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La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

28/07/2023

L’isola di Arturo, di Elsa Morante

Andrea Brattelli dedica un'approfondita analisi a un grande romanzo di formazione del 1957 ambientato nella Procida degli anni '30: L'isola di Arturo di Elsa Morante, che vinse il Premio Strega, fu tradotto in decine di lingue e che ancora oggi ci racconta tanto sui sentimenti e sulle delusioni. Qui un approfondimento di Raiplay sull'autrice.

"Almeno dalle altre femmine, uno può salvarsi, può scoraggiare il loro amore; ma dalla madre, chi ti salva?"

L’isola di Procida, luogo nel quale sono ambientate le vicende narrate in questo romanzo, è nella provincia di Napoli, città famosa anche per il suo vulcano, il Vesuvio, che domina sul Golfo. I temi trattati nel libro, ovvero incesto, misoginia, narcisismo, omosessualità scivolano tra le pagine come la lava che viene giù dalle pendici del Monte Somma.

La prosa della Morante, operistica, barocca, è la caldera dove dobbiamo attingere per capire la visione del mondo degli italiani negli anni appena precedenti alla Seconda Guerra Mondiale, realtà che percepiamo attraverso gli occhi di un ragazzo appena maggiorenne e semi orfano. La scrittrice ci regala un'epopea moderna con i dialoghi e le descrizioni che scaturiscono da personaggi dal "ghigno sprezzante", "risate di derisione", che assumono atteggiamenti di disgusto, selvaggi, dai modi di fare aggressivi e insolenti.

Lei stessa condusse una vita stridente rispetto a quella delle donne della sua età, del suo ceto sociale vissute negli stessi anni e conoscere alcuni fatti della sua biografia aiuta a contestualizzare alcune scelte cadenzate dagli stati d’animo che ripone nelle sue produzioni.

Morante e Moravia, suo marito, erano entrambi per metà ebrei; la coppia si diede alla fuga nel 1943 nascondendosi per quasi un anno in una piccola città, al riparo, in una capanna diroccata.

Tornati a Roma dopo la guerra, divennero, agli occhi degli italiani, qualcosa di simile a Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Tra i loro amici c'erano lo scrittore Italo Calvino e i registi Pier Paolo Pasolini e Luchino Visconti.

Tornando alla nostra recensione, l'isola di Procida, in quest’opera, viene smitizzata; dimenticatevi i sublimi documentari di Alberto Angela in merito: un'enorme prigione incombe sull'isola, come se fosse Alcatraz. La casa di Arturo infatti è un palazzo fatiscente composto da venti stanze con ragnatele. Il ragazzo vaga lì intorno con il suo cane e si concede qualche piccola navigazione in mare con la sua barchetta.

Tramite le finestre spalancate le camere si affacciano su un altro tempo e luogo: sembra di essere nell’Ottocento invece che nell’Italia degli anni '50. Case di pietra, carrozze che scricchiolano mentre viaggiano a passo d’uomo, gente che alimenta il fuoco nel camino con mantici. Ciò separa troppo noi lettori, a volte, dal personaggio principale. Sembra a volte di leggere le Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo. La struttura di questa tipologia di romanzi prevede infatti che il protagonista si guardi indietro e ci narri la storia della sua gioventù.

Sua madre morì di parto. Suo padre, che egli idolatra, è per lo più un uomo freddo e distaccato, che trascorre gran parte del suo tempo lontano dalla provincia per motivi non ben chiari, dei quali cui si rifiuta di parlare.

Il giovane cresce disprezzando le donne. Il precedente proprietario della casa, un uomo ricco e apparentemente gay, organizzava feste di continuo e negava l'ingresso al sesso femminile. Suo padre, che ereditò il maniero, sposò anche la maggior parte delle sue opinioni.

