ed accogliere proletariato non qualificato (poi confluito nell’AFL – American Federation of Labor), sostituendosi così all’inadeguatezza degli organismi dirigenti messi su dalla politica.

Con questi sistemi anche gli scioperi vennero meno perché la suddetta associazione era propensa ad una linea di collaborazione e a stringere accordi piuttosto che agli scontri diretti.

Rimase nella storia però lo sciopero indetto dai Knights nel 1886 sull’orario lavorativo delle otto ore, ritenute eccessive. Vecchi movimenti operai, i cui capi erano prezzolati dai padroni, cercarono di sabotarlo, per un motivo molto semplice: la lotta sull’orario toccava il centro nevralgico del comando capitalistico della forza lavoro e se i movimenti operai avessero vinto a Chicago, regno dei capitalisti, le adesioni e le resistenze si sarebbero espanse a macchia d’olio, cancellando definitivamente le obsolete associazioni d’operai che non erano riuscite ad imporsi.

In questo contesto di sindacati legati all’industria perché miravano al riconoscimento dei diritti dell’operaio si affiancò l’Unione Minatori che annoverava tra i suoi sindacalisti proprio Mamma Jones.

I minatori del tempo erano pagati con soldi stampati direttamente dai proprietari della miniera e quindi potevano comprare cibo soltanto dagli spacci attorno alle cave di proprietà dei ricchi possidenti.

Venivano pagati in base alla quantità (peso) di carbone estratto sul quale però venivano truffati.

Mamma Jones riuscì a far includere i minatori tra le figure professionali degli operai di fabbrica perché il carbone serviva alle fabbriche per alimentare il fuoco degli altiforni e per mantenere in funzione i macchinari; in questo modo iniziarono a cambiare le cose. Nacque così la Western Federation of Miners che vinse molte battaglie sindacali.

A leggere questo libro l’idea che il lettore si fa di Mother Jones è quella di una curiosa via di mezzo tra una specie di missionaria laica e una vagabonda, perennemente in movimento per diffondere il verbo del sindacalismo da una parte all’altra degli USA.

In realtà questo era il compito che le era stato affidato: il ruolo non le permetteva di formare contratti, né condurre trattative. Costruiva prendendo materiale dalle macerie dei vecchi contratti collettivi, cavalcando il malessere degli operai causato da antiche battaglie sindacali perse, trasformando la loro rabbia e frustrazione in spinte di lotta che potrebbero essere riconosciute dal sindacato che ella rappresentava.

La ricchezza dell’autobiografia di Madre Jones sussiste nel resoconto di una lunga stagione di lotte del movimento operaio americano.

Nonostante l’autrice tenda a presentare sempre se stessa e il suo lavoro in primo piano, i protagonisti del libro rimangono sempre i minatori, che diedero in eredità al sindacalismo industriale valori di uguaglianza e fratellanza.

01/10/2021

Il sole è cieco, di Curzio Malaparte

Oggi Andrea Brattelli ci parla de Il sole è cieco, un romanzo autobiografico del 1947 (ma pubblicato dapprima a puntate su Il Tempo nel 1941) attraverso il quale Curzio Malaparte fa una cronaca delle vicende di guerra, trasportando il giornalismo nella letteratura come molti altri scrittori: basti pensare a Omaggio alla Catalogna di George Orwell, per citarne uno.



Romanzo dedicato ai soldati francesi e italiani caduti sulle Alpi nel giugno del 1940 nel quale tutto ciò che è narrato dallo scrittore è autentico.

Sono i morti in guerra che forniscono al romanzo un tono disincantato; echeggiano tra le spelonche le loro grida ormai remote.

Cavie inutili di un inutile conflitto perché nell’Europa di allora non vi era nulla di così gran valore da dover perdere la vita per conquistarlo.

Fu una ostinata ostilità senza vittoria, pur ritenendo, sentenzia Malaparte, che forse è più immorale vincere una guerra che perderla.

Il Sole, inteso in questo romanzo come una divinità degli antichi, ad esempio Apollo, illumina gli uomini e le vicende accadute su quei monti. Senza alcuna retorica possiamo stabilire che le battaglie sembrano condotte dal Fato, che tramite dei delle religioni politeiste e anche di quelle monoteiste come Caino, in maniera crudele, semina strage.

Non si può chiedere a queste entità sovrannaturali di soffrire con noi uomini, di provare compassione per le nostre sofferenze, come accade nei racconti liturgici di una certa rozza teologia medievale autosacramentale dove o è tutto bianco o è tutto nero.

Il sole è cieco e si muove come un bambino bendato che cerca di acciuffare i compagni di giochi…Avulso da quella stella che un tempo illuminò anche Ettore perito per mano di Achille. Sembra aumentare la sua forza gravitazionale facendo cambiare i percorsi di rotazione e rivoluzione terrestri e, metaforicamente, anche l’esito della storia degli uomini.

Il Destino lo creiamo noi esseri umani, l’occhio senza palpebre dentro di noi ci fissa senza vederci; splende impassibile fuori e dentro di noi e a picco sulla nostra coscienza.

In questo scritto è posto un dramma insolito per il popolo italiano: quel sentirsi, per la prima volta, in tutto il corso della sua antichissima storia, fuori dalla coscienza civile del mondo, quel doversi far giudice di se stesso espiando colpe come un povero cristiano.

Dalla baracchetta di pietra sul Monte Bianco, rifugio Geédoz, Curzio Malaparte ha iniziato nel luglio del 1940 a scrivere questo libricino, domandandosi inizialmente (e cercando risposte) sul fatto che gli italiani in campo abbiano provato rimorsi di coscienza scagliandosi in attacco proditorio contro una Francia già vinta ed umiliata.

L’opera fu terminata nell’agosto dello stesso anno in Val d’Aosta e rappresenta una cronaca autentica e veritiera del dramma di coscienza del popolo italiano, libro di cui se ne può constatare facilmente anche il valore artistico.