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Niente di vero, Raimo. Il posto, Ernaux

Che senso ha accostare due titoli molto diversi per stile, contenuto e periodo narrato? Perché nella scheda di presentazione di Niente di ve...

28/11/2023

Niente di vero, Raimo. Il posto, Ernaux

Che senso ha accostare due titoli molto diversi per stile, contenuto e periodo narrato? Perché nella scheda di presentazione di Niente di vero di Veronica Raimo campeggia quanto segue: "Prendete lo spirito dissacrante che trasforma nevrosi, sesso e disastri famigliari in commedia, da Fleabag al Lamento di Portnoy, aggiungete l'uso spietato che Annie Ernaux fa dei ricordi: avrete la voce di una scrittrice che in Italia ancora non c’era."

Partiamo dal presupposto che non vi spiegherò perché Niente di vero si intitola così, altrimenti vi toglierei il gusto della lettura (o dell'ottima audiolettura di Cristina Pellegrino). Una cosa però la voglio specificare: si tratta di un'autobiografia che parte dalla certezza che i ricordi mutano nel tempo e nello spazio. La memoria non restituisce mai l'esatto vissuto.

In parte autobiografia, in parte romanzo di formazione che però non ha la struttura classica del romanzo ma assume una forma libera che può sembrare casuale anche nella linea temporale e nella scelta degli episodi narrati, l'opera, vincitrice del Premio Strega giovani 2022, ha diviso la platea in recensioni entusiastiche e deluse. Ma di che cosa parla, esattamente, questo libro di 176 pagine?

Raimo ci conduce nella sua famiglia dove campeggiano una madre onnipresente e ansiosa, un padre pieno di ossessioni igieniche e architettoniche e un fratello maggiore diventato anch'egli scrittore. "Siamo arrivati al paradosso" è il mantra del padre e potrebbe riassumere bene il contenuto del libro che, con tono leggero e dissacrante, mette in risalto gli aspetti più negativi e talvolta traumatici dell'esistenza per trasformarli in uno spettacolo comico.

La leggerezza con cui Raimo decide di affrontare tematiche comuni (il difficile rapporto con il proprio corpo e con il sesso, l'invadenza sgradevole dei parenti) e altre molto delicate (le molestie sessuali, l'aborto) non lascia scelta a chi legge: ciascuno di noi penserà che quello sia il modo giusto per parlare di certe cose, o che sia il modo sbagliato per trattarle. 



Il posto, di Annie Ernaux, è un volume di sole 114 pagine (o se preferite un'ottima lettura di Sonia Bergamasco) che, con una forma che unisce autobiografia, diario e trattato sociologico, attraverso il racconto del padre tratteggia le trasformazioni di un'intera società.

Nella provincia normanna, il padre (nato nel 1899) aveva fatto un "doppio salto": da contadino era diventato operaio, poi aveva rilevato un piccolo bar-drogheria. Qui era subentrato un senso di inadeguatezza da parte dell'uomo e della moglie, che avevano il timore di utilizzare termini inadeguati in presenza di persone altolocate e successivamente avevano affrontato difficoltà economiche, tanto che lui era tornato a fare l'operaio per poter mandare avanti il negozio.

Anne, la figlia, vuole affrancarsi dalle proprie origini e compiere il decisivo ingresso nel mondo borghese, studiando e diventando insegnante; ma vive il distacco con un forte senso di colpa, da una parte perché prova rabbia per la distanza culturale e sociale esistente tra lei e i genitori, dall'altra per il dolore che tale separazione comporta sul piano affettivo.

La strada più naturale da percorrere per saldare il debito con il padre (e per perdonarsi il tradimento nei suoi confronti) diventa quindi la scrittura, nel tentativo di ricostruire l’essenza dell'uomo dal quale Anne si era sempre più allontanata a causa di una crescente incomunicabilità: "Forse scrivo perché non avevamo più niente da dirci".