Il mondo del protagonista non sarà più lo stesso quando il padre porterà a casa la nuova sposa, la giovanissima Nunziata. Il cambiamento nelle dinamiche famigliari porterà il fanciullo a dover affrontare necessariamente i suoi traumi subconsci più profondi con la possibilità di sperimentare sia le gioie che i dolori dell'amore. La storia proposta dalla narratrice è ingannevolmente semplice ma, in realtà, è molto più complessa psicologicamente rispetto a quanto inizialmente avremmo potuto ipotizzare. Evoca tutte le delizie della meraviglia infantile e i desideri dell'adolescenza, le sensazioni di estati infinite e l'atmosfera di terre misteriose e isolate circondate da mari color acquamarina.

La crescita di Arturo gioca contro la consapevolezza del lettore della guerra in arrivo. C'è la tragica sensazione che i sogni eroici della sua giovinezza stiano per essere messi alla prova in modi che non aveva previsto. Gli uomini in questo romanzo sono come coltelli e la carne è rappresentata dalla figura femminile. Ci sono poche donne felici o soddisfatte nell'opera di Morante. Nunziata prepara pasta fresca ogni giorno; si prende cura di suo figlio. È avvolta da una specie di luce che le conferisce una sorta di protezione dalle brutture della vita e la fa sembrare una santa. L’enorme villa però sembra posseduta da un entità sinistra: il suo ingresso nella casa delle libertà fanciullesche, dove ogni manifestazione di debolezza è disapprovata, è metafora dell’"interno" che invade l’animo di colei che era all’"esterno"; "lo spirituale" inizia a invadere "il terreno". È in questo conflitto interiore tra femminile e maschile che il ragazzo, che non ha mai ricevuto l'amore della madre (o i baci di nessuno) sperimenta l'insondabile.

La vera tragedia della narrazione sta nel fatto che ogni personaggio teme ed è riluttante a esprimere apertamente i propri veri sentimenti. Ciò che è veramente sentito non viene mai comunicato e il problema principale deriva da emozioni nascoste mai espresse, amore non mostrato apertamente e ferite sepolte talmente in profondità da non essere percepite neppure da chi le porta nel cuore.

Sapientemente realizzata, a volte scorrevole senza sforzo, la storia ci permette di andare alla deriva seguendo la scia di Arturo su e giù per le colline e via verso le spiagge che egli conosce così bene. Il racconto non manca di momenti di pathos, dato l'entusiasmo e la passione del ragazzo che traspare in molte pagine, specialmente nella prima metà del libro, ma poi ci si renderà conto che il tempo esigerà gradualmente il suo dovuto. Ci sono sottili indizi, che diventeranno poi segni più concreti, che il tempo del fanciullo sull'isola sta volgendo al termine, specialmente quando egli capirà che il suo grandioso padre ha i "piedi di argilla".

Con il passare dei mesi, Arturo dovrà cercare di dare un senso alle sue emozioni mentre oscillano tra una forma idealizzata di primo amore per Nunziata e una disillusione abietta – le sue dimostrazioni di affetto infatti vengono rapidamente respinte. Un po' invano, dovrà affrontare situazioni nuove e confuse in questa brusca esposizione alle complessità del mondo degli adulti.

Questo è un romanzo stratificato ed emotivamente ricco, lirico, intuitivo, dolorosamente percettivo, che probabilmente soddisferà gli amanti della narrativa interiore influenzata da un forte senso di appartenenza ai luoghi. Il ritmo è lento, riflette quello della vita sull'isola – sicuramente sarà un lento bruciare, ma che premierà la pazienza e l'investimento emotivo del lettore.

25/07/2023

L'età inquieta. Racconti del terrore, di Anna Starobinec

"Dove sono i viventi? Non dire assurdità. Non ce ne sono più. Sono stati sconfitti..." 

Ho scelto L'età inquieta. Racconti del terrore di Anna Starobinec perché ispirata dalla descrizione in quarta di copertina, colpita dal prezzo minimo del volume (7 euro ma spesso disponibile al 50%) e dalla grafica curata. Preciso subito che questo non è "un libro da poco", anzi: i racconti presenti in questa raccolta sono stati finalisti al National Bestseller Prize del 2004, il principale premio letterario russo; inoltre, la traduzione di Mario Alessandro Curletto sembra davvero cogliere l’efficacia stilistica dell'autrice.

