In Svezia, il 28 aprile 1986, un chimico responsabile della misurazione dei livelli di radiazione si accorse di un presunto malfunzionamento al sistema di allarme contaminazione della centrale nucleare in cui lavorava: questi continuava a suonare incessantemente. Il tecnico quindi andò ad esaminare la scarpa di un collega che risultò radioattiva a causa di elementi normalmente non rilevati nell'impianto. Gli svedesi sospettarono immediatamente un incidente sovietico. Ci vollero molti giorni prima che qualcuno venisse a scoprire che qualcosa di molto brutto era accaduto a 1.500 km di distanza, a Chernobyl, Ucraina.
In qualità di autore, Serhii è un brillante interprete non solo degli eventi stessi, ma anche del loro significato storico nel lungo periodo essendo vittima egli stesso, a distanza di anni, di danni alla tiroide provocati dall’incidente. Vi sono dei paragrafi appositi in cui si spiega cosa sono il röntgen, il midollo osseo e i raggi gamma ed è quindi molto probabile che egli, in questo caso, abbia riportato ciò che ha imparato durante le visite mediche dai dottori che monitorano il suo stato di salute: lo scrittore taglia, con una prosa incisiva, la carne malata dal suo corpo, si denuda della sua pelle per sbatterci sulle pagine di questo scritto, come su di un tavolo da cucina professionale in acciaio austenitico*, tutte le sue fragilità e i ricordi tristi dei suoi amici morti di leucemia.
A Pryp"jat si seminarono i chicchi della disillusione dell’atomica sovietica da cui fiorì anche il movimento indipendentista ucraino. Gorbaciov da questo disastro ne uscì malconcio e dalle pagine di questo racconto di cronaca si evince come egli fosse totalmente impreparato ai cambiamenti... Preferì quindi continuare sulla stessa china invece di cercare di scardinare un sistema rigido e corrotto promuovendo la formazione di una nuova classe dirigente competente in vari settori dell’economia energetica.
Scriverò invece del coraggio dei vigili del fuoco e delle forze dell’ordine che cercarono di combattere l’incendio che si abbatté sulla città creando un olocausto nucleare, dello strazio dei profughi che andarono a vivere in luoghi vicino presso appartamenti incastonati in casermoni di cemento armato approntati alla meno peggio dal governo e arredati con mobili il cui legno di pino che è tuttora contaminato da isotopi radioattivi. La popolazione, composta da 50.000 persone, fu comunque costretta, nel Maggio dello stesso anno, a partecipare a manifestazioni popolari in piazza, nonostante le radiazioni. Quando sì capì che il terreno lì intorno sarebbe rimasto contaminato per i successivi 20.000 anni non solo le strade e le piazze ma tutta quella zona di Kiev diventò una località fantasma.
Serhii Plokhy ha la capacità, sia entrando nelle spiegazioni tecniche, sia nel guidarci nei meandri del pensiero politico corrotto di allora, di rendere semplici le cose difficili ma, come tutti coloro che scrivono sul tema nucleare, non consulta un ingegnere esperto del campo. Insinua nel lettore paure legate alla proliferazione nucleare in paesi in cui è instaurato un regime dittatoriale e paventa il pericolo di infiltrazioni di stampo mafioso nello stoccaggio e gestione dei rifiuti e scorie nucleari: fandonie raccontate anche da molti politici italiani. In realtà proprio dopo incidenti come quello di Chernobyl è stata istituita una organizzazione che controlla l’intera filiera nucleare nel mondo e questi pericoli non possono più esistere.