E il modo in cui Ernaux decide di farlo è con uno stile scarno, asciutto, privo di pietismo: una narrazione ridotta all'osso eppure non per questo meno emozionante. Una semplicità che fa assumere alle pagine della scrittrice un valore universale.

"(...) Il romanzo è impossibile. Per riferire di una vita sottomessa alla necessità non ho il diritto di prendere il partito dell’arte, né di provare a fare qualcosa di "appassionante" o "commovente". (...) Metterò assieme le parole, i gesti, i gusti di mio padre, i fatti di rilievo della sua vita, tutti i segni possibili di un’esistenza che ho condiviso anch’io. (...) Nessuna poesia del ricordo, nessuna gongolante derisione. La scrittura piatta mi viene naturale, la stessa che utilizzavo un tempo scrivendo ai miei per dare le notizie essenziali."

21/11/2023

Primavera silenziosa, di Rachel Carson

Torno anch'io alle recensioni per parlare di un libro a cui tengo molto, la pietra miliare della letteratura ambientalista moderna: Primavera silenziosa di Rachel Carson, considerata la madre di tale movimento. La sua voce è stata interrotta molto presto, a causa di un cancro che ne ha decretato la morte nel 1964 a soli 56 anni; ma la sua ultima opera pubblicata in vita continua ancora oggi, a 61 anni di distanza, a parlare per lei.

Immagine generata con Tome AI

Primavera silenziosa risulta tuttora un libro di scienza ambientale innovativo. Edita per la prima volta nel 1962, l'opera di Carson denuncia i pericoli di vari insetticidi sintetici (in particolare del DDT ma anche di clordano, eptacloro e altri), i loro effetti nocivi sull'ambiente e sulla salute umana. L'autrice ne illustra gli alti livelli di tossicità, il gran numero di organismi uccisi dalla loro nefasta azione, la capacità di alcune sostanze chimiche tossiche di accumularsi negli organismi e i percorsi attraverso i quali le tossine consumate dalle specie-bersaglio finiscono nella catena alimentare.

Ogni pagina di Silent spring contiene un chiaro messaggio sulla fragile e fondamentale interconnessione tra ambiente e umanità. Gli esempi citati da Carson sono riferiti in particolare agli Stati Uniti, ma non mancano citazioni di casi provenienti da tutto il mondo. 

Nel momento in cui scrive, l'autrice non ha ancora a disposizione un gran numero di studi che chiariscano nel dettaglio i processi di intossicazione determinati dalle sostanze di cui parla, ma parte da osservazioni personali e della sua rete di conoscenze sugli impatti del DDT, studia le più aggiornate ricerche disponibili su un’ampia gamma di discipline e raccoglie tutti i dati in un testo avvincente. Anche quando illustra le mutazioni genetiche, le trasformazioni chimiche e le interazioni che rendono letali componenti singolarmente innocui, l'autrice riesce a utilizzare un linguaggio comprensibile anche per chi non ha competenze scientifiche.

Immagine generata con Tome AI

Per apprezzare al meglio il valore di Silent Spring, è essenziale conoscere la biografia dell'autrice*. Nata in Pennsylvania nel 1907, dimostrò un precoce interesse per la natura e per la scrittura. Al college studiò biologia e, dopo un periodo come ricercatrice in biologia marina nel Massachusetts, intraprese ulteriori studi in zoologia alla Johns Hopkins dove, nel 1932, completò il master. Nel frattempo, a causa delle difficoltà finanziarie della famiglia (a queste seguiranno malattie, decessi ed eventi traumatici), non potendo proseguire gli studi per il dottorato, entrò al Dipartimento della Pesca degli USA come scrittrice scientifica.

L'esperienza come biologa marina ispirò i primi testi scritti da Carson, una trilogia dedicata al mare che univa alle conoscenze scientifiche l'amore per gli elementi naturali e una grande capacità divulgativa: Undersea; The Sea around us del 1951, che la portò alla notorietà permettendole di lasciare il lavoro all'ente per dedicarsi a quello di scrittrice; The Edge of sea.

