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28/06/2022

L' Antonia. Poesie, lettere e fotografie di Antonia Pozzi scelte e raccontate da Paolo Cognetti



A volte ritorn...o anch'io con una recensione. Il libro di cui parlo, L' Antonia. Poesie, lettere e fotografie di Antonia Pozzi scelte e raccontate da Paolo Cognetti è tanto breve - come la vita dell'Antonia - quanto ricco di sentimenti. 

Antonia Pozzi "era una ragazza milanese innamorata della montagna", racconta il curatore - e chi meglio di Paolo Cognetti, scrittore anch'egli milanese e "montanaro"? - di questo volumetto che raccoglie alcune fotografie e una selezione di poesie e di lettere della poetessa scoperta - ormai dopo la morte - da Eugenio Montale nel 1945, a tratteggiare una vita intensa, culminata con un gesto estremo.
 
Nata nel 1912 in un quartiere signorile "di quella borghesia colta che non esiste più", Antonia Pozzi non era particolarmente legata a Milano, della quale apprezzava tuttavia la vitalità culturale - studiò al Liceo Manzoni e all'università Statale, Lettere e Filosofia con indirizzo di Filologia moderna - e le grandi serate alla Scala. "L'Antonia" amava molto la campagna lombarda, dalla quale proveniva la famiglia materna che aveva ricchi possedimenti terrieri "ma anche una biblioteca di 80.000 opere"; l'amatissima nonna, la Nena, abitava a Bereguardo.

Antonia Pozzi ebbe una vita breve ma colma di viaggi in Italia e in Europa. Il padre Roberto, avvocato, non le fece mancare nulla; forse anche per via della sua provenienza non agiata - erano stati gli studi, la tenacia e la preparazione a dargli una buona posizione, rafforzata poi dalle nozze con la nobile contessa Carolina detta Lina, mamma di Antonia - o forse perché Antonia fu l'unica figlia, la mandò ovunque a viaggiare, studiare, arrampicare e fotografare: quale uomo più moderno si potrebbe immaginare?

Roberto crebbe Antonia in modo laico e acquistò una casa a Pasturo - in provincia di Lecco, punto di partenza per escursioni montane - che la figlia frequentò a lungo.

La prima lettera selezionata da Cognetti è indirizzata all'insegnante Antonio Maria Cervi. Era il 1929, Antonia aveva 17 anni e iniziava a scrivere. A leggere adesso certe frasi, il ribrezzo sorge spontaneo: "Ha ragione lei di dire che le donne non valgono niente." Di quell'insegnante, Antonia si innamorò e fu anche quel sentimento a portarla verso la scrittura. Canto della mia nudità è una delle sue composizioni più note, e già si trovano molte delle caratteristiche delle composizioni di Antonia Pozzi: la sensualità, la tragedia, il riferimento alla morte.

Guardami: sono nuda. Dall'inquieto
Languore della mia capigliatura
Alla tensione snella del mio piede,
io sono tutta una magrezza acerba
inguainata in un color avorio.
Guarda: pallida è la carne mia.
Si direbbe che il sangue non vi scorra.
Rosso non ne traspare. Solo un languido
Palpito azzurrino sfuma in mezzo al petto.
Vedi come incavato ho il ventre. Incerta
È la curva dei fianchi, ma i ginocchi
E le caviglie e tutte le giunture,
ho scarne e salde come un puro sangue.
Oggi, m'inarco nuda, nel nitore
Del bagno bianco e m'inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno
mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
stesa supina sotto troppa terra,
starò, quando la morte avrà chiamato.

Altrettanta sensualità si trova in una poesia appena successiva, Vertigine, sempre del 1929, nella quale Antonia racconta il battesimo dell'arrampicata grazie alle escursioni con il CAI, e che inizia così:

Afferrami alla vita,
uomo. La cengia è stretta.
E l'abisso è un risucchio spaventoso
che ci vuole assorbire. (...)

L'amore per Cervi durò quattro anni, ostacolato dal padre di lei che non vedeva di buon occhio quell'insegnante privo di ambizioni e molto più vecchio della figlia. Cervi la voleva convertire e Antonia voleva dargli un figlio; ma la lontananza - Antonia venne mandata a Londra a studiare - e l'insistenza cattolica di lui, ma soprattutto la consapevolezza di lei, misero in crisi il rapporto. Man mano che si avvicinava il giorno della maggiore età che le avrebbe permesso di sposare Cervi, Antonia scriveva poesie su bambini mai nati, su "bambini finti".

Chiusa la relazione con Cervi, Antonia Pozzi si dedicò alla poesia e alla montagna, che divennero strumento e luogo per avvicinarsi alla sua idea di Dio. Molte gite le faceva con l'amica - praticamente una sorella - Lucia detta Cia; altre compagne di viaggio furono Elvira e la zia Ida, sorella del padre.

