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21/01/2022

Panama Al Brown. Il ragno del ring, di Eduardo Arroyo

Stavolta Andrea Brattelli ha scelto di parlare di un libro sul pugile panamense Alfonso Teófilo Brown scritto dall'artista spagnolo Eduardo Arroyo. Una storia emozionante, fatta di luci e ombre, di vittorie ma anche di sfruttamento e di razzismo.



Eduardo Arroyo è stato un pittore, incisore e scultore spagnolo che per una piccola parte della sua vita si è dedicato anche alla scrittura. Proprio in questo periodo si adoperò per regalarci questo affresco filosofico e storico sul mondo della boxe, scrivendo la biografia e tracciando le vicissitudini del pugile panamense Alfonso Teófilo Brown campione mondiale dei pesi "bantam". Lo scrittore afferma che "il buon pugile accetta la punizione, sa come farlo". Questa caratteristica lo differenzia dalle persone comuni, perché, di solito, nessuno accetta una punizione nell’età adulta, quando non si è più bambini.

Il pugile quando perde abbraccia l'avversario. "Non ho mai visto un mondo così privo di violenza come la boxe", asserisce Arroyo. Il pugilato è "epica poesia", uno "sport antico", "un quadro nel quale, sotto le luci di una bella giornata di sole, tutto accade".

Penso che quasi tutto questo sia vero, ma queste frasi omettono che il mondo che ruota intorno al pugilato non è etico, né poetico, piuttosto è spietato e sporco. I pugili che raggiungono la vetta spesso subiscono una tragica caduta tra l'indifferenza di tutti.

Alfonso Teófilo Brown, campione del mondo dei pesi bantam, trascorse i suoi ultimi giorni tra ospizi e ospedali, morendo lentamente a causa della sifilide e della tubercolosi. "È morto senza un amico o un parente conosciuto", disse il medico che lo ebbe in cura.

Il pugile nacque a Colón (Panama), il 5 luglio 1902. Attirò sempre l'attenzione di tutti per la sua estrema magrezza, che gli dava l'aspetto di un ragno dalle braccia gigantesche. Il suo busto e le sue gambe sembravano fili, ma i suoi pugni colpivano con la forza del martello di Thor.

Egli odiava la disciplina a cui lo sottoponevano gli allenatori delle palestre, quindi tendeva a mostrare un po’ troppo il fianco sinistro scoprendosi durante gli incontri a causa anche di un mediocre gioco di gambe. Di contro, aveva il dono di colpire i suoi avversari con precisione matematica. I suoi pugni cercavano e si scagliavano nei punti deboli degli avversari come rime ad effetto scrupolosamente agognate e ricercate dal poeta per incantare i lettori.

La sua guardia bassa, che gli consentiva di coprirsi rapidamente e quasi allo stesso tempo di tirare un pugno al mento dell'avversario, faceva sì che rapidamente l’incontro si concludesse per K.O.

Secondo la sua filosofia, "la boxe deve essere allegra. Un pugile arrabbiato combatte male. Un pugile balla. Anche durante le pause, continua a dare lo spettacolo tramite il suo movimento, danza tra le corde. Un pugile è un ballerino e anche uno psicologo. Scruta il suo avversario. Cerca di capirlo. Poi prepara la trappola. Ciò consiste nel fargli credere che può vincere e che è temuto. In questo modo viene posto proprio dove dovrebbe essere in modo da ricevere il colpo".

Sembrava un personaggio dei fumetti, indistruttibile, metà roccia, metà gomma, ma queste doti diventeranno il suo tallone d'Achille: non sarebbe stata in grado di sopportare il suo vertiginoso programma di combattimenti, concordato dai suoi manager, che volevano ottenere più soldi possibili a suo totale discapito.

Il giovane atleta firmerà il suo primo contratto con il manager Leo P. Flinn, un uomo d'affari che sapeva poco di boxe ma era un esperto di imbrogli e incontri truccati. È solo il primo di una lista di ripugnanti truffatori che abuseranno del colore della sua pelle per imporre condizioni miserevoli, sequestrandogli la maggior parte dei profitti. "Al" ci metterà del suo, sperperando irresponsabilmente i suoi soldi in vestiti eleganti, alcool, corse dei cavalli e auto di lusso. 

Ordinava i suoi abiti e le sue camicie dai migliori sarti di Londra. Si cambiava sei volte al giorno. Beveva champagne anche sul ring. "Un giorno senza champagne è un giorno perso", diceva. “Non capisco che si possa vivere senza bere una bottiglia di champagne al giorno", continuava.