La raccolta, edita da ISBN nel 2012, è difficile da catalogare sotto un'unica etichetta di genere ed è per questo che al titolo che richiama l'inquietudine si accompagna il sottotitolo che recita "racconti del terrore".

Le storie di Starobinec, alcune lunghe e altre di poche pagine, variano dal racconto kafkiano ("La famiglia") a quello fanta-body horror caro a Stephen King e Clive Barker (il racconto lungo "Formicaio" che apre la raccolta, davvero pregevole e spaventoso), dalla struggente fantascienza post-apocalittica di "Viventi" che richiama Blade Runner e Solaris all'orrore psicologico di "L'agenzia" che sembra derivare direttamente da Le Horla.

In tutte le variabili (la storia dell'adolescente che sviluppa un'ossessione morbosa per il cibo cucinato da sua madre in "Io aspetto") e su tutte le lunghezze ("Le regole", brevissimo, è uno dei racconti più agghiaccianti), la scrittura di Starobinec è di grande impatto e sviluppa la giusta tensione. 

L'elemento comune alla maggior parte delle storie è quello psicologico, tanto che anche al termine della lettura ci chiediamo spesso se il protagonista sia paranoico, stia sognando o se gli accadimenti narrati siano reali. Su tutto regnano malinconia, solitudine e alienazione, il senso di sgomento, l'orrore interiore e quello collettivo: non è un caso che questi racconti siano scritti e ambientati nella Russia post-sovietica, ancora in crisi identitaria.

Nel complesso, L'età inquieta è un volume che consiglio sia a chi ama il genere horror e cerca qualcosa di diverso dai soliti libri erotico-vampireschi, zombeschi e post-apocalittici, sia a chi ama i racconti psicologici disturbanti dal retrogusto amaro.

21/07/2023

Trilogia sporca dell’Avana, di Pedro Juan Gutiérrez

Andrea Brattelli si distingue per scelte non scontate che si alternano alla riscoperta di classici. Questa settimana ci porta a Cuba con il volume che contiene la Trilogia sporca dell'Avana di Pedro Juan Gutiérrez, formata da "Senza niente da fare", "Ancorato alla terra di nessuno" e "Sapore di me". Lo scrittore descrive gli anni Novanta attraverso la profonda crisi dell'isola che si intreccia con la sua stessa crisi sentimentale e lavorativa. 


Pedro Juan Gutiérrez mentre scriveva ha sempre svolto più di un lavoro simultaneamente: istruttore di nuoto, venditore di gelati e giornali, tecnico di cantiere, giornalista e annunciatore televisivo. Tutte esperienze che, senza dubbio, hanno poi costituito il substrato per le sue produzioni. La sconcertante ambiguità che si avverte cercando informazioni su di lui ci fa pensare che il protagonista delle sue storie sia, in realtà, egli stesso ma, proprio per la natura di questi racconti, ciò lo tiene nascosto. L’evidente talento narrativo, la fiducia in se stesso, e il suo senso dell’umorismo ci invitano a pensare, in modo più sensato, che esista una perfetta identificazione tra autore e personaggio in modo che entrambi siano, al contempo, fittizi e reali.

La storia della letteratura cubana è disseminata da esempi di narrativa in cui la carica sessuale è prettamente predominante. Ad essa si aggiunge il sordido mondo della realtà quotidiana. Nella Cuba di Castro, in una società divisa tra chi fugge e chi resta, il nostro scrittore sembra appartenere a questa seconda categoria e cerca, con le sue opere, di ritrarre questa città bombardata, a tratti disabitata, che cade a pezzi e che si ama e odia alla follia.

Uno degli aspetti più originali di questa completa trilogia è che è scritta al di fuori di qualsiasi ideologia. La critica al castrismo è attuata dall'interno dell'isola e non fa appello a nessuna forza redentrice: Pedro si limita a essere un cronista del crollo. Non è imparziale dato che non si muove tra i distretti più poveri; la narrazione del poeta si rifà alla tradizione picaresca. La sua penna è una freccia che punta, mira a mostrare in maniera ironica e grottesca il lato crudele dell’indigenza. Non ha rispetto per le istituzioni ufficiali, ed è a favore della negazione di tutti i principi morali in nome della sopravvivenza. L’autore stesso ammette di non aver mai capito bene cosa si intenda, stando a Cuba, quando si menzionano diritti etici, morali, i doveri. Egli è rimasto cinico perché è più facile così rimanere vivo in quel tipo di società.

