Riassumendo in poche parole questo romanzo, lo si potrebbe definire un giallo dal cuore blue(s) con tinte di noir intriso di malinconica e latente sofferenza di chiaro stampo faulkneriano. La narrazione a ritroso è avvolgente e lo scrittore (di cui misteriosamente si sa realmente poco o nulla) è capace di svelare il meccanismo che ruota intorno a un suicidio tramite un gioco coinvolgente e avvolgente, molto originale oserei definire.
Bayard Paulton, il protagonista della vicenda, è un brav'uomo, onesto e dedito al lavoro. Nell’afosa estate newyorkese si tampona la fronte con un fazzoletto di seta a causa del caldo e per le preoccupazioni dovute ad agitazioni sindacali i quali rappresentanti, in balia di una sorta di narcisismo patologico, cercano di cavalcare il malcontento contro i responsabili dei magazzini Noblington anche a costo di sacrificare i posti di lavoro degli operai.
Qualcosa di imprevedibile però sconvolge la vita del nostro vicepresidente: uno sconosciuto, mentre egli è ancora via per delle faccende, suona alla sua porta chiedendo di lui, la giovane e bella moglie lo accoglie in casa e il forestiero si butta giù dal balcone.
Chi era quell’uomo? Cosa voleva da Paultron? Perché era così disperato da suicidarsi?
Per lo sconcertato protagonista rispondere a queste domande diventerà un bisogno primario e pressante.
Non manca, come nei noir anni ’40, la figura della femme fatale protagonista anche dei film in bianco e nero di quegli anni. In questo senso si può affermare che questo libro sia figlio del suo tempo. La misoginia di quel periodo prevedeva la presenza di una donna bella e giovane ma estremamente vacua, incapace di provare sentimenti reali per chiunque, che usa il suo fascino per irretire uomini abbienti e assicurarsi la vita che desidera fatta di shopping e basata sullo sfoggiare vestiti alla moda, cappellini abbinati che poi finiranno presto nel dimenticatoio nell’armadio così come i suoi marmocchi staranno in un sempiterno torpore tra le braccia a foggia di quercia di anziane badanti sovrappeso fino a quando non saranno da ostentare presso amicizie selezionate.
In definitiva, posso confermare che il merito maggiore del romanzo è il saper coinvolgere efficacemente il lettore nella ricerca di informazioni sull’ enigmatico Roy Keaney insieme a Bayard Paulton. Il primo, suicida, il grande assente, viene ricordato da varie comparse che raccontano anche di se stessi, incalzati da domande atte a cercare di svelare il motivo del suo tragico gesto. Ne scaturisce un panorama desolato, avvelenato da ambizioni malsane e frequentazioni ambigue. L’espressività e la psicologia dei personaggi è delineata in maniera raffinata e avvincente. La reminiscenza stessa del defunto è riconducibile ad una brace accesa più che ad un fuoco fatuo e, sebbene Sciascia paragonò questo scritto ad un’opera di Steinbeck o Faulkner, a me Roy fa pensare di più a Suttree, protagonista dell’omonimo romanzo di Cormac McCarthy. Capitolo dopo capitolo lo spirito del suicida con la sua inquietudine ci condurrà, in un crescendo di tensione, a scoprire l’arcano.
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