Alcuni anni dopo, l’amica e scrittrice Olga Owens Huckins, che aveva recensito The Sea around us, le segnalò una tremenda moria di uccelli nella sua proprietà in Massachusetts, nel 1957. Carson si mise al lavoro e, nonostante una diagnosi di cancro, riuscì a pubblicare l'esito delle sue ricerche nel 1962.


Primavera silenziosa è suddiviso in quattro sezioni per 17 capitoli in totale, ognuno dei quali affronta diversi aspetti dell'uso dei pesticidi e del loro impatto. Il libro inizia con la vivida descrizione di una ipotetica città in cui ogni forma di vita è stata messa a tacere dalle sostanze chimiche nocive, dando il tono al resto dell'opera. Carson approfondisce poi la storia dell'uso dei pesticidi e ne analizza in dettaglio, con numerosi esempi, gli effetti dannosi sugli ecosistemi, sugli animali e sulla salute umana. 

La prima sezione del libro analizza la storia e lo sviluppo dei pesticidi, evidenziando come la loro diffusione nella società statunitense sia aumentata nel corso degli anni. Carson descrive come l'uso intensivo del DDT abbia avuto un impatto devastante sulla vita selvatica, distruggendo la biodiversità e rendendo il mondo un luogo più "silenzioso". In queste pagine, Carson fa un appello per una maggiore consapevolezza e per un cambiamento di paradigma nell'uso dei disinfestanti.

La seconda parte esplora il ciclo di vita e l'interconnessione ecologica di vari organismi. Carson mette in luce gli effetti negativi dei pesticidi sulle popolazioni di uccelli. L'accumulo di disinfestanti nei loro corpi causa disfunzioni riproduttive e malformazioni, mettendo in pericolo l'esistenza di quasi tutte le specie, a eccezione del passero che sembra resistere bene alle sostanze chimiche. Questa sezione sottolinea l'importanza di valutare l'interconnessione tra le diverse forme di vita e di considerare le conseguenze delle azioni umane sull'ambiente. 

La terza sezione analizza gli effetti dei pesticidi sugli insetti e sulla catena alimentare. Carson presenta vari casi di avvelenamento da sostanze tossiche e spiega come queste possano contaminare il cibo, l'acqua e l'aria, mettendo così a rischio la salute umana. Utilizzando esempi drammatici e descrizioni dettagliate di malattie e morte causate dall'avvelenamento da disinfestanti, Carson cerca di suscitare un senso di urgenza nel lettore. Sottolinea anche la necessità di un'azione tempestiva per proteggere la salute pubblica e di adottare alternative meno dannose nell'agricoltura e nella gestione dei parassiti. 

L'ultima parte del libro offre proprio alcune soluzioni per il controllo dei parassiti che siano più sostenibili e rispettose dell'ambiente. Carson sostiene che l'adozione di tecniche di gestione integrata dei parassiti, che coinvolgono l'uso di predatori naturali, la rotazione delle colture e altre strategie, può ridurre la dipendenza dagli agenti chimici nocivi. Propone anche una riforma delle politiche di regolamentazione per limitare l'uso indiscriminato dei pesticidi a livello governativo.


Ciò che rende Primavera silenziosa particolarmente rilevante è che si tratta di un testo fortemente critico nei confronti delle autorità che sembrano farsi guidare dagli interessi economici che stanno dietro alla diffusione dei pesticidi. L'autrice sottolinea infatti come alcune sostanze chimiche nocive abbiano ottenuto un'ampia accettazione pubblica, grazie all’entusiasmo con cui scienza e imprenditoria abbracciarono i progressi compiuti in campo chimico durante l'ultimo conflitto mondiale. Tuttavia, ai fondi per produrre e acquistare le sostanze non si erano accostati quelli per valutarne correttamente le interazioni e gli effetti collaterali.

