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La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

30/09/2022

Moby Dick di Herman Melville

Andrea Brattelli ci ha preso gusto con i classici che sono diventati film diretti da John Huston. Questa settimana è la volta di Moby Dick, la balena bianca creata dalla fantasia di Herman Melville. Il romanzo uscì a Londra col titolo The whale (1851), mentre sul mercato statunitense fu pubblicato subito dopo col titolo Moby Dick or the whale. In Italia venne tradotto per la prima volta da Cesare Pavese nel 1932. 
                                               


Eraclito in un suo scritto asserisce che è impossibile entrare nello stesso fiume due volte perché le acque, scorrendo, fanno sì che questi muti continuamente.

I libri invece tali sono e tali rimangono, sia che leggiamo uno stesso libro una o più volte; nel tempo però siamo noi a cambiare e forse i “grandi classici” ci aiutano a capire il perché.

Moby Dick è un romanzo che può diventare, nelle librerie di ciascuno di noi, il nostro personale capodoglio privato che rimane lì, sul ripiano, imponente e ci guarda, stuzzicandoci l’animo e insinuando in esso curiosità.

Forse passeranno anni, non lo toglieremo mai dallo scaffale per prestarlo o regalarlo, piuttosto poggeremo quest’opera sopra delle altre o viceversa, ma, alla fine, la leggeremo.

Nonostante la prosa accattivante e la superba traduzione di Bernardo Draghi per quasi cento pagine la pedanteria fa da padrona: il testo si presenta come un documentario in realtà, con uno stile ottocentesco, quindi proprio del periodo. Lento è lo scorrere della vita dei marinai sulle baleniere ed è esacerbante la pesca (oserei affermare più che altro la mattanza) di capodogli e balene. Adoro questo stile prosaico, ma odio letteralmente l’argomento trattato (il massacro indiscriminato e la morte di creature indifese).

Azzardo un’ipotesi sul perché di queste lunghe descrizioni e note che farebbero impallidire Infinite Jest di David Foster Wallace. Ai tempi moltissime persone non avevano mai visto un capodoglio, una balena bianca, ed è questo il motivo per cui, secondo me, l’autore si sofferma nel delinearne le fattezze, i comportamenti, ad elucubrare sul bianco. Non mi capacito, non so fornire una risposta plausibile però su altri avvenimenti approntati con pedanteria, come la scena sulla raccolta di rifiuti, descritta però in maniera talmente poetica che una mattina, dopo essermi rapportato con questa descrizione, avrei avuto voglia di mettermi a fare il netturbino.

Scritto questo, torniamo a noi, ed ecco che, finalmente, spunta il protagonista, il capitano Achab la cui vicenda verrà narrata da Ismaele che altro non è che lo scrittore Melville il quale, con una regia di shakespeariana memoria ci condurrà attraverso un mondo selvaggio seppur, nel nostro immaginario, l’oceano non richiami certo aggettivi da posporre solitamente alla giungla; nel mare in tempesta le voci dell’autore e di Ismaele si uniranno come onde granitiche al turbinare del vento.

Durante la lettura si è tentati di saltare qualche passaggio. Normalmente tale atteggiamento sarebbe assolutamente controproducente nella maggior parte dei casi ma, considerando che alcuni capitoli sono dei saggi e rappresentano spunti filosofici eccezionali, per Moby Dick potremmo fare un’eccezione... però, sarebbe davvero il caso? Pensiamo di riuscirci? La risposta è no: l’opera diventerà la nostra ossessione, come per il capitano protagonista della vicenda questa creatura dei mari è il suo demone da cui in realtà è inseguito e che non sta cacciando. La brama, il desiderio di possedere qualsiasi cosa ad ogni costo è la nostra peggior gabbia anche in un mondo che ci pare a nostra disposizione come quando si salpa per il mare aperto. Se vogliamo, da questo punto di vista, la narrazione potrebbe protendere verso una grande fiaba ecologista.

Pochi sono i libri che trattano dichiaratamente di metafisica immergendola in un contesto filosofico e poetico come quello rappresentato dalla baleniera Pequod sulla quale marinai sgarbati intrecciano corde di materiale ricercato e, al contempo, rude sulle mani. Il loro vociare è come una grattugia per le orecchie di fanciulli borghesi avvezzi nel cercare la spiritualità nella Bibbia e muse nei salotti aristocratici. Moby Dick di simile al Vecchio Testamento ha solo la stazza e mostra la magnificenza della balena che inghiottì Giona. 