È proprio l’amoralità che permette di smascherare la falsa morigeratezza imposta dal potere.

In questi scritti possiamo inoltre ritrovare un omaggio anti-retorico a Lezama Lima, a Cabrera Infante per quanto concerne la visione del mondo dai tetti di umili stanze dalle quali i personaggi accarezzavano con lo sguardo l’imbrunire che incombeva di sera sulla città. Potenti i riferimenti a Bukowski e Allen Ginsberg quando lo scrittore racconta l’amore omosessuale, che difende a spada tratta, rappresenta in maniera esplosiva, dato che è l’ultimo baluardo di ribellione e anticonformismo di un cittadino contro la repressione politica.

L'attrattiva per queste storie non dipende comunque dai riferimenti letterari di cui sopra, nonostante siano significativi; nasce piuttosto da un'efficace naturalezza narrativa. Questa genuinità spiega perché la trama spesso manchi di tensione: è un flusso di fatti di cui noi lettori siamo "testimoni" mentre assistiamo agli straordinari eventi quotidiani in una città dove da ogni angolo di viuzza spunta qualcosa che ci sorprende a tal punto che accettiamo di vivere qualsiasi rocambolesca avventura. Le situazioni si ripetono, non per cadere nella goffa reiterazione frutto della povertà immaginativa, ma perché l'autore è riuscito a renderci familiare questo mondo folle.

La realtà con cui ci scontriamo, presieduta dalla fame nera portata dalla carestia che imperversò nel paese dal 1991 al 1995, anni in cui furono scritti questi racconti, impone un'unità narrativa che spesso viene tradita dalla finzione. Forse per la passione che ha per la cronaca il protagonista/autore mette in secondo piano tutti gli altri personaggi che sembrano solo comparse. I nomi delle mogli e delle amanti sono confusi, improvvisamente appaiono parenti che poi scompaiono perché non sono più narrativamente necessari. 
La personalità stessa di Pedro Juan è estremamente contraddittoria. È essenzialmente uno sconfitto, un sentimentale che cerca di indurirsi e che spesso ci riesce. È stato giornalista per vent'anni. È impegnato in tutti i tipi di lavori conosciuti , vera canaglia in un mondo di ladri. Coltiva il cinismo, è politicamente scettico, cerca la solitudine e trova se stesso, ma ha bisogno della compagnia degli altri e si lascia vincere dalla malinconia e persino dalla tenerezza. È un sopravvissuto tra i sopravvissuti, quindi a volte le storie raccontano esperienze personali, in altre è semplicemente un testimone e altre volte sono storie in terza persona.

In ogni caso, i capisaldi tematici sono sempre gli stessi, anche se introducono continuamente nuovi elementi. Rum, marijuana e sesso per vincere la rabbia da frustrazione per la mancanza di denaro, di lavoro. Miseria e fame. La sordida sporcizia delle case, dove vivono gli inquilini circondati da escrementi. Il risultato di questo malessere generalizzato è l'egoismo verso il prossimo nella sua totalità, la mancanza di solidarietà, la paura della polizia, la prostituzione, il carcere, il suicidio, la follia, il sogno, non condiviso dal narratore, di fuggire su una zattera a Miami.

Chiudo con le frasi estrapolate da una intervista rilasciata tempo fa da Gutiérrez in cui egli esplica il suo approccio alla produzione letteraria: “[…]Non mi interessa il decorativo, o il bello, o il dolce, o il delizioso [...]”.” L'arte è buona a tutto solo se è irriverente, tormentata, piena di incubi. La delusione, la sensazione di collasso e il sordido sono gli aspetti dominanti”.

Contestualizzando quanto appena riportato posso affermare che questo è anche una raccolta dinamica, divertente e piena di colore, condita da situazioni che rasentano l’assurdo e da conversazioni in stato di grazia.

