Seguici su https://quarantasettelibrocheparla.com/

La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

28/01/2022

L'amico ritrovato di Fred Uhlman

In occasione del Giorno della Memoria, Andrea Brattelli ci parla di un grande classico moderno, un "romanzo in miniatura" come definito da Arthur Koestler: L'amico ritrovato, prima parte della Trilogia del ritorno di Fred Uhlman uscita nel 1971.

"Entrò nella mia vita nel febbraio del 1932 per non uscirne più. Da allora è passato più di un quarto di secolo, più di novemila giorni tediosi e senza scopo, che l'assenza della speranza ha reso tutti ugualmente vuoti – giorni e anni, molti dei quali morti come le foglie secche su un albero inaridito.

Ricordo il giorno e l'ora in cui il mio sguardo si posò per la prima volta sul ragazzo che doveva diventare la fonte della mia più grande felicità e della mia più totale disperazione."



Nel giorno della Memoria che ricorre ogni 27 Gennaio per commemorare le vittime dell’Olocausto, mi accingo a recensire un libro a tema: L’amico ritrovato di Fred Uhlman.

Si tratta di un’opera insolita; riesce a fondere infatti il tema dell’amicizia (il bene) con quello della persecuzione degli ebrei (il male). 

Pubblicato negli USA nel 1971 inizialmente con i titoli Reunion e The Reconciliation, il romanzo vendette milioni di copie in molti paesi, fu tradotto in varie lingue, sintomo del fatto che fu accolto con entusiasmo dalla stragrande maggioranza della popolazione mondiale.

Il commovente racconto dell’autore esplora, con insolita tenerezza e potere suggestivo, le leggi che regolano i meccanismi dell’amicizia, delle avversità che la minacciano e potrebbero distruggerla. Si analizzano le forze che tengono unite due persone con il pensiero e con il cuore nonostante siano separate, schiacciate dalle delusioni, in preda alla disperazione.

È il 1933, due ragazzi di 16 anni frequentano la stessa scuola esclusiva; uno è figlio di un medico, l’altro di una nobile famiglia. Tra i due nasce un’intesa forte e magica, un legame che però si spezzerà appena un anno dopo…

Se l’affiatamento tra il figlio di un medico ebreo e un giovane nobile al momento della presa del potere da parte di Hitler sia possibile e duratura è la domanda che lo scrittore si pone e a cui cerca di rispondere tramite questo scritto.

Lo fa brillantemente e ci regala un classico della letteratura. Procede con attenzione e lascia al lettore giudicare se sia possibile che un’unione possa o meno durare per sempre se vi sono problemi di comprensione e di armonia. Elegantemente ci indurrà a farci propendere per il no.

Il testo in questione è un piccolo laboratorio dove il lettore dal di fuori, tramite uno spioncino, può osservare come delle persone stiano creando le basi per la nascita del nazionalsocialismo.

L’orrore cova lentamente sotto i meandri del populismo e del quotidiano per poi esplodere, uscendo allo scoperto quando ormai è una creatura matura, prendendo tutti i malcapitati alla sprovvista.

Tra le mura di questo scenario, fa eco la descrizione della città di Stoccarda intrisa di impressioni poetiche come questa che suona più o meno così (perdonatemi, vado a memoria): “Migliaia di luci nell'aria calda che sapeva di gelsomino e di lillà, e tutt'intorno il mormorio delle voci, il canto e il riso di cittadini soddisfatti, assonnati per aver mangiato troppo o per amare da troppo il buon vino”.

Si delineano anche le regole che entrano in gioco con la morte, scritte da chi, durante questi anni di orrore, conduceva comunque la vita spensierata di cui sopra. In questo caso, penso umilmente, che sia meglio il silenzio.


21/01/2022

Panama Al Brown. Il ragno del ring, di Eduardo Arroyo

Stavolta Andrea Brattelli ha scelto di parlare di un libro sul pugile panamense Alfonso Teófilo Brown scritto dall'artista spagnolo Eduardo Arroyo. Una storia emozionante, fatta di luci e ombre, di vittorie ma anche di sfruttamento e di razzismo.