Ancor prima dell'uscita, i rappresentanti dell'industria chimica e i loro alleati politici condannano fermamente Primavera silenziosa e portano avanti una campagna di disinformazione per screditare l'autrice e il suo lavoro, minacciando inoltre gli editori del libro con una causa per diffamazione. Carson viene accusata di scarsa rigorosità scientifica e di abuso di termini drammatici e sensazionalistici per influenzare il pubblico. 

Le critiche all'autrice vanno ben oltre le sue idee e si trasformano in attacchi personali: viene definita tra le altre cose "isterica" e "probabilmente comunista", si avanzano ipotesi sul fatto che sia nubile, si minimizza la sua preparazione scientifica tanto che non viene chiamata "dottoressa" o "scienziata" ma "signorina". Nel 1963, l'esponente di un'azienda produttrice di pesticidi afferma infatti: "Se l’uomo seguisse gli insegnamenti di Miss Carson, torneremmo ai secoli bui, e gli insetti, le malattie e i parassiti erediterebbero ancora una volta la terra" (1).

Per fortuna, questi tentativi meschini di mascherare la verità si rivelano inefficaci e controproducenti. Carson non è contraria in assoluto all'uso di sostanze chimiche di sintesi: chiede solo di usarle in modo selettivo, nelle dosi adeguate e con la dovuta consapevolezza. Il suo libro permette l'avvio di un dibattito nazionale sulla conservazione dell'ambiente e sulla regolamentazione dei pesticidi, rappresenta un potente strumento di sensibilizzazione dell'opinione pubblica su tali argomenti e rivela la presenza di conflitti di interesse da parte di alcuni scienziati scettici.

Una prima conferma dell'importanza del lavoro di Carson si avrà nel 1963 con l'istituzione di un gruppo speciale all'interno del comitato consultivo scientifico del governo statunitense, che produrrà un rapporto di conferma delle ricerche contenute nel libro. Da lì in poi, le sostanze indicate dall'autrice saranno soggette a continue limitazioni o divieti.

Immagine generata con Tome AI

Con la sua prosa evocativa e la capacità di descrivere gli effetti disastrosi degli agenti chimici nocivi sull'ambiente, Primavera silenziosa rimane una lettura essenziale per chiunque sia preoccupato per il futuro del nostro pianeta, non solo per chi ha un ruolo nell'attivismo ambientale e nella conservazione del mondo naturale. 

Il messaggio di Primavera silenziosa rimane attuale ancora oggi: gli avvertimenti del libro sui pericoli dei pesticidi e sulla necessità di pratiche ambientali sostenibili sono quanto mai pertinenti, considerando che è possibile entrare in un qualunque negozio e acquistare prodotti che contengono componenti altamente tossici: ma le informazioni più importanti, che riguardano dosi e modalità di utilizzo e soprattutto la loro pericolosità, sono riportate in caratteri minuscoli...



*Per approfondire: ipodcast Rai a lei dedicato e alcuni articoli in inglese:
https://extension.unh.edu/blog/2022/01/silent-spring-60-years-later
(1) https://blog.ucsusa.org/anita-desikan/why-rachel-carsons-silent-spring-still-resonates-today/

06/10/2023

Il Sandmann e Il voto di E.T.A. Hoffmann: due racconti per Halloween


Halloween è la festa perfetta per rivivere le atmosfere cupe e misteriose dei racconti gotici. Tra i più celebri, Il Sandmann di E.T.A. Hoffmann, inizialmente pubblicato nella raccolta Notturni del 1817 e recentemente unito dalla casa editrice Alter Ego a un altro racconto, Il voto, in un volumetto che riproduce la storica traduzione dei Racconti fantastici a opera di Rodolfo Bottacchiari (edizione che compie un secolo proprio quest'anno).

Nel racconto Il voto, la giovane contessa polacca Ermenegilda ha una visione nella quale sposa il suo fidanzato Stanislao dopo averlo raggiunto sul campo di battaglia. La fantasia è talmente vivida che la ragazza è convinta di averlo realmente sposato e di essersi unita a lui.