Questa è la prova 
che voi mi benedite - 
montagne - 
se nell'ora del distacco 
la vostra chiesa m'accoglie (...)

Vette altissime si toccano anche nelle sue lettere. Come questa del gennaio 1934: "(...) Non ho più né pensieri né parole. Soltanto occhi per guardare e muscoli per camminare. (...) Tutte le cose morte si struggono nel gran sole. (...)"

Nel febbraio del 1934 compose Nevai, un'altra delle sue vette - in tutti i sensi:

Io fui nel giorno alto che vive
oltre gli abeti,
io camminai su campi e monti
di luce –
Traversai laghi morti - ed un segreto
canto mi sussurravano le onde
prigioniere -
passai su bianche rive, chiamando
a nome le genziane
sopite -
Io sognai nella neve di un'immensa
città di fiori
sepolta -
io fui sui monti
come un irto fiore -
e guardavo le rocce,
gli alti scogli
per i mari del vento -
e cantavo fra me di una remota
estate, che coi suoi amari
rododendri
m'avvampava nel sangue -

Anche la fotografia era fondamentale per Antonia, in quanto con l'obiettivo riusciva a cogliere i sentimenti nascosti della natura che la circondava.  Nel frattempo, il padre diventò podestà di Pasturo mentre lei continuava a frequentare le lezioni alla Statale; in quel periodo molti tra i suoi amici erano antifascisti, alcuni anche ebrei. Vittorio Sereni, Alberto Mondadori, Paolo e Piero Treves, Enzo Paci - tremendo affossatore delle sue capacità compositive, giudizio che su di lei peserà come un macigno - e Remo Cantoni del quale si innamorò, come emerge dalla poesia Bellezza, di un amore non corrisposto.

Nel 1935, Antonia si laureò con una tesi sulla formazione letteraria di Flaubert. Il relatore, Antonio Banfi, pur lodando la capacità critica di Antonia giudicò adolescenziali le sue poesie: altro giudizio che su di lei avrà un peso enorme. 

Fra il 1935 e il 1937 Antonia scrisse poche poesie e viaggiò molto in Austria e in Germania, per approfondire la conoscenza della lingua e della letteratura tedesca, che aveva imparato ad amare all’università, tanto da tradurre anche alcuni testi, forse nell'ottica di intraprendere la carriera di traduttrice. Poi, al rientro in Italia nella primavera del 1937, ecco ritornare prepotente la poesia, insieme all'amore per Dino Formaggio, insegnante di umili origini più giovane di due anni - un vero scandalo, all'epoca - che la rese aperta a una nuova visione sulla periferia milanese.

Nell'autunno del 1937, dopo un periodo di grande debolezza fisica le furono prescritti barbiturici, che all'epoca venivano utilizzati per tutto: ansia, insonnia, visioni; ma a leggere le poesie dell'ultimo periodo, la depressione pare evidente. Nel 1938, dopo un altro periodo di debilitazione, sembrava tornare a vivere, a uscire con le amiche e finalmente riuscì a strappare al padre la possibilità di fargli conoscere Dino, il quale tuttavia a quanto pare non voleva saperne di sposarla.

Né l’insegnamento né l’impegno sociale a favore dei poveri, e neppure il progetto di un romanzo sulla storia della Lombardia, oltre alla poesia e alla fotografia, riuscirono a placare il dramma di Antonia. Ho letto tante ipotesi sul suo suicidio, addirittura secondo alcune teorie sarebbe stata la mancanza di fede a spingerla. Per quanto mi riguarda è sufficiente sapere che era depressa, come dimostrano altri due casi di suicidio avvenuti anni prima nella famiglia paterna.

Così, nel dicembre del 1938, a soli 26 anni Antonia Pozzi ingerì un grande quantitativo di barbiturici davanti all'Abbazia di Chiaravalle; ma la famiglia negò il suicidio, parlando di decesso dovuto a polmonite. Il testamento e il biglietto d'addio ai genitori furono distrutti dal padre, che manipolò anche le sue poesie, allora inedite. 

Anni dopo, Roberto Pozzi dichiarò di ricordare il biglietto a memoria, e qui Antonia parlava di "disperazione mortale". Fu sepolta a Pasturo come da sua volontà. Al padre va riconosciuto il merito di aver stampato (sebbene per uso privato e da lui rimaneggiate) le poesie della figlia, che furono scoperte da Montale pochi anni dopo.

Paolo Cognetti, con tutta la sua sensibilità di scrittore e di grande amante e conoscitore della montagna, ci restituisce l'Antonia Pozzi più vera e più "intera". Un volume breve ma profondo, come la vita di questa ragazza straordinaria.

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