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11/04/2023

L'Esorcista di William Peter Blatty

Per riprendersi dalle scorpacciate pasquali, non c'è niente di meglio di un buon libro horror che con la Chiesa ha molto a che fare: L'Esorcista di William Peter Blatty. Ospito oggi la recensione di Riccardo Colella, pubblicata originalmente sul suo blog Stazione Cinema. La trovate qui, se avete voglia di dare un'occhiata.


“Karras smise di leggere. Scosse la testa. Qui non c’era di mezzo nessuna manifestazione di fenomeni paranormali: era soltanto la prova delle illimitate capacità della mente umana.“

L’horror più terrificante di sempre. Quante volte ci siamo imbattuti in questa affermazione, al momento di analizzare L’esorcista? E forse, a pensarci bene, non siamo poi così lontani dalla realtà. Se infatti siamo qui a parlare di un film che, a cinquant’anni suonati dalla sua uscita e dopo aver terrorizzato intere generazioni di spettatori, continua a fare il suo lavoro più che degnamente, è logico pensare che, a conti fatti, quel film possa davvero essere così spaventoso come dicono. Proviamo a spulciare i vari siti tematici, Wikipedia, le riviste di critica o i semplici blog di settore (proprio come questo). Una delle prime informazioni che ci salterà all’occhio, parlando del film diretto nel 1973 da Willliam Friedkin, sarà sempre quel “…tratto dal romanzo di William Peter Blatty”. E allora, mi sono detto, perché non leggerlo questo “romanzo di William Peter Blatty”? Se è vero, infatti, che il film lo abbiamo visto tutti (più o meno), quanti sono quelli che il libro di Blatty l’hanno letto per davvero?

È bene chiarire subito una cosa: per quanto mi riguarda, non sono mai stato uno di quegli integralisti che “il libro è sempre meglio del film”. Nella storia della letteratura cinematografica, non si contano i casi in cui la qualità del film ha superato quella del romanzo. Nella fattispecie, mi sento di affermare, senza alcun dubbio, che un film come Lo squalo sia ben superiore all’opera di Peter Benchley. E badate bene che parliamo di un testo di alto livello. Analogamente, lo stesso Casino Royale di Ian Fleming credo si possa collocare al di sotto della trasposizione diretta da Martin Campbell nel 2006 e che inaugurava il ciclo jamesbondiano di Daniel Craig.

Nel caso specifico, misurarsi con quello che (come detto in apertura di recensione) è a tutti gli effetti considerato il caposaldo del cinema horror, non è una passeggiata. Nonostante sia uscito prima il libro (come accade quasi sempre) rispetto al film, William Peter Blatty ce la mette davvero tutta, non sfigurando e, in alcuni casi, arrivando ad eguagliare l’opera cinematografica che tutti conosciamo. Il romanzo scorre piuttosto facilmente e senza grossi intoppi, non perdendo mai di incisività, salvo in alcuni frangenti forse troppo descrittivi (specialmente nella parte iniziale) che possono portare ad un calo dell’attenzione. Tuttavia, lo scorrere delle pagine ci guida verso un’escalation del pathos, esattamente come avviene nel film. Lo stile dell’autore è fluido e non particolarmente complesso e il pregio del libro, come è naturale che sia, è quello di approfondire alcuni aspetti che nella pellicola vengono tralasciati o affrontati solo marginalmente.

A partire dall’ispettore Kinderman, le cui indagini e intuizioni descritte nel libro, hanno finalmente un senso e una logica ben strutturata, passando per la figura di Chris MacNeil, col forte legame che lega lei e Regan, la bambina protagonista del romanzo, fino al maggiordomo Karl con sua moglie Willi e le loro vicende familiari, caratteristica totalmente assente nel film, i personaggi trovano tutti una profonda caratterizzazione che assicura profondità e respiro alla storia. Carismatica e ben approfondita la figura del gesuita Damien Karras, autentico fulcro del romanzo, con le sue debolezze e i suoi rimorsi a far da corollario ad una fede che vacilla in più di un’occasione. Interessantissime anche le disquisizioni mediche che accompagnano il lettore per tutto il libro, non cedendo mai alla semplicità di riconoscere totalmente e in maniera arrendevole, una possessione che pure sembrerebbe inequivocabile.

Di contro, almeno per quello che è la mia opinione, ho trovato piuttosto scarna la figura di padre Merrin, sul grande schermo interpretato dall’immenso Max Von Sydow, che avrebbe meritato una ben più approfondita caratterizzazione. È vero che il romanzo, così come il film, si apre concentrandosi sulla sequenza archeologica in Iraq, ma un passaggio più approfondito sull’attività di esorcista del buon Merrin sarebbe stata più che gradita. A bilanciare questa mancanza, tuttavia, troviamo una fondamentale e approfondito confronto tra i due sacerdoti sulla fede e il senso di colpa. Proprio quest’ultimo aspetto, infatti, è una caratteristica che torna più e più volte nel libro. Quel senso di colpa che Karras nutre nei confronti della madre e che gli impedisce di trovare quella pace interiore che lo riappacificherebbe con Dio, quello che Chris prova nei confronti della figlia, per via di una carriera che la assorbe costantemente e del recente divorzio. O quello che la stessa Regan nutre nei confronti della madre, così affermano tutti i medici che visitano la bambina, proprio per quest’ultima ragione.

La tensione c’è e la storia scorre accompagnata da un’atmosfera che si avvicina moltissimo a quella del romanzo. I dialoghi sono costruiti con credibilità, così come le disquisizioni mediche che appaiono solide e ben argomentate. Da non sottovalutare tutta la sottotrama collegata al folklore e che si ricollega agli episodi blasfemi che si verificano nei paraggi di casa MacNeil. Parliamo di un’opera non scontata, certamente all’avanguardia per l’epoca e fonte di ispirazione per innumerevoli altri prodotti che sarebbero arrivati in seguito. Un romanzo che alcuni potrebbero definire un po’ “impolverato” ma che sicuramente nella classifica dei migliori libri horror, non fatica a posizionarsi ancora piuttosto in alto, se non addirittura sul podio. Sempre lì, pronto a terrorizzare tutti noi.

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