14/07/2023

In viaggio con Charley, di John Steinbeck

Viaggio con Charley: uno dei libri "minori" di Steinbeck, illustrato in modo straordinariamente vivido e colmo di affetto da Andrea Brattelli che già aveva parlato di La valle dell'Eden. «Vagabondo ero, vagabondo resto. Metto giù questa roba non per istruire gli altri, ma per informare me stesso.»

Nell'autunno del 1960 un John Steinbeck malaticcio e senza un soldo in tasca si mise in testa che la causa delle sue sventure risiedesse nel fatto di aver perso completamente i contatti con la vera essenza dell’America, con la sua ruralità, la sua storia.

Radunati quindi i beni essenziali, preso in braccio il suo amato barboncino francese, si mise alla guida del suo camioncino da tre quarti di tonnellata e si allontanò dalla sua casa di Sag Harbor a New York, con l’intento di avventurarsi in un viaggio che lo avrebbe riconnesso con il suo amato paese. Non vedeva l’ora di incontrare gente nuova.

Il resoconto di questa avventura fu pubblicato nel 1962 con il seguente titolo: Travels With Charley: In Search of America. Nonostante sia stato sempre ben recensito come libro, a differenza delle altre produzioni dello scrittore premio Nobel in cui mi sono imbattuto posso affermare che i dialoghi risultino un po’ legnosi e si arrivi a capire il nocciolo dei discorsi non attraverso una sintassi asciutta bensì grazie alla qualità scenica che Steinbeck con la sua scrittura riesce a dipingere.

Percorrere un paese grande come gli Stati Uniti può essere inteso come un’avventura piena di sfide. Significa confrontarsi con se stessi e le proprie capacità perché ci si muove rapidamente tra contesti diversi e si perde il senso di identità personale che andrebbe poi comunque condivisa con le persone che si incontrano per rendercele amiche, anche soltanto per chiedere un'indicazione su dove mangiare o su quale strada scegliere affinché non ci si perda, ad esempio, in una foresta intricata del Maine.

Il cuore durante un viaggio così lungo è come un pendolo che si muove a ritmo del motore e dei sobbalzi che ha il mezzo che si sta guidando; si è frastornati mentre si cerca di rimanere concentrati alla guida nelle lunghe notti insonni drogate dal caffè e, se non si viene a patti con il proprio ego e non ci si ferma a riposare oppure ad ascoltare i consigli di chi è del posto quando chiediamo informazioni, un vecchio pino lungo un viale alberato potrebbe essere la nostra ultima meta.

Lo scrittore questo lo sapeva benissimo e infatti, al di là di ciò che scrive in quest’opera, ovvero sulle sue abilità di avventuriero e di meccanico in caso di guasti, sulle sue capacità oratorie shakespeariane nel raccontare storie di cronaca politica agli abitanti dei luoghi che visitava, come rivelò il figlio egli si fermava spesso a riposare in alberghi anche molto costosi (mettendo così definitivamente a repentaglio le sue finanze) e, quando c’era qualche problema meccanico al suo pick-up modificato, tirava fuori dal cilindro imprecazioni e non soluzioni, fino a quando un’anima pia non giungeva in suo soccorso. Il “Moving Country” avvia anche un processo di acclimatazione ovvero un tentativo di capire cosa significa essere un outsider capace in un posto nuovo, mentre si guadano anche le acque torbide della vita quotidiana in un paese sconosciuto. Non sorprende che questo possa essere un processo lungo. Non è un'impresa da poco costruire una casa dalle sue fondamenta mentre si è alle prese con un senso di non completa appartenenza, così come non è facile scrivere un romanzo su un qualcosa che non si è mai fatto in realtà.

