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08/10/2021

L'autobiografia di Mamma Jones

Andrea Brattelli ci parla non solo della figura di Mamma Jones (Mary Harris Jones, operaia e sindacalista statunitense di origine irlandese) ma, seguendo i contenuti del libro, illustra anche la condizione degli operai e in particolare dei minatori a cavallo tra il XIX e il XX secolo, e l'organizzazione dei primi sindacati.



Questa autobiografia, pubblicata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1925, è un documento eccezionale sulla lotta di classe negli USA nel periodo, cruciale per il movimento operaio, che va dalla guerra civile alla prima guerra mondiale.

Meravigliosa la figura della protagonista, per l’importanza del suo ruolo nella storia del sindacalismo americano e, in particolare, nella storia dell’organizzazione dei minatori.

Continui sono i rimandi, molto dettagliati nello scritto, alla lotta proletaria in quel periodo, alle condizioni di vita della classe operaia, alle contraddizioni interne al movimento sindacale per un periodo che va dall’inizio dell’attività dei Knights of Labor (1869-70), alla sollevazione di massa del 1877, allo sciopero per le otto ore del Primo Maggio 1886, fino a quello dell’acciaio del 1919 e oltre.

Sulla classe operaia la guerra civile aveva avuto effetti contraddittori. L’abolizione della schiavitù era stata certamente una vittoria per i lavoratori bianchi che ora non dovevano più contrastare la manodopera a costo zero e servile sottoponendosi a turni i lavoro massacranti, e avevano sconfitto letteralmente sul campo la dottrina sudista de “il capitale deve possedere il lavoro” promulgata da Rockefeller, i Morgan, i Gould, ecc.

Per quanto concerne il mercato del lavoro, con l’introduzione dell’Homestead Act nel 1862, che assegnava gratuitamente cinque acri di terra a chi si impegnasse a coltivarla, si diede automaticamente il via ad una massiccia emigrazione verso la frontiera ed una uscita dalla porta di servizio dal lavoro salariale.

Il ricambio continuo degli individui della classe operaia rendeva estremamente difficile, a causa della diversità di alfabetizzazione e cultura dei vari migranti, il mantenimento di condizioni stabili di lavoro e di organizzazione.

Nacque quindi la National Labor Union nel 1866, un insieme di movimenti agrari di tipo populista che risentirono però anch’essi di grandi depressioni che andavano a minare i livelli di qualità della vita e il salario.

Dalle ceneri di queste disfatte nacquero i Knights of Labor, sul finire degli anni 60, come società segreta che però, a differenza della massoneria che noi tutti conosciamo, ammettevano tra i membri anche le donne.

Si distinsero per la loro capacità di rivolgersi ed accogliere proletariato non qualificato (poi confluito nell’AFL – American Federation of Labor), sostituendosi così all’inadeguatezza degli organismi dirigenti messi su dalla politica.

Con questi sistemi anche gli scioperi vennero meno perché la suddetta associazione era propensa ad una linea di collaborazione e a stringere accordi piuttosto che agli scontri diretti.

Rimase nella storia però lo sciopero indetto dai Knights nel 1886 sull’orario lavorativo delle otto ore, ritenute eccessive. Vecchi movimenti operai, i cui capi erano prezzolati dai padroni, cercarono di sabotarlo, per un motivo molto semplice: la lotta sull’orario toccava il centro nevralgico del comando capitalistico della forza lavoro e se i movimenti operai avessero vinto a Chicago, regno dei capitalisti, le adesioni e le resistenze si sarebbero espanse a macchia d’olio, cancellando definitivamente le obsolete associazioni d’operai che non erano riuscite ad imporsi.

In questo contesto di sindacati legati all’industria perché miravano al riconoscimento dei diritti dell’operaio si affiancò l’Unione Minatori che annoverava tra i suoi sindacalisti proprio Mamma Jones.

I minatori del tempo erano pagati con soldi stampati direttamente dai proprietari della miniera e quindi potevano comprare cibo soltanto dagli spacci attorno alle cave di proprietà dei ricchi possidenti.

Venivano pagati in base alla quantità (peso) di carbone estratto sul quale però venivano truffati.

Mamma Jones riuscì a far includere i minatori tra le figure professionali degli operai di fabbrica perché il carbone serviva alle fabbriche per alimentare il fuoco degli altiforni e per mantenere in funzione i macchinari; in questo modo iniziarono a cambiare le cose. Nacque così la Western Federation of Miners che vinse molte battaglie sindacali.

A leggere questo libro l’idea che il lettore si fa di Mother Jones è quella di una curiosa via di mezzo tra una specie di missionaria laica e una vagabonda, perennemente in movimento per diffondere il verbo del sindacalismo da una parte all’altra degli USA.

In realtà questo era il compito che le era stato affidato: il ruolo non le permetteva di formare contratti, né condurre trattative. Costruiva prendendo materiale dalle macerie dei vecchi contratti collettivi, cavalcando il malessere degli operai causato da antiche battaglie sindacali perse, trasformando la loro rabbia e frustrazione in spinte di lotta che potrebbero essere riconosciute dal sindacato che ella rappresentava.

La ricchezza dell’autobiografia di Madre Jones sussiste nel resoconto di una lunga stagione di lotte del movimento operaio americano.

Nonostante l’autrice tenda a presentare sempre se stessa e il suo lavoro in primo piano, i protagonisti del libro rimangono sempre i minatori, che diedero in eredità al sindacalismo industriale valori di uguaglianza e fratellanza.

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