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La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

21/05/2021

Jurij Dombrovskij, Il conservatore del museo

Questa settimana Andrea Brattelli ci parla di uno degli ultimi libri dello scrittore russo Jurij Dombrovskij (1909-1978), che trascorse 18 anni tra lager e confino e venne ucciso da sconosciuti poco dopo la pubblicazione, a Parigi, del suo ultimo romanzo contenente una evidente critica al regime comunista. Il conservatore del museo apparve nel 1964, alla fine dell'epoca del "disgelo" di Krusciov. 




Il tema principale del libro in questione è la libertà di spirito nell’era del dispotismo. Quest’ultimo viene posto in netto contrasto con la coscienza storica del protagonista che conserva i manufatti del museo, se ne prende cura e ne conserva la memoria... Conserva in particolar modo il ricordo delle atrocità compiute dagli uomini nei secoli, a seguito delle quali la menzogna e la falsità hanno preso il sopravvento. Questa negatività però sembra essere un male necessario per arrivare ad un nuovo rinascimento dell’umanità e di ideali di rinnovamento.

La trama sembra non esserci in quest’opera, nessuna analisi dell’animo né del protagonista, né tantomeno di altri personaggi che sembrano disegnati da bambini che perlopiù scarabocchiano su fogli patinati con matite colorate spuntate e dalle mine rotte a seguito delle continue cadute causate dai loro modi maldestri.

Ci viene posto dinanzi, senza scelta, il tempo di una vita di una persona, tutto qui.

La vita di quest’uomo arranca dopo le repressioni di Stalin (il respiro del dittatore scivolerà tra le pagine del libro aiutandoci a voltar pagina di volta in volta pur senza esser nominato).

Notizie sui giornali, discussioni, non lo riguardano. Questo archetipo di personaggio serve allo scrittore per non dover discutere della dittatura comunista che viene relegata ai lembi dei fogli che compongono il romanzo: si può leggere qualcosa tra le righe che stona come le pieghe che facciamo alle pagine a mo' di segnalibro.

Sono poco spaventose...

Vivendo nella sua campana di vetro, il responsabile del museo ha solo un vago ricordo anestetizzato delle sue lotte per la libertà. Egli è uno storico che rimette insieme e cataloga manufatti in un museo non essendo più capace di sistemare anche solo qualcosa nella sua miserabile vita.

Questo è ciò che lascia dietro di sé dell’animo umano la dittatura.

Numera tutto, pedissequamente, come pena, come contrappasso per aver lasciato passare anni a combattere contro i mulini a vento a guisa di un Don Chisciotte dei tempi moderni.

Ogni tanto si concede qualche scampagnata per andare a scavare manufatti in luoghi imprecisati, da dove sono state inviate segnalazioni da gente del luogo.

Durante le pause lui e la sua squadra vengono invitati a ristorarsi col bere ma egli bevo poco o nulla e rimugina sempre. La sua rigidità è quella di una lastra di acciaio inossidabile che riflette la realtà senza viverla, un fantasma la cui vita del mondo che lo circonda gli passa attraverso.

Il protagonista quindi è un ex militante ma gli altri suoi colleghi chi sono? Cosa fanno? Sostanzialmente non si sa nulla. Kornilov è un esule che ha trovato lavoro al museo per puro caso, grazie alla carità di un politico? Clara è solo un’amica?

Alcune storie che fanno da cornice sono lasciate a metà come gli scavi che si portano avanti per far riaffiorare qualcosa di una tradizione e di una civiltà che ormai non c’è più.

Smottamenti, terremoti, alluvioni bloccano tutto.

Come deja-vu vediamo un'anziana che non si sa per quale motivo scolpisce il busto di una persona cara prematuramente scomparsa.

I dubbi sorgono durante la lettura, sul perché di certe scelte. Sono dubbi che assalgono anche i personaggi, che hanno paura del loro stesso vicino che li spia, che non si possono fidare di nessuno anche se tutti virtualmente connessi al museo che è come un'entità viva dei film dell’orrore che spaventa tutti ma non punisce poi nessuno (alcuni dipinti non possono essere esposti perché rappresentano fisicamente una realtà diversa da quella imposta dal comunismo e, in caso contrario, si viene minacciati).

Forse la risposta più semplice che possiamo dare ai nostri quesiti è che Il conservatore del museo è una storia di perseveranza: chi è sopravvissuto ai gulag torna alla propria vita a testa bassa cercando di viverla al meglio non cacciandosi più nei guai fino all’arrivo di tempi migliori.

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