In questo suo diario Steinbeck cattura una dinamica che è arrivata ormai a caratterizzare completamente le relazioni moderne con i nostri paesi. Anche se la capacità di viaggiare e sperimentare è cresciuta, è aumentata anche la tendenza a far derivare la nostra comprensione di una nazione nella sua interezza da ciò che impariamo dai media. Piuttosto che tentare di familiarizzare con le voci autentiche al centro di tali fatti sorprendenti, tuttavia, la tendenza è quella di dare la colpa a quei referenti a cui ci rivolgiamo seriamente per una valutazione di dinamiche così complesse che richiedono volumi di analisi di veri esperti. In questo senso, Travels with Charley in Search of America ha la stessa rilevanza oggi come nel 1960. Letto alla luce delle tendenze contemporanee, è un richiamo ad accedere a qualcosa di credibile – anche se scomodo – nell’anima di un luogo.

Questo non vuol dire che l'accesso all'autenticità debba venire con l'accordo o l'acquiescenza. Semmai, il narratore chiarisce che la vera comprensione del luogo e delle persone è fondamentale per raggiungere la comprensione della propria posizione. Le parti del libro in cui Steinbeck affronta il razzismo che prospera pubblicamente in risposta al movimento per i diritti civili sono tra le più potenti dell'intero libro di memorie. Fin dall'inizio, l'autore chiarisce che acquisire una comprensione di un'opinione politica più ampia è uno dei suoi obiettivi primari. Quando egli, per esempio, si reca a New Orleans alla ricerca di un incontro genuino e avulso da preconcetti con le famigerate "Cheerleader", che si oppongono alla desegregazione, nota che gli scismi sono veramente smascherati. Queste "Cheerleader" – donne altrimenti poco appariscenti che urlano insulti razzisti ai bambini neri che tentano di entrare nella scuola, così come l'unico uomo bianco che continua ad accompagnare suo figlio attraverso i cancelli della stessa – sono la più preoccupante delle molte violenze che Steinbeck incontra durante il suo viaggio.

Un tocco di leggerezza in questo scritto è dato proprio dalla presenza del cagnolino Charley, testimone anche lui della svolta della popolazione verso il consumismo e l'inquinamento che sfregia una terra di così incomparabile bellezza. Affermato questo, posso confermare che questo libro non è affatto triste. Il viaggio che intraprende Steinbeck gli offre l'opportunità di incontrare stati che non ha mai avuto l'opportunità di visitare. Le sue luminose descrizioni delle sequoie e la sua inaspettata storia d'amore con il Montana sono caratterizzate dalla prosa che continua a rendere l’autore americano una delle nostre voci letterarie più profonde. Charley – la vera star del libro – è anche così pieno di carattere da fornire un costante luogo di tregua sia per Steinbeck che per i suoi lettori mentre viaggiano insieme nelle zone più inquietanti dell'America del 1960.

Questo scrigno di memorie è un evidente amalgama di incontri e situazioni con cui il poeta si era trovato a far fronte. Laddove il memoir si curva nella finzione si ha comunque la certezza che questo lavoro rappresenti uno dei resoconti più vibranti e onesti della vita nelle frange povere dell'America. Si sostiene la tesi che ognuno di noi dovrebbe rifamiliarizzare con le voci del nostro paese – per quanto al vetriolo e problematiche possano essere – se vogliamo essere meglio informati sulla natura della lotta in cui siamo impegnati.

07/07/2023

Il collezionista di conchiglie, di Anthony Doerr

Per il caldo mese di luglio, Andrea Brattelli ci propone Il collezionista di conchiglie (The Shell Collector, 2002), esordio letterario di Anthony Doerr che con la raccolta vince il Rome Prize dell'Accademia americana a Roma. Lo scrittore statunitense, con il romanzo Tutta la luce che non vediamo, in seguito vincerà il Pulitzer per la narrativa: solo allora uscirà l'edizione italiana del suo esordio.


Il collezionista di conchiglie è una raccolta di otto racconti del premio Pulitzer Anthony Doerr. Ogni storia rappresenta una pietra preziosa che, come nella cristalloterapia (per chi ci crede), nutre il nostro corpo e spirito, ma dobbiamo essere noi lettori ad abbandonarci a questo flusso di energia che questi scritti ci trasmettono. I temi trattati sono tra i più disparati, così come sono diverse le trame, le ambientazioni e la loro lunghezza. Ci immergeremo in vicende di amore, separazione e cambiamento di prospettive di vita.

