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30/08/2022

Una visita al Bates Motel (2019), di Guido Vitiello

Terza ospitata per Riccardo Colella che qualche giorno fa, per il suo blog Il Cinenauta, ha scritto questo bel pezzo, che vi ripropongo, sul saggio Una visita al Bates Motel di Guido Vitiello, che indaga il famoso motel di Psycho tra arte e mito.


Ci sono libri che, già dal titolo, instillano una curiosità dalla quale pare impossibile scappare. Poi ci pensi e ti domandi: "ma in fin dei conti, perché farlo?". Così, quando t’imbatti in una copertina blu con su impressa una delle immagini cinematografiche più iconiche di sempre, lo capisci al volo che quel libro va comprato, anche se - in cuor tuo - speri di non ruzzolare in fondo all’ennesima fregatura in stile "vorrei ma non posso". Perché di libri che parlano di cinema e, nello specifico, di Psycho e Hitchcock ce ne sono a bizzeffe ma a quanti di noi è capitato di avventurarsi incautamente tra le pagine di qualche cosiddetto "saggio", solo per scoprire che, allo stesso modo e altrettanto saggiamente, avremmo fatto meglio a indirizzare altrove le nostre attenzioni? Fortunatamente, a darci una mano arriva Guido Vitiello col suo Una visita al Bates Motel, opera nella quale confluisce tutto quello che un saggio dovrebbe essere.

L’autore realizza un’analisi lucida, colta, approfondita e portata avanti con cognizione di causa, offrendo una chiave di lettura diversa e dando vita ad una vera e propria indagine che sviscera il film di Alfred Hitchcock del 1960, come mai prima d’ora. Di fatto, il libro ci guida attraverso la storia del motel e del film che l’ha reso celebre. Si parte da un "passo falso" commesso dalla produzione al momento di annunciarne il progetto, grazie al quale Psycho diventa Psyche. Un piccolo dettaglio, all’apparenza, ma grande abbastanza per destabilizzare la platea. Poi, scorrendo i fotogrammi del film, quella statuetta di Amore e Psiche di Canova che, ad un occhio poco attento, sembra messa lì per caso. Ed ancora, lo stesso regista a definire l’opera una "escursione del sesso metafisico". Nella migliore tradizione del giallo d’annata, tre indizi fanno una prova e Hitchcock sembra averne disseminati ovunque.

Giunti al punto focale della nostra indagine, viene da domandarsi se si tratti di abbagli, superficialità o semplice disattenzione. Com’è noto, il regista era un vecchio volpone e la cura maniacale con cui controllava il set, così come altrettanto maniacale era l’attenzione e la ricercatezza del dettaglio, lasciano ben intendere che difficilmente uno della sua caratura sarebbe potuto incappare in errori così grossolani. Inoltre, alcuni sapranno che Hitchcock era un grande appassionato di arte e se andiamo ad analizzare gli indizi di cui sopra, come ci insegna Vitiello, noteremo come essi non siano buttati lì per caso ma, anzi, seguano una ben delineata tratteggiatura che ci riporta a tre grandi miti greci legati da uno stesso filo conduttore: quello della discesa negli inferi e la conseguente resurrezione. Accostati a Psycho, ecco che Amore e Psiche, Orfeo ed Euridice e Demetra e Persefone non ci appaiono più così lontani.

Il tutto è velatamente suggerito dalle diverse sculture, opere d’arte e raffigurazioni pittoriche che troviamo nel film, ampiamente documentate dal ricco apparato iconografico del libro, tanto da rendere le location della pellicola simili a delle piccole gallerie d’arte. Ci ritroviamo, allora, su quell’arcinota collina. E quando Guido Vitiello sembra portarci lontani dal film di Hitchcock, verso quella che ha tutta l’aria di una vera e propria lezione di arte e filosofia, è proprio allora che, invece, si spalancano le sinistre porte del Bates Motel.

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