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La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

28/07/2023

L’isola di Arturo, di Elsa Morante

Andrea Brattelli dedica un'approfondita analisi a un grande romanzo di formazione del 1957 ambientato nella Procida degli anni '30: L'isola di Arturo di Elsa Morante, che vinse il Premio Strega, fu tradotto in decine di lingue e che ancora oggi ci racconta tanto sui sentimenti e sulle delusioni. Qui un approfondimento di Raiplay sull'autrice.

"Almeno dalle altre femmine, uno può salvarsi, può scoraggiare il loro amore; ma dalla madre, chi ti salva?"

L’isola di Procida, luogo nel quale sono ambientate le vicende narrate in questo romanzo, è nella provincia di Napoli, città famosa anche per il suo vulcano, il Vesuvio, che domina sul Golfo. I temi trattati nel libro, ovvero incesto, misoginia, narcisismo, omosessualità scivolano tra le pagine come la lava che viene giù dalle pendici del Monte Somma.

La prosa della Morante, operistica, barocca, è la caldera dove dobbiamo attingere per capire la visione del mondo degli italiani negli anni appena precedenti alla Seconda Guerra Mondiale, realtà che percepiamo attraverso gli occhi di un ragazzo appena maggiorenne e semi orfano. La scrittrice ci regala un'epopea moderna con i dialoghi e le descrizioni che scaturiscono da personaggi dal "ghigno sprezzante", "risate di derisione", che assumono atteggiamenti di disgusto, selvaggi, dai modi di fare aggressivi e insolenti.

Lei stessa condusse una vita stridente rispetto a quella delle donne della sua età, del suo ceto sociale vissute negli stessi anni e conoscere alcuni fatti della sua biografia aiuta a contestualizzare alcune scelte cadenzate dagli stati d’animo che ripone nelle sue produzioni.

Morante e Moravia, suo marito, erano entrambi per metà ebrei; la coppia si diede alla fuga nel 1943 nascondendosi per quasi un anno in una piccola città, al riparo, in una capanna diroccata.

Tornati a Roma dopo la guerra, divennero, agli occhi degli italiani, qualcosa di simile a Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Tra i loro amici c'erano lo scrittore Italo Calvino e i registi Pier Paolo Pasolini e Luchino Visconti.

Tornando alla nostra recensione, l'isola di Procida, in quest’opera, viene smitizzata; dimenticatevi i sublimi documentari di Alberto Angela in merito: un'enorme prigione incombe sull'isola, come se fosse Alcatraz. La casa di Arturo infatti è un palazzo fatiscente composto da venti stanze con ragnatele. Il ragazzo vaga lì intorno con il suo cane e si concede qualche piccola navigazione in mare con la sua barchetta.

Tramite le finestre spalancate le camere si affacciano su un altro tempo e luogo: sembra di essere nell’Ottocento invece che nell’Italia degli anni '50. Case di pietra, carrozze che scricchiolano mentre viaggiano a passo d’uomo, gente che alimenta il fuoco nel camino con mantici. Ciò separa troppo noi lettori, a volte, dal personaggio principale. Sembra a volte di leggere le Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo. La struttura di questa tipologia di romanzi prevede infatti che il protagonista si guardi indietro e ci narri la storia della sua gioventù.

Sua madre morì di parto. Suo padre, che egli idolatra, è per lo più un uomo freddo e distaccato, che trascorre gran parte del suo tempo lontano dalla provincia per motivi non ben chiari, dei quali cui si rifiuta di parlare.

Il giovane cresce disprezzando le donne. Il precedente proprietario della casa, un uomo ricco e apparentemente gay, organizzava feste di continuo e negava l'ingresso al sesso femminile. Suo padre, che ereditò il maniero, sposò anche la maggior parte delle sue opinioni.

Il mondo del protagonista non sarà più lo stesso quando il padre porterà a casa la nuova sposa, la giovanissima Nunziata. Il cambiamento nelle dinamiche famigliari porterà il fanciullo a dover affrontare necessariamente i suoi traumi subconsci più profondi con la possibilità di sperimentare sia le gioie che i dolori dell'amore. La storia proposta dalla narratrice è ingannevolmente semplice ma, in realtà, è molto più complessa psicologicamente rispetto a quanto inizialmente avremmo potuto ipotizzare. Evoca tutte le delizie della meraviglia infantile e i desideri dell'adolescenza, le sensazioni di estati infinite e l'atmosfera di terre misteriose e isolate circondate da mari color acquamarina.

La crescita di Arturo gioca contro la consapevolezza del lettore della guerra in arrivo. C'è la tragica sensazione che i sogni eroici della sua giovinezza stiano per essere messi alla prova in modi che non aveva previsto. Gli uomini in questo romanzo sono come coltelli e la carne è rappresentata dalla figura femminile. Ci sono poche donne felici o soddisfatte nell'opera di Morante. Nunziata prepara pasta fresca ogni giorno; si prende cura di suo figlio. È avvolta da una specie di luce che le conferisce una sorta di protezione dalle brutture della vita e la fa sembrare una santa. L’enorme villa però sembra posseduta da un entità sinistra: il suo ingresso nella casa delle libertà fanciullesche, dove ogni manifestazione di debolezza è disapprovata, è metafora dell’"interno" che invade l’animo di colei che era all’"esterno"; "lo spirituale" inizia a invadere "il terreno". È in questo conflitto interiore tra femminile e maschile che il ragazzo, che non ha mai ricevuto l'amore della madre (o i baci di nessuno) sperimenta l'insondabile.

La vera tragedia della narrazione sta nel fatto che ogni personaggio teme ed è riluttante a esprimere apertamente i propri veri sentimenti. Ciò che è veramente sentito non viene mai comunicato e il problema principale deriva da emozioni nascoste mai espresse, amore non mostrato apertamente e ferite sepolte talmente in profondità da non essere percepite neppure da chi le porta nel cuore.

Sapientemente realizzata, a volte scorrevole senza sforzo, la storia ci permette di andare alla deriva seguendo la scia di Arturo su e giù per le colline e via verso le spiagge che egli conosce così bene. Il racconto non manca di momenti di pathos, dato l'entusiasmo e la passione del ragazzo che traspare in molte pagine, specialmente nella prima metà del libro, ma poi ci si renderà conto che il tempo esigerà gradualmente il suo dovuto. Ci sono sottili indizi, che diventeranno poi segni più concreti, che il tempo del fanciullo sull'isola sta volgendo al termine, specialmente quando egli capirà che il suo grandioso padre ha i "piedi di argilla".

Con il passare dei mesi, Arturo dovrà cercare di dare un senso alle sue emozioni mentre oscillano tra una forma idealizzata di primo amore per Nunziata e una disillusione abietta – le sue dimostrazioni di affetto infatti vengono rapidamente respinte. Un po' invano, dovrà affrontare situazioni nuove e confuse in questa brusca esposizione alle complessità del mondo degli adulti.

Questo è un romanzo stratificato ed emotivamente ricco, lirico, intuitivo, dolorosamente percettivo, che probabilmente soddisferà gli amanti della narrativa interiore influenzata da un forte senso di appartenenza ai luoghi. Il ritmo è lento, riflette quello della vita sull'isola – sicuramente sarà un lento bruciare, ma che premierà la pazienza e l'investimento emotivo del lettore.

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