Eduardo Arroyo è stato un pittore, incisore e scultore spagnolo che per una piccola parte della sua vita si è dedicato anche alla scrittura. Proprio in questo periodo si adoperò per regalarci questo affresco filosofico e storico sul mondo della boxe, scrivendo la biografia e tracciando le vicissitudini del pugile panamense Alfonso Teófilo Brown campione mondiale dei pesi "bantam". Lo scrittore afferma che "il buon pugile accetta la punizione, sa come farlo". Questa caratteristica lo differenzia dalle persone comuni, perché, di solito, nessuno accetta una punizione nell’età adulta, quando non si è più bambini.

Il pugile quando perde abbraccia l'avversario. "Non ho mai visto un mondo così privo di violenza come la boxe", asserisce Arroyo. Il pugilato è "epica poesia", uno "sport antico", "un quadro nel quale, sotto le luci di una bella giornata di sole, tutto accade".

Penso che quasi tutto questo sia vero, ma queste frasi omettono che il mondo che ruota intorno al pugilato non è etico, né poetico, piuttosto è spietato e sporco. I pugili che raggiungono la vetta spesso subiscono una tragica caduta tra l'indifferenza di tutti.

Alfonso Teófilo Brown, campione del mondo dei pesi bantam, trascorse i suoi ultimi giorni tra ospizi e ospedali, morendo lentamente a causa della sifilide e della tubercolosi. "È morto senza un amico o un parente conosciuto", disse il medico che lo ebbe in cura.

Il pugile nacque a Colón (Panama), il 5 luglio 1902. Attirò sempre l'attenzione di tutti per la sua estrema magrezza, che gli dava l'aspetto di un ragno dalle braccia gigantesche. Il suo busto e le sue gambe sembravano fili, ma i suoi pugni colpivano con la forza del martello di Thor.

Egli odiava la disciplina a cui lo sottoponevano gli allenatori delle palestre, quindi tendeva a mostrare un po’ troppo il fianco sinistro scoprendosi durante gli incontri a causa anche di un mediocre gioco di gambe. Di contro, aveva il dono di colpire i suoi avversari con precisione matematica. I suoi pugni cercavano e si scagliavano nei punti deboli degli avversari come rime ad effetto scrupolosamente agognate e ricercate dal poeta per incantare i lettori.

La sua guardia bassa, che gli consentiva di coprirsi rapidamente e quasi allo stesso tempo di tirare un pugno al mento dell'avversario, faceva sì che rapidamente l’incontro si concludesse per K.O.

Secondo la sua filosofia, "la boxe deve essere allegra. Un pugile arrabbiato combatte male. Un pugile balla. Anche durante le pause, continua a dare lo spettacolo tramite il suo movimento, danza tra le corde. Un pugile è un ballerino e anche uno psicologo. Scruta il suo avversario. Cerca di capirlo. Poi prepara la trappola. Ciò consiste nel fargli credere che può vincere e che è temuto. In questo modo viene posto proprio dove dovrebbe essere in modo da ricevere il colpo".

Sembrava un personaggio dei fumetti, indistruttibile, metà roccia, metà gomma, ma queste doti diventeranno il suo tallone d'Achille: non sarebbe stata in grado di sopportare il suo vertiginoso programma di combattimenti, concordato dai suoi manager, che volevano ottenere più soldi possibili a suo totale discapito.

Il giovane atleta firmerà il suo primo contratto con il manager Leo P. Flinn, un uomo d'affari che sapeva poco di boxe ma era un esperto di imbrogli e incontri truccati. È solo il primo di una lista di ripugnanti truffatori che abuseranno del colore della sua pelle per imporre condizioni miserevoli, sequestrandogli la maggior parte dei profitti. "Al" ci metterà del suo, sperperando irresponsabilmente i suoi soldi in vestiti eleganti, alcool, corse dei cavalli e auto di lusso. 

Ordinava i suoi abiti e le sue camicie dai migliori sarti di Londra. Si cambiava sei volte al giorno. Beveva champagne anche sul ring. "Un giorno senza champagne è un giorno perso", diceva. “Non capisco che si possa vivere senza bere una bottiglia di champagne al giorno", continuava.

