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17/11/2023

La vita agra, di Luciano Bianciardi

Andrea Brattelli si dedica a uno dei principali testi della letteratura italiana del Dopoguerra: La vita agra di Luciano Bianciardi. Tra elementi autobiografici, fiction e indagini sociologiche, il libro esplora l'alienazione in una Milano anni '60 in piena metamorfosi. Oltre al successo di pubblico, questa narrazione acuta e ironica di Bianciardi ha suscitato ampio dibattito critico e la sua impareggiabile analisi sociale continua a renderlo un'opera esemplare della cultura italiana. Per un sintetico approfondimento su Bianciardi, libro e film segnalo la scheda del Locarno Film Festival.

La vita agra è un corto “meta-romanzo”* (scriverò poi il perché delle virgolette) considerato tra i libri più importanti della letteratura italiana contemporanea. Ebbe un notevole successo popolare nonostante i primi due capitoli (la prima cinquantina di pagine per intenderci) non siano molto comprensibili: non si capisce dove l’autore, come si suol affermare, voglia andare a parare. 

Vi sono riportate molte parole le cui radici affondano nel gergo regionale, nella lingua dialettale, inglesismi il cui vero significato non può essere contemplato neppure nei migliori dizionari italiani; tuttavia nell’insieme esprimono una certa dialettica o, come riporterebbe Luciano Bianciardi: "sono discorsi che si avvalgono artificiosamente della possibilità nullificante di una opposizione divenuta fine a sé stessa (eristica), degenerando quindi in vuota logomachia".

Anche nomi di scrittori e artisti famosi più che riportati vengono lasciati cadere dalla penna del narratore un po’ a caso: Verga, Mahler, Visconti, Renoir, Mann ecc.

Mi permetto di suggerire a questo punto, a chiunque abbia voglia di intraprendere la lettura di quest’opera, se non è già passato a fare altro invece di leggere questa “meta-recensione”, di scorrere i primi capitoli e di ricominciare per due-tre volte per poter apprezzare questo scritto e non rimetterlo a tacere in libreria.

Il fatto è che definire questo lavoro un “romanzo” è un po’ una forzatura*. In realtà è l'illustrazione di uno spaccato della società, una raccolta di aneddoti guidati da un flusso di coscienza. 

Queste peregrinazioni mentali sembrano frutto di anni di studi moderni di psicologia, economia e sociologia, come se un Premio Nobel scrivesse un trattato sulla tassonomia degli individui nei contesti urbani, con tanto di calcolo delle variazioni che transitano attraverso il prisma delle esperienze personali. Infatti il libro è autobiografico, redatto in prima persona, in cui il narratore racconta la sua storia, quella di un giovane toscano che si trasferisce a Milano come molti suoi coetanei in cerca di fortuna.

In realtà il nostro Luciano il suo posto di rilievo nella società lo aveva già trovato, dato che fu chiamato a lavorare per l’Einaudi. Il motivo vero per cui era fuggito al Nord era per scappare dai fantasmi che lo inseguivano da quando era diventato un reduce della Seconda Guerra Mondiale e dopo aver assistito alla morte di 43 minatori a causa dello scoppio di un pozzo presso la cava di Ribolla. 

Questo orrore aprì nuove ferite in un animo già segnato dal contemplare le miserie di queste famiglie e la povertà in cui versavano e che lui sempre denunciò con sensibilità, la stessa che gli permise di osservare da vari e diversi punti di vista il cambiamento repentino post bellico così veloce, troppo veloce, costretto quindi a succhiare tutto l’ossigeno agli abitanti di un paese.

Nella grande città non si trovò bene. Scherniva i comportamenti della media e alta borghesia e dei colletti bianchi ma non con scritti satirici, bensì con malizia e cattiveria e ciò non gli permise mai di trovare una sua vera dimensione lavorativa ma, anzi, le ansie e le frustrazioni lo condannarono ad una vita grama e da alcolista che lo portarono precocemente alla morte, purtroppo.

Gli aneddoti scherzosi che trovano spazio in questa intera opera senza capo né coda e la alleggeriscono mano a mano fanno sorridere, ci stupiscono, ci fanno riflettere sulle nostre idiosincrasie di persone più fortunate di altre e ridacchiare per non lasciare spazio all’autocommiserazione, ma nascondono anche l’animo turbato di questo grande autore. 

Lui usa le battute e gli scherzi come protezione, come mani che si protendono naturalmente in avanti quando si cade per non ferirsi il volto: chissà le volte che invece si è ferito il viso quando cadeva ubriaco in preda all’alcol per cercare di vincere una guerra con sé stesso causata da un “io” che di cose brutte ne aveva viste troppe per una vita sola.

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