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La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

02/06/2023

La fine è nota, di Geoffrey Holiday Hall

La fine è nota, uno dei due romanzi scritti dall'enigmatico Geoffrey Holiday Hall, si intitola così perché è un poliziesco che inizia dalla fine. Non lo conoscevo prima di leggere la recensione di Andrea Brattelli. Sciascia ne parlava in questi termini: «Fin dalle prime pagine mi parve di qualità diversa, di livello più alto. Ero allora fortemente affezionato agli scrittori americani, da Steinbeck a Caldwell a Faulkner a Cain: e mi parve che in quella pleiade si accendesse il lumicino del giovane Holiday Hall».


Riassumendo in poche parole questo romanzo, lo si potrebbe definire un giallo dal cuore blue(s) con tinte di noir intriso di malinconica e latente sofferenza di chiaro stampo faulkneriano. La narrazione a ritroso è avvolgente e lo scrittore (di cui misteriosamente si sa realmente poco o nulla) è capace di svelare il meccanismo che ruota intorno a un suicidio tramite un gioco coinvolgente e avvolgente, molto originale oserei definire.

Bayard Paulton, il protagonista della vicenda, è un brav'uomo, onesto e dedito al lavoro. Nell’afosa estate newyorkese si tampona la fronte con un fazzoletto di seta a causa del caldo e per le preoccupazioni dovute ad agitazioni sindacali i quali rappresentanti, in balia di una sorta di narcisismo patologico, cercano di cavalcare il malcontento contro i responsabili dei magazzini Noblington anche a costo di sacrificare i posti di lavoro degli operai.

Qualcosa di imprevedibile però sconvolge la vita del nostro vicepresidente: uno sconosciuto, mentre egli è ancora via per delle faccende, suona alla sua porta chiedendo di lui, la giovane e bella moglie lo accoglie in casa e il forestiero si butta giù dal balcone.

Chi era quell’uomo? Cosa voleva da Paultron? Perché era così disperato da suicidarsi?

Per lo sconcertato protagonista rispondere a queste domande diventerà un bisogno primario e pressante.

Non manca, come nei noir anni ’40, la figura della femme fatale protagonista anche dei film in bianco e nero di quegli anni. In questo senso si può affermare che questo libro sia figlio del suo tempo. La misoginia di quel periodo prevedeva la presenza di una donna bella e giovane ma estremamente vacua, incapace di provare sentimenti reali per chiunque, che usa il suo fascino per irretire uomini abbienti e assicurarsi la vita che desidera fatta di shopping e basata sullo sfoggiare vestiti alla moda, cappellini abbinati che poi finiranno presto nel dimenticatoio nell’armadio così come i suoi marmocchi staranno in un sempiterno torpore tra le braccia a foggia di quercia di anziane badanti sovrappeso fino a quando non saranno da ostentare presso amicizie selezionate.

In definitiva, posso confermare che il merito maggiore del romanzo è il saper coinvolgere efficacemente il lettore nella ricerca di informazioni sull’ enigmatico Roy Keaney insieme a Bayard Paulton. Il primo, suicida, il grande assente, viene ricordato da varie comparse che raccontano anche di se stessi, incalzati da domande atte a cercare di svelare il motivo del suo tragico gesto. Ne scaturisce un panorama desolato, avvelenato da ambizioni malsane e frequentazioni ambigue. L’espressività e la psicologia dei personaggi è delineata in maniera raffinata e avvincente. La reminiscenza stessa del defunto è riconducibile ad una brace accesa più che ad un fuoco fatuo e, sebbene Sciascia paragonò questo scritto ad un’opera di Steinbeck o Faulkner, a me Roy fa pensare di più a Suttree, protagonista dell’omonimo romanzo di Cormac McCarthy. Capitolo dopo capitolo lo spirito del suicida con la sua inquietudine ci condurrà, in un crescendo di tensione, a scoprire l’arcano.

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