Eduardo Arroyo lo descrive come "un Don Chisciotte nero" appassionato delle sale da ballo e degli ippodromi di Harlem. Il ragazzo aveva "un magnifico senso del ritmo e della distanza". A metà strada tra il "fachiro" e il "burattino", anche secondo Jacques Natanson; si muove attraverso il ring come un ballerino, affascinando scrittori, attori e artisti. Egli era intelligente, affascinante e originale. Rimarrà una star europea fino alla vigilia della seconda guerra mondiale. 

La sua fama non gli risparmierà il calvario di delegati senza scrupoli. Dave Lumiansky, un giovane avvocato che possedeva una piccola compagnia di assicurazioni, lo terrà sotto le sue grinfie per un bel po’. Per il legale il giovane pugile sarà solo e sempre "Al il nero", "un povero diavolo nero, destinato dal colore della sua pelle e dalla sua professione, a dare e ricevere colpi".

Il razzismo non è l'unico problema in cui incapperà "Panama" Al Brown. La sua omosessualità latente e discreta non gli renderà le cose più facili, anche se le sue inclinazioni non saranno mai conosciute dal grande pubblico. Sopporterà con rassegnazione gli insulti per il colore della sua pelle, tranne quando provengono dai suoi avversari, che di solito ama e rispetta.

Curiosità storica, quando il pugile combattè nell’Italia di Mussolini e vinse ai punti il pubblico lo applaudì: il fascismo italiano era forse impestato da un razzismo meno virulento di quello statunitense dove molti linciaggi di afroamericani venivano addirittura fotografati per venderli come souvenir.

Allo stremo delle forze, devastato dai combattimenti e dalle droghe fornitegli dai suoi manager per farlo barcollare ancora prima di combattere in un incontro truccato o per dargli energia e attenuargli i dolori per fargli vincere un combattimento e spillargli soldi, Panama decise di appendere i guantoni al chiodo e diventare ballerino di tip tap e musicista.

Proprio durante questa nuova fase della sua vita, all’Al Caprice Viennois in rue Pigalle incontrò Jean Cocteau che fu sedotto dalla sua personalità.

I due uomini si amarono di un amore profondo, Panama tornò a combattere ma il tutto durò molto poco. Il pugile era stato frantumato all'interno. Fuma sessanta pipe da oppio al giorno, cercando di calmare i suoi dolori e non pensare alla sua imminente discesa all'inferno, che sente molto vicino. Ha sperperato una fortuna, un milione di franchi. Il rapporto con Cocteau è fatto della stessa pasta dei fogli che gli esattori delle tasse gli inviano e che lui sistematicamente accartoccia tra i suoi pugni di pietra e butta via.

Solo il popolo di Panama mostrerà sincero dolore alla sua morte e preoccupazione per il destino dei suoi resti. Il corpo fu rimpatriato e sepolto grazie al lavoro di una commissione che finanziò le spese. Attualmente, la sua tomba può essere visitata nel cimitero di Amador, distretto di El Chorrillo, Panama City. Si tratta della tomba 3165. Di colore grigio, "non è bella, ma è molto dignitosa", scrive Eduardo Arroyo, che conclude la sua bella biografia narrando la sua visita al cimitero. Scambiato per un parente, qualche estraneo, un bambino, gli suggeriscono di lavare la tomba altrimenti lo faranno loro. Egli aggiungerà un epitaffio emotivo e lirico, che mette fine alla sua storia: "Alfonso, il poeta dell'inesistente, dell'imprevedibile. Il suo nome proclama la solitudine senza remissione".

La storia di Alfonso Teófilo Brown trabocca di umanità, tragedia, dignità, tenerezza. Gli stessi aggettivi potrebbero essere attribuiti a molti dei suoi rivali, come "Spider Planer", che perse la vista sul ring; Eugène Criqui, la cui mascella fu frantumata da un proiettile in una trincea a Calonne, vicino a Verdun, e tuttavia continuò a combattere ferocemente; il minuscolo "Sangchili", che in realtà si chiamava Baltasar Berenguer Hervás; "Giovane Pérez", assassinato ad Auschwitz; Carlos Flix, torturato e fucilato dal regime di Franco per aver combattuto in qualità di ufficiale sul fronte Ebro, un modo per mantenere la sua lussuosa Ford acquisita con i pugni e che il governo della Seconda Repubblica intendeva requisire.

