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14/07/2023

In viaggio con Charley, di John Steinbeck

Viaggio con Charley: uno dei libri "minori" di Steinbeck, illustrato in modo straordinariamente vivido e colmo di affetto da Andrea Brattelli che già aveva parlato di La valle dell'Eden. «Vagabondo ero, vagabondo resto. Metto giù questa roba non per istruire gli altri, ma per informare me stesso.»

Nell'autunno del 1960 un John Steinbeck malaticcio e senza un soldo in tasca si mise in testa che la causa delle sue sventure risiedesse nel fatto di aver perso completamente i contatti con la vera essenza dell’America, con la sua ruralità, la sua storia.

Radunati quindi i beni essenziali, preso in braccio il suo amato barboncino francese, si mise alla guida del suo camioncino da tre quarti di tonnellata e si allontanò dalla sua casa di Sag Harbor a New York, con l’intento di avventurarsi in un viaggio che lo avrebbe riconnesso con il suo amato paese. Non vedeva l’ora di incontrare gente nuova.

Il resoconto di questa avventura fu pubblicato nel 1962 con il seguente titolo: Travels With Charley: In Search of America. Nonostante sia stato sempre ben recensito come libro, a differenza delle altre produzioni dello scrittore premio Nobel in cui mi sono imbattuto posso affermare che i dialoghi risultino un po’ legnosi e si arrivi a capire il nocciolo dei discorsi non attraverso una sintassi asciutta bensì grazie alla qualità scenica che Steinbeck con la sua scrittura riesce a dipingere.

Percorrere un paese grande come gli Stati Uniti può essere inteso come un’avventura piena di sfide. Significa confrontarsi con se stessi e le proprie capacità perché ci si muove rapidamente tra contesti diversi e si perde il senso di identità personale che andrebbe poi comunque condivisa con le persone che si incontrano per rendercele amiche, anche soltanto per chiedere un'indicazione su dove mangiare o su quale strada scegliere affinché non ci si perda, ad esempio, in una foresta intricata del Maine.

Il cuore durante un viaggio così lungo è come un pendolo che si muove a ritmo del motore e dei sobbalzi che ha il mezzo che si sta guidando; si è frastornati mentre si cerca di rimanere concentrati alla guida nelle lunghe notti insonni drogate dal caffè e, se non si viene a patti con il proprio ego e non ci si ferma a riposare oppure ad ascoltare i consigli di chi è del posto quando chiediamo informazioni, un vecchio pino lungo un viale alberato potrebbe essere la nostra ultima meta.

Lo scrittore questo lo sapeva benissimo e infatti, al di là di ciò che scrive in quest’opera, ovvero sulle sue abilità di avventuriero e di meccanico in caso di guasti, sulle sue capacità oratorie shakespeariane nel raccontare storie di cronaca politica agli abitanti dei luoghi che visitava, come rivelò il figlio egli si fermava spesso a riposare in alberghi anche molto costosi (mettendo così definitivamente a repentaglio le sue finanze) e, quando c’era qualche problema meccanico al suo pick-up modificato, tirava fuori dal cilindro imprecazioni e non soluzioni, fino a quando un’anima pia non giungeva in suo soccorso. Il “Moving Country” avvia anche un processo di acclimatazione ovvero un tentativo di capire cosa significa essere un outsider capace in un posto nuovo, mentre si guadano anche le acque torbide della vita quotidiana in un paese sconosciuto. Non sorprende che questo possa essere un processo lungo. Non è un'impresa da poco costruire una casa dalle sue fondamenta mentre si è alle prese con un senso di non completa appartenenza, così come non è facile scrivere un romanzo su un qualcosa che non si è mai fatto in realtà.

In questo suo diario Steinbeck cattura una dinamica che è arrivata ormai a caratterizzare completamente le relazioni moderne con i nostri paesi. Anche se la capacità di viaggiare e sperimentare è cresciuta, è aumentata anche la tendenza a far derivare la nostra comprensione di una nazione nella sua interezza da ciò che impariamo dai media. Piuttosto che tentare di familiarizzare con le voci autentiche al centro di tali fatti sorprendenti, tuttavia, la tendenza è quella di dare la colpa a quei referenti a cui ci rivolgiamo seriamente per una valutazione di dinamiche così complesse che richiedono volumi di analisi di veri esperti. In questo senso, Travels with Charley in Search of America ha la stessa rilevanza oggi come nel 1960. Letto alla luce delle tendenze contemporanee, è un richiamo ad accedere a qualcosa di credibile – anche se scomodo – nell’anima di un luogo.

Questo non vuol dire che l'accesso all'autenticità debba venire con l'accordo o l'acquiescenza. Semmai, il narratore chiarisce che la vera comprensione del luogo e delle persone è fondamentale per raggiungere la comprensione della propria posizione. Le parti del libro in cui Steinbeck affronta il razzismo che prospera pubblicamente in risposta al movimento per i diritti civili sono tra le più potenti dell'intero libro di memorie. Fin dall'inizio, l'autore chiarisce che acquisire una comprensione di un'opinione politica più ampia è uno dei suoi obiettivi primari. Quando egli, per esempio, si reca a New Orleans alla ricerca di un incontro genuino e avulso da preconcetti con le famigerate "Cheerleader", che si oppongono alla desegregazione, nota che gli scismi sono veramente smascherati. Queste "Cheerleader" – donne altrimenti poco appariscenti che urlano insulti razzisti ai bambini neri che tentano di entrare nella scuola, così come l'unico uomo bianco che continua ad accompagnare suo figlio attraverso i cancelli della stessa – sono la più preoccupante delle molte violenze che Steinbeck incontra durante il suo viaggio.

Un tocco di leggerezza in questo scritto è dato proprio dalla presenza del cagnolino Charley, testimone anche lui della svolta della popolazione verso il consumismo e l'inquinamento che sfregia una terra di così incomparabile bellezza. Affermato questo, posso confermare che questo libro non è affatto triste. Il viaggio che intraprende Steinbeck gli offre l'opportunità di incontrare stati che non ha mai avuto l'opportunità di visitare. Le sue luminose descrizioni delle sequoie e la sua inaspettata storia d'amore con il Montana sono caratterizzate dalla prosa che continua a rendere l’autore americano una delle nostre voci letterarie più profonde. Charley – la vera star del libro – è anche così pieno di carattere da fornire un costante luogo di tregua sia per Steinbeck che per i suoi lettori mentre viaggiano insieme nelle zone più inquietanti dell'America del 1960.

Questo scrigno di memorie è un evidente amalgama di incontri e situazioni con cui il poeta si era trovato a far fronte. Laddove il memoir si curva nella finzione si ha comunque la certezza che questo lavoro rappresenti uno dei resoconti più vibranti e onesti della vita nelle frange povere dell'America. Si sostiene la tesi che ognuno di noi dovrebbe rifamiliarizzare con le voci del nostro paese – per quanto al vetriolo e problematiche possano essere – se vogliamo essere meglio informati sulla natura della lotta in cui siamo impegnati.

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