Il racconto, attraverso l'utilizzo dell'elemento perturbante (le visioni della giovane, il suo collegamento mentale con l'amato e la decisione di vivere a lutto per il resto dei suoi giorni), ci permette anche di riflettere sul concetto di "disonore" nell'età premoderna.

Il protagonista del Sandmann è Nathanael, un giovane uomo sensibile e romantico, tormentato da un'ossessione: l'uomo della sabbia, un mostro immaginario che porta via gli occhi ai bambini che non vogliono andare a dormire. Il ragazzo è inoltre convinto che l'inquietante Coppelius sia l'uomo della sabbia, e che sia il responsabile della morte di suo padre.

Quando Nathanael si innamora di Olimpia, una donna bellissima e misteriosa, scoprendo poi una terribile verità circa la sua reale natura, la follia lo fa andare completamente fuori controllo, fino a fargli compiere un gesto estremo.

Il Sandmann è un racconto complesso e ricco di interpretazioni, una metafora del terrore dell'ignoto e della perdita dell'innocenza: la paura di Nathanael per l'uomo della sabbia e tutto ciò che ne consegue rappresenta l'incapacità di crescere e di affrontare il mondo degli adulti. 

Sono numerosi i motivi che rendono la lettura di questo volume adatta al periodo di Halloween: i racconti sono caratterizzati da un'atmosfera gotica, Hoffmann utilizza una prosa ricca di dettagli e immagini che contribuiscono a creare un senso di mistero; Ermenegilda e Nathanael sono persone tormentate da visioni e da traumi che le conducono alla follia e l'epilogo, tragico per entrambi, trasmette in chi legge un senso di inquietudine.

25/07/2023

L'età inquieta. Racconti del terrore, di Anna Starobinec

"Dove sono i viventi? Non dire assurdità. Non ce ne sono più. Sono stati sconfitti..." 

Ho scelto L'età inquieta. Racconti del terrore di Anna Starobinec perché ispirata dalla descrizione in quarta di copertina, colpita dal prezzo minimo del volume (7 euro ma spesso disponibile al 50%) e dalla grafica curata. Preciso subito che questo non è "un libro da poco", anzi: i racconti presenti in questa raccolta sono stati finalisti al National Bestseller Prize del 2004, il principale premio letterario russo; inoltre, la traduzione di Mario Alessandro Curletto sembra davvero cogliere l’efficacia stilistica dell'autrice.

La raccolta, edita da ISBN nel 2012, è difficile da catalogare sotto un'unica etichetta di genere ed è per questo che al titolo che richiama l'inquietudine si accompagna il sottotitolo che recita "racconti del terrore".

Le storie di Starobinec, alcune lunghe e altre di poche pagine, variano dal racconto kafkiano ("La famiglia") a quello fanta-body horror caro a Stephen King e Clive Barker (il racconto lungo "Formicaio" che apre la raccolta, davvero pregevole e spaventoso), dalla struggente fantascienza post-apocalittica di "Viventi" che richiama Blade Runner e Solaris all'orrore psicologico di "L'agenzia" che sembra derivare direttamente da Le Horla.

In tutte le variabili (la storia dell'adolescente che sviluppa un'ossessione morbosa per il cibo cucinato da sua madre in "Io aspetto") e su tutte le lunghezze ("Le regole", brevissimo, è uno dei racconti più agghiaccianti), la scrittura di Starobinec è di grande impatto e sviluppa la giusta tensione. 

L'elemento comune alla maggior parte delle storie è quello psicologico, tanto che anche al termine della lettura ci chiediamo spesso se il protagonista sia paranoico, stia sognando o se gli accadimenti narrati siano reali. Su tutto regnano malinconia, solitudine e alienazione, il senso di sgomento, l'orrore interiore e quello collettivo: non è un caso che questi racconti siano scritti e ambientati nella Russia post-sovietica, ancora in crisi identitaria.

Nel complesso, L'età inquieta è un volume che consiglio sia a chi ama il genere horror e cerca qualcosa di diverso dai soliti libri erotico-vampireschi, zombeschi e post-apocalittici, sia a chi ama i racconti psicologici disturbanti dal retrogusto amaro.