Per il resto riferimenti biblici nel testo sembrano più un’offesa che un’invocazione a Dio per aver creato con pennellate di follia uomini come Achab che si dannano e rivendicano sempre vendetta. Lampi di verità brillano tra le pagine come saette sul mare in tempesta, Melville trascina i suoi lettori sulla scia spumosa della baleniera dalla prua frangiflutti, i riflessi degli attori di questa epopea si riflettono sulle onde come le luci dell’alba e le loro parole assumono forme pittoresche come se sussurrate da sirene. Le loro sembianze si muovono sul ponte della nave all’unisono con i loro pensieri.

16/09/2022

L’agente segreto, di Joseph Conrad

Andrea Brattelli ci parla di L'agente segreto, romanzo di Joseph Conrad del 1907 basato su un fatto realmente accaduto. Più che un giallo, un viaggio tra la psiche umana e gli elementi anarchici. Il grande Alfred Hitchcock nel 1936 ne realizzò un film dal titolo Sabotaggio.


Il romanzo di Joseph Conrad intitolato L'agente segreto pullula di personaggi che potrebbero essere definiti casi umani ghettizzati nell'affollata e pestilente Londra che nulla ha da invidiare, si fa per dire, a quella di Dickens. L’autore, privo di compassione per i suoi protagonisti, inizia la narrazione presentandoci la figura di un ex marinaio polacco che parla a stento l’inglese.

Ed è così infatti che il narratore imprime il timbro a tutta l’opera, con una strana voce ibrida e una risma di parole arcaiche di sorta.

Nel libro si sviluppano quei ragionamenti che ci inducono a chiederci il perché qualcuno sente l’esigenza di diventare anarchico piuttosto che lavorare per crearsi un posto nella “classe media” della società. Quest’ultima è vista come una entità che vuole riproporre un futuro identico al passato: schiavitù, feudalesimo per i più poveri, e poi ancora collettivismo. Dei cannibali, fondamentalmente, che si cibano di ciò che offre la nazione come carne da macello.

L'agente segreto è stato scritto subito dopo l'assassinio dello zar Nicola II, quando molte potenze europee fomentarono una sorta di Guerra Fredda ante litteram per distruggere completamente l’allora ordine mondiale stabilito. Questo piano portò, si pensa, ad un dissenso generalizzato, spie russe a Londra e, di conseguenza, ci fu lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Tra gli altri personaggi viene annoverato un soggetto di nome Mr. Varloc, ex detenuto. Un “nichilista morale” viene definito, trasandato e vestito con le lenzuola di un letto sfatto.

La sua mentalità, la pericolosa attitudine ad essere soggiogato, la sua capacità di tradire la fiducia così cara riposta in lui e la sua volontà di sacrificare chiunque per raggiungere i propri obiettivi e assicurarsi il suo tornaconto ci è sapientemente mostrata.

L'intera vicenda è tessuta a maglia intorno a lui e alla sua famiglia in maniera episodica. Ciò rende la lettura un po' difficoltosa ma, in questo modo, si fa trasparire il fatto che i suoi congiunti siano ignari di tutto ciò che di cruento stia per accadere.

Simili individui appaiono degli ebeti piuttosto che tipi istruiti per dar luogo ad atti rivoluzionari e sono monitorati dall'ispettore capo Heat, ex poliziotto in una colonia tropicale britannica, che assomiglia più ad un Don Chisciotte eccessivamente gravato da scartoffie.

Per altre persone invece appartenenti a quel periodo storico il senso di giustizia e il prezzo per ottenerla incombe come una creatura mostruosa, odiosa, oppressiva, preoccupante, umiliante, esorbitante, intollerabile. Questi sono i veri fanatici. La restante parte dei ribelli sociali è piegata alla e dalla vanità, la madre di nobili e vili illusioni, la compagna di poeti, riformatori, ciarlatani, profeti e incendiari.

Joseph Conrad apparentemente non si sentì mai a suo agio a Londra e mentre assumeva la cittadinanza britannica potrebbe essersi sentito un alieno. Per questo motivo, sembra particolarmente in grado di trasmettere le sensazioni spirituali di tanti personaggi scontenti.

All'indomani di una tragedia a quel tempo la gente si rifugiava nell’arte, contemplava opere di artisti, romanzieri, in coloro che creano conforto e fanno distogliere l’attenzione dal male. Loro infatti catturano la bellezza che è insita comunque in ogni situazione, estrapolandola dall’orrore e ce la pongono dinanzi agli occhi scalzando i cattivi pensieri.

Proprio come Turgenev nel suo romanzo Padri e figli, l’autore ha tentato di affrontare il dilemma del perché alcuni all'interno di una società apparentemente stabile scelgono la sua distruzione, una preoccupazione che sembrerebbe un problema sociale senza fine ma che il narratore ha affrontato valorosamente, occasionalmente con fraseggi confusi ma soprattutto con una prosa saldamente ancorata ai dettami classici di scrittura e figure brillantemente dipinte.