La storia di Eduardo Arroyo non stupirà solo gli amanti della boxe. Il suo stile narrativo ricorda quello di "Panama Brown": frase breve e forte come un rifiuto; sintassi agile e danzante, la leggerezza data da buone gambe; stoicismo ed eleganza fino alla fine. Questa edizione include inoltre un bellissimo album fotografico che rende lo scritto vivo e pulsante.

14/01/2022

La formula del professore di Yoko Ogawa

Stavolta Andrea Brattelli ci parla di un libro davvero molto originale, diventato un caso editoriale in Giappone dove è stato pubblicato nel 2003 ricevendo poi il premio della Società dei matematici. Una governante, madre single di un ragazzino educato e curioso, viene assunta da un ricco professore per badare alla sua casa. Il datore di lavoro ha una malattia che lo rende incapace di ricordare a lungo le cose. Tra di loro nasce una forte amicizia, cementata da interessi comuni: la matematica e il baseball. 



Con l’augurio che, care lettrici e cari lettori, abbiate passato serenamente le festività natalizie, Vaina e io proponiamo la recensione del libro La formula del professore di Ogawa Yôko da cui è stato tratto anche un film.

La suddetta scrittrice è considerata una delle più importanti autrici post-moderne contemporanee giapponesi. Dal 1988 ha pubblicato più di venti lavori di fiction e non-fiction e ha vinto tutti i migliori premi letterari giapponesi. Il suo romanzo La formula del professore, uscito in Giappone nel 2003, ha superato il milione delle copie vendute e nel 2005 ha ricevuto un premio da parte della Società dei Matematici giapponesi per aver rivelato ai lettori la bellezza di questa materia e contribuito alla diffusione della matematica.

Mi accingo quindi a recensire il romanzo citato, di cui ho visto anche la trasposizione cinematografica con sottotitoli in inglese. La scrittrice è una donna molto affermata in Giappone e mi sento di giudicare il suo stile usando le stesse parole del premio Nobel Kenzaburō Ōe, ovvero: "Ogawa Yôko è in grado di tradurre in espressione i meccanismi più sottili della psicologia umana utilizzando una prosa delicata come una piuma ma penetrante come una spada." 

Devo anche però ammettere, mio malgrado, che vi sono degli errori nel testo riguardanti teoremi e formule matematiche che si sono evoluti anche nelle varie traduzioni italiana e tedesca e in altre tipologie di rappresentazione dell’opera. Sono comunque felice che la Ogawa non abbia utilizzato a sproposito, come sono soliti fare ora purtroppo i qualunquisti sui social, la formula dell’entanglement* per metaforizzare il legame sentimentale tra due persone. 

La trama si svolge coinvolgendo tre personaggi principali: una giovane madre single, suo figlio piccolo e un anziano matematico che la donna accudisce per lavoro. Il professore soffre di amnesia anterograda e la sua fonte di reddito proviene dai pagamenti che varie riviste specialistiche gli inviano per veder apparire sulle loro prime pagine il resoconto delle sue ricerche, i suoi teoremi che egli risolve con carta e penna, su fogli stropicciati tenuti nel cappotto insieme ad altri appunti riguardanti le cose da fare ogni giorno, che altrimenti dimenticherebbe. 

Sono carini gli episodi in cui, ogni volta che il signore incontra la sua badante, è come se la vedesse la prima volta, e le chiede sempre quale sia il numero che per lei ha avuto più significato nella sua vita perché ne desidera spiegare le proprietà. La donna sistematicamente pronuncia un numero diverso; ha capito da tempo infatti che l’unica maniera che ha per accudire al meglio l’ex insegnante e svolgere quindi bene il suo lavoro è quello di saperne il più possibile sulla matematica pura che è una corda invisibile che li lega e intreccia le loro storie... e li unirà in futuro.