13/06/2023

Vergogna, di John Maxwell Coetzee

John Maxwell Coetzee, nato nel 1940 a Città del Capo, è uno scrittore sudafricano di discendenza afrikaner che nei suoi libri ha parlato spesso di apartheid ma anche di diritti degli animali. Vergogna è uscito nel 1999 e ha vinto il Booker Prize. Non a caso al suo interno si trovano parecchie riflessioni animaliste e antispeciste (per un approfondimento consiglio la lettura di questa analisi che ho trovato molto interessante): al 2000 risale infatti La vita degli animali, che riprende in forma letteraria le lezioni tenute dall'autore a Princeton pochi anni prima sul maltrattamento degli animali. Qui trovate inoltre la puntata di un podcast focalizzato su scrittori antispecisti dedicata a Coetzee.

Il titolo originale di Vergogna è Disgrace. Eppure anche la variante italiana ha un significato che rispecchia inequivocabilmente il contenuto del romanzo. La vergogna richiamata dal titolo è doppia: è quella di David Lurie, il protagonista, un docente universitario di 52 anni che commette un abuso su una delle sue studentesse ed è costretto a lasciare il lavoro; ed è quella che prova la figlia di Lurie, che subisce violenza da tre sconosciuti poco dopo essere stata raggiunta in campagna dal padre fuggitivo.

I messaggi che ci vengono lanciati dalle pagine di questo libro sono talmente tanti che non basterebbe un trattato per elencarli tutti: ciò che maggiormente colpisce è la crescita di Lurie, che da uomo interamente governato dal desiderio sessuale (al punto che l'incipit è proprio: "A suo avviso, per essere un uomo della sua età, cinquantadue anni, divorziato, ha risolto il problema del sesso piuttosto bene") compie un enorme cambiamento nel giro di poche settimane. 

Vergogna è un libro duro, che con le sue 200 pagine ci conduce in un mondo fatto di regole forse incomprensibili per chi proviene da un'altra cultura; è un romanzo che trascende la narrazione per formarci e informarci, non solo sul rapporto tra natura e cultura e sulla violenza insita nella campagna (argomento ricorrente nella letteratura e nella cinematografia), ma anche sui delicati rapporti tra padre e figlia e sulle molteplici sfumature che regolano le relazioni tra uomini e donne. 

Vergogna è un libro duro anche per un altro motivo: fa provare rabbia per la scelta di Lucy di restare in un luogo all'apparenza inospitale dove la ragazza ha conosciuto la violenza; eppure la sua scelta è in qualche modo comprensibile: perché in quanto vittima dovrebbe lasciare la sua casa? La decisione di denunciare lo stupro spetta solo a chi ha subito violenza: il compito di chi sta accanto alla vittima non dovrebbe essere convincere o costringere, ma ascoltare, sentire, empatizzare, comprendere.

Vergogna è un libro controverso. Accusato di razzismo, di pessimismo, di eccessivo compiacimento della Disgrace affrontata da David e da Lucy; sgradevole nelle descrizioni che Lurie fa delle donne; durissimo nel delineare la sorte degli animali che giungono alla clinica veterinaria teatro della trasformazione di David. Eppure, se ci si lascia trasportare dalle straordinarie capacità narrative di Coetzee, si potrà addirittura ridere di una grottesca situazione vissuta da Lurie. 

Per concludere, c'è un ulteriore elemento che all'interno del romanzo resta sullo sfondo, ma non per questo è meno rilevante: Lurie lavora a un'opera incentrata sull'amore tra Lord Byron e Teresa Gamba Guiccioli; un'opera che cambia forma col passare del tempo, proprio come il protagonista, plasmato dagli eventi... E, per quanto mi riguarda, anche chi legge Vergogna si sentirà, almeno in parte, cambiare. Come dice Aidan Chambers: "Siamo quello che leggiamo."