Eppure, c'è qualcosa nell'Agente segreto, un particolare approccio ad un tipo di terrorismo di cui tratta , che le persone spesso scelgono di ignorare o semplicemente fraintendere. Forse, a costo di essere tacciato come cinico, ci si potrebbe chiedere se molti dei giornalisti odierni, diversamente da Conrad, riescano ancora a porre domande che scuotano le coscienze dei politici concernenti la vita quotidiana della gente comune.

09/09/2022

Il maratoneta di William Goldman

Andrea Brattelli ci parla di un altro romanzo di William Goldman diventato un film di John Schlesinger con Dustin Hoffman e Laurence Olivier, sceneggiato dallo stesso scrittore.
 


Tom Levy, il protagonista di questo romanzo, è un eccellente maratoneta, sia dal punto di vista sportivo che professionale: insegue e raggiunge tutti i suoi obiettivi, anche accademici, se ne prefigge sempre di nuovi e, grazie ad una disciplina di stampo militare auto impartita nel tentativo di essere all’altezza del padre, sembra destinato, nonostante la giovane età, ad avere grandi successi nella vita. Questo fino a quando il suo amato fratello maggiore gli farà una visita inaspettata ed egli sarà costretto a correre per mettersi in salvo.

Da questo libro è stato tratto un famosissimo film con Dustin Hoffman che ho preferito al testo scritto.

Nell’opera letteraria si riscontrano infatti dialoghi irrealistici e falle nella trama dovute, penso, al voler accelerare la narrazione di alcuni eventi e mettendo “troppa carne al fuoco”, come si suol dire.

La tensione comunque rimane alta per tutto il tempo da quando si arriva a leggere il cuore dell’opera che raggiunge il suo apice nel momento in cui al personaggio principale viene sussurrata una domanda all’orecchio:-“ È sicuro?” posta da un uomo sinistro mentre Levy è costretto, legato da lacci, a stare su una sedia reclinabile da dentista mentre il tizio gli avvinghia le spalle con innaturale pacatezza, data la situazione.

Non si è pronti a questa scena; buttiamo letteralmente, dalla bocca, una risatina nervosa.

Posso affermare comunque che Goldman sa come scrivere un thriller classico che pone le sue basi su scene di inseguimento e morte in cui i personaggi devono stabilire le prospettive di vita sulle loro capacità e abilità in una atmosfera anni 70 che adoro a prescindere.

Talvolta ci si confonde con i vari tedeschi che vengono descritti nel libro introdotti nella narrazione mettendo in luce dei loro atteggiamenti curiosi e modi di fare, perlopiù poco interessanti.

Per coloro che non leggono libri del genere, cospirazionisti (come me ad esempio), questo fa al caso nostro: la rivincita di uno studente modello su un’orda di malvagi spinge verso un finale imprevisto il motore alimentato da un carburante a svariati ottani della narrazione.

Il Maratoneta andrebbe comunque riletto una seconda volta per capire come alcuni avvenimenti si incastrano tra loro come pezzi di un puzzle. Ci sarebbe anche da ricordare, infatti, che l’intera vicenda narrata (di fantasia) andrebbe contestualizzata quando il romanzo fu scritto; la metà degli anni Settanta non furono così memorabili per gli Stati Uniti. Watergate, Vietnam, recessione, inflazione, crisi energetiche, embargo petrolifero, drammatico aumento della criminalità, Richard Nixon.

Le persone erano stanche, indossavano abiti in poliestere, erano arrabbiate, spaventate (di tutto), paranoiche e si sentivano spiritualmente e finanziariamente in bancarotta.
 
Il narratore scrisse un romanzo che toccò i vari mali e paure del tempo. Vecchi nazisti in Sud America, agenti governativi impegnati in attività nefaste a spese dei contribuenti, il Maccartismo ecc. tutti sempre alla ricerca di un Centro di Gravità Permanente (cit.)

Gerghi razzisti, tollerati all’epoca, sono presenti in tutto lo scritto. Nella traduzione italiana tutto ciò è palese, in quella originale no. Non si usano eufemismi, giri di parole, metafore per descrivere scene e situazioni: si va dritti al punto. Ciò mi piace, detesto quei romanzi d’azione in cui nel descrivere con eccessivi termini astrusi e parole si arriva ad avere una quasi pornografia di dettagli insignificanti.

Tutto sommato questo è un libro la cui scrittura è ben ritmata, vi provocherà cambiamenti d’umore nel seguire una trama non troppo organica (o comunque non come molti la intendono); mi permetto di consigliarvi di non leggerlo quando siete nella sala d’attesa del dentista, piuttosto quando siete tranquilli a casa vostra.