Il legame tra persone viene interpretato come una “colla” che nella struttura della materia tiene insieme individui che sembrano non avere nulla in comune. Le leggi che ne costituiscono la chimica sono descrivibili con le formule matematiche; è affascinante notare come si spazia da modelli numerici, ai metodi logici su cui si basa una ricerca scientifica senza che la narrazione ne risenta. 

Allo strazio della malattia verrà lasciato il posto, tramite una sapiente narrazione, alla simpatia nei riguardi del personaggio del professore che sembra diventare man mano una persona molto simpatica contrariamente ai pregiudizi che di solito si hanno sui matematici. Di solito infatti questa disciplina purtroppo viene inquadrata come uno strumento di alienazione, mentre invece è un fiore di loto che la Natura ci dona per illuminare le nostre menti come fa una lanterna nelle notti più buie. 

La storia è semplice, senza intrighi e conflitti di sorta, ci si chiede solo di poter passare un po’ di tempo in piacevole compagnia con questi personaggi e i numeri sono da considerare delle comparse. 

Mi permetto di suggerire altri film e libri a tema matematico:
  • A Beautiful Mind, film di Ron Howard tratto da Il genio dei numeri di Sylvia Nasar
  • il libro La misura del mondo di Daniel Kehlmann
  • il manga Hajime's Algorithm di Mihara Kazuto
  • l'opera teatrale Proof - La prova di David Auburn diventata anche film omonimo di John Madden
  • il romanzo Più corro veloce, più sono piccola di Kjersti a. Skomsvold
  • il racconto The Arnold Proof di Jessica Francis Kane contenuto nella raccolta Bending heaven
  • il romanzo Il sospettato X di Keigo Higashino
  • il racconto Falling Umbrella di Julia Whitty contenuto nella raccolta A Tortoise for the Queen of Tonga
  • l'intervento Reading by Numbers di Aidan Doyle pubblicato su Fantasy Magazine 
  • il romanzo Ein fremdes Gefühl di Irene Dische
*Dalla Treccani: "legame di natura fondamentale esistente fra particelle costituenti un sistema quantistico". Qui la definizione completa.

07/01/2022

Casa Howard di Edward Morgan Forster

Andrea Brattelli ama i classici e stavolta ci parla di Casa Howard, un romanzo del longevo scrittore britannico Edward Morgan Forster pubblicato per la prima volta nel 1910. L'indagine dei rapporti umani, delle convenzioni e dei pregiudizi è comune ai membri del "Bloomsbury", gruppo di artisti e letterati attivo tra il 1905 e la seconda guerra mondiale, cui appartiene Forster. L'unione è fortemente ispirata alla filosofia di George Edward Moore, membro di una società segreta (la Cambridge Apostles Society) che annovera al suo interno numerosi intellettuali. 



Casa Howard è un romanzo in cui si può cogliere, andando a tempo con i suoni delle piazze in fermento della Londra dei primi del Novecento, la melodia della percezione femminile nel descrivere personaggi e situazioni che si intrecciano nello svolgimento della trama, anche se l’autore di quest’opera è un uomo.

Nella storia molti eventi non si conciliano nel modo desiderato dai personaggi principali, ma agognare l’impossibile in vista di una felicità totale e irrealizzabile è sempre stato un male dell’umanità.

Le protagoniste sono due sorelle, Margaret ed Helen, e quando la prima sposerà Henry Wilcox il lettore si sentirà, per una serie di circostanze, disgustato.

Egli infatti è un uomo senza scrupoli, anziano e prosaico, e la donna, molto diversa da lui, lo ama per istinto primordiale, così come sono primitivi gli istinti di Wilcox che cerca di primeggiare in una Londra in forte espansione, rifiutando, entrambi, qualsiasi ideale romantico.

Ci sentiamo quindi mossi da un moto di ribellione insieme a Helen.