Eduardo Arroyo lo descrive come "un Don Chisciotte nero" appassionato delle sale da ballo e degli ippodromi di Harlem. Il ragazzo aveva "un magnifico senso del ritmo e della distanza". A metà strada tra il "fachiro" e il "burattino", anche secondo Jacques Natanson; si muove attraverso il ring come un ballerino, affascinando scrittori, attori e artisti. Egli era intelligente, affascinante e originale. Rimarrà una star europea fino alla vigilia della seconda guerra mondiale. 

La sua fama non gli risparmierà il calvario di delegati senza scrupoli. Dave Lumiansky, un giovane avvocato che possedeva una piccola compagnia di assicurazioni, lo terrà sotto le sue grinfie per un bel po’. Per il legale il giovane pugile sarà solo e sempre "Al il nero", "un povero diavolo nero, destinato dal colore della sua pelle e dalla sua professione, a dare e ricevere colpi".

Il razzismo non è l'unico problema in cui incapperà "Panama" Al Brown. La sua omosessualità latente e discreta non gli renderà le cose più facili, anche se le sue inclinazioni non saranno mai conosciute dal grande pubblico. Sopporterà con rassegnazione gli insulti per il colore della sua pelle, tranne quando provengono dai suoi avversari, che di solito ama e rispetta.

Curiosità storica, quando il pugile combattè nell’Italia di Mussolini e vinse ai punti il pubblico lo applaudì: il fascismo italiano era forse impestato da un razzismo meno virulento di quello statunitense dove molti linciaggi di afroamericani venivano addirittura fotografati per venderli come souvenir.

Allo stremo delle forze, devastato dai combattimenti e dalle droghe fornitegli dai suoi manager per farlo barcollare ancora prima di combattere in un incontro truccato o per dargli energia e attenuargli i dolori per fargli vincere un combattimento e spillargli soldi, Panama decise di appendere i guantoni al chiodo e diventare ballerino di tip tap e musicista.

Proprio durante questa nuova fase della sua vita, all’Al Caprice Viennois in rue Pigalle incontrò Jean Cocteau che fu sedotto dalla sua personalità.

I due uomini si amarono di un amore profondo, Panama tornò a combattere ma il tutto durò molto poco. Il pugile era stato frantumato all'interno. Fuma sessanta pipe da oppio al giorno, cercando di calmare i suoi dolori e non pensare alla sua imminente discesa all'inferno, che sente molto vicino. Ha sperperato una fortuna, un milione di franchi. Il rapporto con Cocteau è fatto della stessa pasta dei fogli che gli esattori delle tasse gli inviano e che lui sistematicamente accartoccia tra i suoi pugni di pietra e butta via.

Solo il popolo di Panama mostrerà sincero dolore alla sua morte e preoccupazione per il destino dei suoi resti. Il corpo fu rimpatriato e sepolto grazie al lavoro di una commissione che finanziò le spese. Attualmente, la sua tomba può essere visitata nel cimitero di Amador, distretto di El Chorrillo, Panama City. Si tratta della tomba 3165. Di colore grigio, "non è bella, ma è molto dignitosa", scrive Eduardo Arroyo, che conclude la sua bella biografia narrando la sua visita al cimitero. Scambiato per un parente, qualche estraneo, un bambino, gli suggeriscono di lavare la tomba altrimenti lo faranno loro. Egli aggiungerà un epitaffio emotivo e lirico, che mette fine alla sua storia: "Alfonso, il poeta dell'inesistente, dell'imprevedibile. Il suo nome proclama la solitudine senza remissione".

La storia di Alfonso Teófilo Brown trabocca di umanità, tragedia, dignità, tenerezza. Gli stessi aggettivi potrebbero essere attribuiti a molti dei suoi rivali, come "Spider Planer", che perse la vista sul ring; Eugène Criqui, la cui mascella fu frantumata da un proiettile in una trincea a Calonne, vicino a Verdun, e tuttavia continuò a combattere ferocemente; il minuscolo "Sangchili", che in realtà si chiamava Baltasar Berenguer Hervás; "Giovane Pérez", assassinato ad Auschwitz; Carlos Flix, torturato e fucilato dal regime di Franco per aver combattuto in qualità di ufficiale sul fronte Ebro, un modo per mantenere la sua lussuosa Ford acquisita con i pugni e che il governo della Seconda Repubblica intendeva requisire.

La storia di Eduardo Arroyo non stupirà solo gli amanti della boxe. Il suo stile narrativo ricorda quello di "Panama Brown": frase breve e forte come un rifiuto; sintassi agile e danzante, la leggerezza data da buone gambe; stoicismo ed eleganza fino alla fine. Questa edizione include inoltre un bellissimo album fotografico che rende lo scritto vivo e pulsante.

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