02/09/2022

Il cielo non ha preferenze, di Erich Maria Remarque

Andrea Brattelli ci parla di un romanzo pubblicato per la prima volta nel 1961: Il cielo non ha preferenze (Der Himmel kennt keine Günstlinge), di Erich Maria Remarque. Una tragica storia di amore e tubercolosi.



In questo commovente e insolito romanzo (costituito da temi diversi da quelli normalmente trattati dall’autore), Remarque esplora il significato della vita e della morte, dell'illusione e della realtà, attraverso la storia di una ragazza malata gravemente di tubercolosi.

Il dipingere atmosfere cupe non è una novità per lo scrittore in questione. Non nego che ho letto qualche sua opera più per dovere che per piacere per questo motivo; i personaggi delle sue storie sono sempre dei depressi esemplari, segnati dalle sofferenze della Guerra Mondiale e per la perdita di famigliari e amici.

Il personaggio protagonista della vicenda, Clerfayt, è frutto di una reminiscenza del passato, quando il narratore si iniziò ad interessare alle corse automobilistiche lavorando per il giornale Echo-Continental ad Hannover nel 1922. Come allora, egli descrive il sofisticato mondo degli sport automobilistici, le persone eleganti che questo ambiente attrae e sancisce il rapporto tra senso civico che l’individuo dovrebbe avere nella società e una profonda filosofia di vita. Ironia, esagerazione e un percorso a fari spenti, quasi depressivo, completano quest’opera che fa capolino tra le altre sue e riesce magistralmente a combinare l’amore con una particolare visione del mondo, filosofia, morte, nonostante gli ambienti descritti siano frequentati da persone frivole.

I suoi personaggi sono descritti con metodo: aumentano la loro sofferenza ripensando più e più volte al significato della vita e della morte, all'esistenza o meno della felicità, al rapporto tra le persone, al passato e al futuro, alla natura dell'amore senza speranza. I suoi eroi bevono e mangiano. Lo so che può sembrare stupido, ma un tema ricorrente in Remarque, ci ho fatto caso, è l’attenzione al cibo trangugiato bevendo alcol che ha una funzione speciale: allevia il dolore e spinge gli uomini a diventare dei filosofi di vita vissuta.

Clerfayt è un pilota di auto da corsa che incontra in un sanatorio, dove è giunto in visita ad un amico e collega malato, Lilian, malata di tubercolosi. L’immagine dall’atmosfera irreale dell’ospedale viene paragonata all’esistenza altrettanto chimerica dei “couturier” parigini e dei salotti francesi e italiani.

La loro relazione avrà un forte impatto emotivo per entrambi tanto che li porterà a cambiare i loro obiettivi nella vita.

La donna è una ribelle nell’animo o, quantomeno, lo era, ma il suo corpo consumato dalla malattia non le permette “colpi di testa”.

Il pilota è ai suoi antipodi in questo senso. Egli testa letteralmente oltre che le prestazioni della sua auto da corsa anche il suo destino, sistematicamente. Non vuole impegnarsi in nulla di serio ed è un irresponsabile.

Lei valorizza ogni esperienza di ogni momento, lui getta la sua vita nel fumo e nel fango ogni giorno, trascinandola tra le ruote come se fosse qualche parte di un’auto incidentata dinanzi alla sua.

Heaven Has no Favorites ci insegna che la vita è un dono e ha una data di scadenza. Tutti noi moriremo ma i malati sanno quando e Lilian ha trovato un uomo che non si preoccupa della sua situazione fisica, che non la tratta come una malata ed è per questo che preferisce lasciare la casa di cura per stare con lui.

L'amore però obbedisce a una semplice legge: più ami, più vuoi possedere la persona accanto a te, temendo che possa scivolare via mentre guardi il retro da uno specchietto. La passione di Clerfayt per Lilian lo induce a percorrere passi sbagliati e a offrirle esattamente ciò di cui una donna con una malattia terminale non ha bisogno: un piano. Ad un certo punto, i loro desideri iniziano inevitabilmente a separarsi – e mentre il protagonista ha finalmente trovato una ragione per vivere per sempre, la donna è disperatamente aggrappata alla breve vita che la sta per lasciare.

Sembra un crimine, quindi, sprecare il tempo – eppure è quello che facciamo, quotidianamente e costantemente. Siamo intrappolati nel nostro lavoro, impegnati nei nostri piccoli intrighi, tormentati dai nostri problemi inesistenti, rischiamo scioccamente ciò che abbiamo preso in prestito solo per un po'. Troviamo infiniti modi per distruggere il nostro corpo con atti che danno solo piacere momentaneo. Ci circondiamo di persone che non ci piacciono davvero solo per paura di essere soli. Rischiamo la vita come se fossimo tormentati da quel desiderio originale di cadere. E il paradiso in effetti non ha favoriti: il prestito verrà ripreso, inaspettatamente e... con gli interessi.