19/04/2023

Speak di Laurie Halse Anderson, disegni di Emily Carroll

"Le prime dieci bugie che ti raccontano alle superiori: Uno. Siamo qui per aiutarti."



Melinda ha 13 anni e frequenta il primo anno della Merryweather High School. Le compagne, comprese la ex migliore amica, la evitano da quando, a fine estate, ha rovinato una festa. 

Quella sera, Melinda ha subito una violenza da parte di un compagno e ha chiamato la polizia, ma non è riuscita a raccontare la verità. 

"Dentro di me è rinchiusa una bestia che mi lacera le costole."

Da quel momento, la ragazza è diventata il bersaglio dei bulli. Nel fumetto vediamo che Melinda si ritrae sempre più dal mondo che la circonda, i voti peggiorano; insegnanti e genitori non sembrano voler ascoltare. 

I disegni di Emily Carroll accompagnano in modo perfetto la storia di Laurie Halse Anderson: Speak (Il Castoro, 2019) è infatti l’adattamento dell’omonimo romanzo di Anderson pubblicato nel 1999, un tema delicato narrato in modo ideale per le giovani generazioni.

La storia è efficace e realistica: da una parte l’indifferenza della scuola e della famiglia, dall'altra le dinamiche tra adolescenti con i loro fragili equilibri tra inclusione ed emarginazione; in mezzo la difficoltà di raccontare una realtà drammatica.

Carroll, nota per i suoi fumetti fantahorror, fa un ottimo lavoro dando forma alla depressione di Melinda, al suo dolore e alla sua guarigione. Se proprio l'arte diventa un mezzo di espressione per la protagonista, il mezzo del fumetto risulta particolarmente adatto a raccontare la sua storia, che è quella di tante ragazze in tutto il mondo.

11/04/2023

L'Esorcista di William Peter Blatty

Per riprendersi dalle scorpacciate pasquali, non c'è niente di meglio di un buon libro horror che con la Chiesa ha molto a che fare: L'Esorcista di William Peter Blatty. Ospito oggi la recensione di Riccardo Colella, pubblicata originalmente sul suo blog Stazione Cinema. La trovate qui, se avete voglia di dare un'occhiata.


“Karras smise di leggere. Scosse la testa. Qui non c’era di mezzo nessuna manifestazione di fenomeni paranormali: era soltanto la prova delle illimitate capacità della mente umana.“

L’horror più terrificante di sempre. Quante volte ci siamo imbattuti in questa affermazione, al momento di analizzare L’esorcista? E forse, a pensarci bene, non siamo poi così lontani dalla realtà. Se infatti siamo qui a parlare di un film che, a cinquant’anni suonati dalla sua uscita e dopo aver terrorizzato intere generazioni di spettatori, continua a fare il suo lavoro più che degnamente, è logico pensare che, a conti fatti, quel film possa davvero essere così spaventoso come dicono. Proviamo a spulciare i vari siti tematici, Wikipedia, le riviste di critica o i semplici blog di settore (proprio come questo). Una delle prime informazioni che ci salterà all’occhio, parlando del film diretto nel 1973 da Willliam Friedkin, sarà sempre quel “…tratto dal romanzo di William Peter Blatty”. E allora, mi sono detto, perché non leggerlo questo “romanzo di William Peter Blatty”? Se è vero, infatti, che il film lo abbiamo visto tutti (più o meno), quanti sono quelli che il libro di Blatty l’hanno letto per davvero?

È bene chiarire subito una cosa: per quanto mi riguarda, non sono mai stato uno di quegli integralisti che “il libro è sempre meglio del film”. Nella storia della letteratura cinematografica, non si contano i casi in cui la qualità del film ha superato quella del romanzo. Nella fattispecie, mi sento di affermare, senza alcun dubbio, che un film come Lo squalo sia ben superiore all’opera di Peter Benchley. E badate bene che parliamo di un testo di alto livello. Analogamente, lo stesso Casino Royale di Ian Fleming credo si possa collocare al di sotto della trasposizione diretta da Martin Campbell nel 2006 e che inaugurava il ciclo jamesbondiano di Daniel Craig.