Nella vita bisogna cercare sempre un compromesso ma lo spirito non può accontentarsi solo di beni materiali accaparrati a qualsiasi costo. Fino a quando vale la pena percorrere i metri negli ampi saloni da ballo di fastose case durante i soliti ricevimenti mondani a scapito di passeggiate che ci potrebbero far incontrare persone che vivono la vita reale e ci potrebbero riportare coi piedi per terra?

L’amore nel trattare questi temi seri, a scapito di altri, in Forster nasce dal ricordo degli anni vissuti nella sua casa di campagna, in cui praticò vita contemplativa, connettendo nella sua mente la geografia del luogo con gli antichi valori inglesi che venivano, in quel tempo, soppiantati dalla corsa al commercio internazionale che vide la Londra dei primi del '900 la più potente città a livello mondiale.

Lo scrittore si accorse, durante la sua vita, che più persone conosceva, maggiormente era facile sostituirle.

Alla base di questa filosofia di vita vi era la dottrina del filosofo George Moore che sosteneva la contemplazione della bellezza e la coltivazione delle relazioni personali come antidoto spirituale all'ethos meccanicistico senza radici della sua epoca.

Si dovrebbe anche asserire, per onestà intellettuale, che il narratore godette di privilegi economici almeno in gioventù, e ciò gli permise, pur non essendo esperto, di speculare sulle nuove tecnologie del tempo, negando però così i fatti.

Si ritiene che Forster abbia conosciuto realmente famiglie simili a quelle descritte nel romanzo, i cui scheletri nell’armadio ormai sono andati letteralmente bruciati insieme ad alcuni suoi diari perduti.

Ciò che è rimasto però ci permette di comprendere la praticità dei valori conformisti, delle "convenzioni sociali, e la tendenza economica all’efficienza"; di tutto ciò divennero acutamente consapevoli (dei limiti degli ideali liberali) alcuni membri di queste famiglie.

I dibattiti nei salotti del gruppo di Bloomsbury e le feste alla moda erano per Forster e altri intellettuali troppo ristretti, troppo sprezzanti delle condizioni economiche e materiali che rendevano possibile il loro modo di vivere. In questo contesto, emerse il personaggio di Margaret: la sua curiosa attrazione per Henry, il suo apprezzamento per il denaro, il suo pragmatismo. A differenza di sua sorella Helen, il cui breve ingresso con i dinamici uomini Wilcox si evolve rapidamente in disprezzo per loro, Margaret, come l'uomo che l'ha ideata, immagina un matrimonio soprattutto religioso di anima e corpo, e solo poi legato alla campagna e la città, passione carnale, cultura e commercio.

Oltre ai temi seri infatti nel libro vi sono anche situazioni spiritose, come quando appunto Margaret racconta a Helen come vorrebbe che fosse il suo matrimonio da sogno, esprimendosi con toni ed esprimendo ideali anche un po’ infantili e ingenui.

Anche col passare degli anni, Casa Howard è rimasto uno dei romanzi più amati di Forster. Poche opere combinano la commedia sociale e la satira politica con le abili caratterizzazioni viste metaforicamente attraverso gli occhi delle sorelle Schlegel. Scrivendo durante un periodo di vivace discussione sulle condizioni socioeconomiche del suo paese, l’autore concepì l'opera come un "romanzo sulla condizione dell'Inghilterra", un'opera progettata per entrare nei dibattiti edoardiani su ricchezza e povertà, arte e pragmatismo, vita di campagna e sprawl urbano che non sarebbero sembrati sconosciuti nell'Inghilterra della Thatcher o nell'America di Reagan. Il narratore fornisce una prospettiva distintamente umanistica su alcuni dei dibattiti centrali del suo tempo e del nostro.

In definitiva, Howard's End è l'espressione più ottimistica della visione unica di Forster, una sensibilità che trascende i confini temporali del suo romanzo. I suoi personaggi riccamente disegnati e le lotte che affrontano per mantenere la connessione umana in una società sempre più spersonalizzata, per trovare una casa spirituale nel mondo, sono ancora attuali come lo erano all'inizio del ventesimo secolo.