Il filo comune che lega queste narrazioni sembra essere la ciclicità della natura degli esseri viventi che vivono e muoiono ma saranno sempre fonte di vita e speranza per qualcun altro. Non sussiste una visione ingenua e troppo ottimistica dell’autore in tal senso: egli infatti scrive in maniera fluida ed organica proprio per affermare il suddetto discorso basato sul concetto di “Panta Rei” seguendo una logica inoppugnabile.

Il primo racconto è quello che mi ha affascinato di più e dà il titolo alla raccolta. Mi sono lasciato trascinare nella lettura perché sono sempre stato un assiduo cacciatore di conchiglie, pietre, rocce e reperti archeologici vari e trascorro il mio tempo libero anche visitando musei a tema. Lo scrittore però mi ha fatto capire cosa accadrebbe se la prospettiva venisse ribaltata e diventassimo quindi noi l’oggetto da osservare. L’insegnamento tramite il quale impariamo a cambiare i punti di vista è perpetuo per tutta l’opera e veniamo accompagnati nell’apprendere questa tecnica senza uno sterile indottrinamento, ma quasi per gioco, perché è importante capirla bene dato che è uno dei metodi fondamentali per comprendere la realtà moderna illuminata dalla luce crepuscolare del passato.

Conosceremo quindi un cieco che tramite delle lumache velenose riesce, dosandone la tossicità, a curare delle malattie. Ciò non si tradurrà però in una cosa positiva per la gente del posto, anzi, si innescheranno una serie di sfortunati eventi. Tramite la descrizione della geometria di esoscheletri dei crostacei, della sintesi chimica del calcio, delle lumache da zanne che assomigliano a piccole baionette traslucide e la storia evolutiva di spirali che costituiscono i gusci, Doerr, da bravo divulgatore scientifico, arriverà a scavare nel pieno dell’animo umano regalandoci uno dei ritratti migliori di un protagonista di storie che la letteratura abbia mai avuto.

In queste vicende la donna è sempre idealizzata ma assume connotati che, comunque, non la rendono troppo diversa da quelle che vivono nella realtà; loro sono il motore che spingono gli uomini a cambiare per amore e compiere lunghi viaggi, come nelle fiabe. Il cattivo delle favole non è mai un essere in carne ed ossa ma il fato che, se assecondiamo, potremmo scoprire piacevolmente che il più delle volte ci è amico. Infatti è la nostra avidità in realtà che ci è nemica, che ci vuole a tutti costi far creare un ponte tra il mondo naturale e quello civilizzato bruciando le tappe e quindi non riusciremo mai a creare un connubio tra gli aspetti positivi di entrambi i luoghi e ne usciremo distrutti. Gli americani protagonisti di queste narrazioni sono accecati dalla ricchezza che induce ad una comodità eccessiva e cercano disperatamente una scorciatoia per il Nirvana.

Il vero talento del nostro scrittore premio Pulitzer si esprime però in “The Caretaker”. Alla luce dei naufragi di disperati presso le nostre coste di cui sentiamo solo parlare ogni giorno, questa è la storia più scioccante e che ci dovrebbe far riflettere se sapremo interpretare il suo messaggio educativo in tutta la sua potenza.

Joseph, coinvolto nelle violenze della guerra civile liberiana del 1994, perde la madre e fugge in America, sbarcando sulla costa dell’Oregon. Ha perso tutto, ha dovuto uccidere un uomo per non essere ammazzato a sua volta, è perseguitato dagli incubi. Rifiutato dalla società vivrà come un eremita nei boschi nei quali coltiverà, in tutti i sensi, una passione che sarà di aiuto ad una ragazza appartenente ad una famiglia abbiente che però non ha abbastanza soldi per comprare la cosa più preziosa del mondo, ovvero l’empatia e il coraggio di guardarsi dentro per scoprire quali sono le sue/nostre peculiarità che ci rendono speciali per qualcun altro che ne ha bisogno in un determinato momento e che, nel frattempo, si arrangia come può centellinando le sue piccole vittorie quotidiane.