Nel caso specifico, misurarsi con quello che (come detto in apertura di recensione) è a tutti gli effetti considerato il caposaldo del cinema horror, non è una passeggiata. Nonostante sia uscito prima il libro (come accade quasi sempre) rispetto al film, William Peter Blatty ce la mette davvero tutta, non sfigurando e, in alcuni casi, arrivando ad eguagliare l’opera cinematografica che tutti conosciamo. Il romanzo scorre piuttosto facilmente e senza grossi intoppi, non perdendo mai di incisività, salvo in alcuni frangenti forse troppo descrittivi (specialmente nella parte iniziale) che possono portare ad un calo dell’attenzione. Tuttavia, lo scorrere delle pagine ci guida verso un’escalation del pathos, esattamente come avviene nel film. Lo stile dell’autore è fluido e non particolarmente complesso e il pregio del libro, come è naturale che sia, è quello di approfondire alcuni aspetti che nella pellicola vengono tralasciati o affrontati solo marginalmente.

A partire dall’ispettore Kinderman, le cui indagini e intuizioni descritte nel libro, hanno finalmente un senso e una logica ben strutturata, passando per la figura di Chris MacNeil, col forte legame che lega lei e Regan, la bambina protagonista del romanzo, fino al maggiordomo Karl con sua moglie Willi e le loro vicende familiari, caratteristica totalmente assente nel film, i personaggi trovano tutti una profonda caratterizzazione che assicura profondità e respiro alla storia. Carismatica e ben approfondita la figura del gesuita Damien Karras, autentico fulcro del romanzo, con le sue debolezze e i suoi rimorsi a far da corollario ad una fede che vacilla in più di un’occasione. Interessantissime anche le disquisizioni mediche che accompagnano il lettore per tutto il libro, non cedendo mai alla semplicità di riconoscere totalmente e in maniera arrendevole, una possessione che pure sembrerebbe inequivocabile.

Di contro, almeno per quello che è la mia opinione, ho trovato piuttosto scarna la figura di padre Merrin, sul grande schermo interpretato dall’immenso Max Von Sydow, che avrebbe meritato una ben più approfondita caratterizzazione. È vero che il romanzo, così come il film, si apre concentrandosi sulla sequenza archeologica in Iraq, ma un passaggio più approfondito sull’attività di esorcista del buon Merrin sarebbe stata più che gradita. A bilanciare questa mancanza, tuttavia, troviamo una fondamentale e approfondito confronto tra i due sacerdoti sulla fede e il senso di colpa. Proprio quest’ultimo aspetto, infatti, è una caratteristica che torna più e più volte nel libro. Quel senso di colpa che Karras nutre nei confronti della madre e che gli impedisce di trovare quella pace interiore che lo riappacificherebbe con Dio, quello che Chris prova nei confronti della figlia, per via di una carriera che la assorbe costantemente e del recente divorzio. O quello che la stessa Regan nutre nei confronti della madre, così affermano tutti i medici che visitano la bambina, proprio per quest’ultima ragione.

La tensione c’è e la storia scorre accompagnata da un’atmosfera che si avvicina moltissimo a quella del romanzo. I dialoghi sono costruiti con credibilità, così come le disquisizioni mediche che appaiono solide e ben argomentate. Da non sottovalutare tutta la sottotrama collegata al folklore e che si ricollega agli episodi blasfemi che si verificano nei paraggi di casa MacNeil. Parliamo di un’opera non scontata, certamente all’avanguardia per l’epoca e fonte di ispirazione per innumerevoli altri prodotti che sarebbero arrivati in seguito. Un romanzo che alcuni potrebbero definire un po’ “impolverato” ma che sicuramente nella classifica dei migliori libri horror, non fatica a posizionarsi ancora piuttosto in alto, se non addirittura sul podio. Sempre lì, pronto a terrorizzare tutti noi.