04/01/2022

Passeggiate nei prati dell’eternità di Valeria Paniccia



Una passeggiata tra le tombe. Il turismo cimiteriale, o necroturismo (esiste un omonimo sito dedicato) è diffuso da tempo immemore e le motivazioni sono le più svariate: dall’interesse patriottico o storico-artistico per i monumenti alla soddisfazione del proprio spirito religioso o romantico, dal semplice gusto del macabro (con tour che comprendono tappe su luoghi di delitti resi celebri dai media) al desiderio di fare visita alle tombe di personaggi particolarmente famosi o amati; e, non ultimo, l’interesse per le specie animali e vegetali che spesso si trovano nei luoghi dell'eterno riposo.

E l’interesse per i cimiteri trova spazio anche nella narrativa: Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrin è diventato un bestseller in tutto il mondo.

Ma quanti sono, in Italia, i cimiteri di interesse turistico? 191, secondo un articolo del Sole 24 Ore del 2014 che trovate qui.

Se vi interessa conoscerne qualcuno più da vicino, il libro Passeggiate nei prati dell’eternità di Valeria Paniccia è quello che fa per voi.

Questo volume non è una classica guida cimiteriale e non è un romanzo; non è un libro di storia né si sofferma sulle caratteristiche delle tombe: è un insieme di tutti questi aspetti, con l'aggiunta di cenni biografici sulle persone oggetto della sepoltura. Personalmente lo trovo suggestivo e interessante, soprattutto per le citazioni di personaggi e di cimiteri meno conosciuti.

Qui voglio solo darvi un'idea dei cimiteri italiani che vengono trattati (quelli fuori dai confini nazionali sono solo tre). Il libro si apre con quello che trovo il più suggestivo tra i cimiteri italiani: San Michele in Isola, a Venezia. Le vite di Ezra Pound, Josif Brodsky, Igor Stravinsky e Helenio Herrera narrate da Massimo Cacciari sono davvero toccanti, ma non mancano nomi meno conosciuti, come Luigi Nono.

Il secondo cimitero toccato è l’acattolico per stranieri di Roma, dove Margherita Hack ci porta a conoscere John Keats e Percy Bysshe Shelley; e poi veniamo travolti dalle storie di Dario Bellezza, Amelia Rosselli, Antonio Gramsci e tante altre persone più e meno famose.

La terza tappa non può che essere Staglieno, presso Genova, con José Saramago e Oreste De Fornari a fare da accompagnatori sulle tombe di Mary Constance Wilde, Giuseppe Mazzini, Nino Bixio e Fabrizio De André.

Dopo la parentesi all’immancabile Père-Lachaise di Parigi con le sue celebrità, si torna in Italia per parlare del meno conosciuto Monumentale di Torino, dove Piero Chiambretti ci guida sulla tomba della scandalosa Carolina Invernizio e su quelle di Fred Buscaglione e Amalia Guglielminetti. Ma qui riposano anche Cesare Lombroso, Mario Soldati, Edmondo De Amicis e, naturalmente, Primo Levi.

Al Monumentale di Milano, Gae Aulenti e Luca Doninelli ci portano sulle tombe di Giorgio Gaber, Camilla Cederna, Alessandro Manzoni, don Giussani e Anna Kuliscioff. Pupi Avati è invece la guida alla Certosa di Bologna, in compagnia di Giosuè Carducci, Giorgio Morandi, Ottorino Respighi e il Farinelli.

Dopo una parentesi al Novodevichy a Mosca, approdiamo a Santa Maria del Pianto di Napoli, con Toni Servillo a parlarci del grande Totò, che vide da bambino e (spoiler!) gli baciò anche l’anello. E poi Nino Taranto, Eduardo Scarpetta, Enrico Caruso.

Sul finire del viaggio, prima di approdare al cimitero delle star di Los Angeles (il famoso Hollywood Forever), c’è ancora posto per un ultimo luogo italiano del riposo eterno: le Porte Sante di Firenze, accompagnati da Giovanni Sartori. Qui riposano, tra gli altri, Giovanni Spadolini e Pellegrino Artusi.

Alla prossima, e ricordate che un cimitero non è mai tale senza un gatto a farvi da guida tra le tombe.