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Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

02/12/2022

Sulla Strada di Jack Kerouac

Continua il viaggio di Andrea Brattelli lungo le pagine dei classici moderni, quei libri irrinunciabili la cui lettura lascia tracce indelebili. Oggi in particolare si parla di un capolavoro che amo in modo viscerale: Sulla strada di Jack Kerouac. Ma che cosa ne pensa Andrea? 



Jack Kerouac con il suo romanzo intitolato Sulla strada ci ha essenzialmente fatto capire che narrare gli Stati Uniti è come scrivere il più grande poema del mondo e l’approccio alla descrizione di questo continente mi è sembrato, leggendo questo testo, abbastanza limitato a causa della cultura del tempo e troppo paternalistico. Posso affermare con certezza che questo è un classico, figlio del suo tempo, che non ha retto bene al passare degli anni.

Quest’opera pulsa ai ritmi dell’America anni 50, del jazz: la nuove generazioni volevano dissetarsi con varie esperienze e l’avvenire era edulcorato dai fumi dell’alcol e delle droghe che loro assumevano per sopravvivere ad un mondo, secondo i pareri dell’epoca, decadente, tale da straziare gli animi.

Il vero protagonista del libro è l’autore stesso che, colto da una sorta di autocompiacimento, vorrebbe essere considerato un moderno Huck Finn; auspica con le sue produzioni di rievocare lo spirito di frontiera vivo nei pionieri americani ormai impressi solo nei ricordi della gente comune e legati a un lontano passato.

Ed è così che si apre il romanzo, con frasi che sono come un’epigrafe incisa nel duro marmo, freddo come l’inverno del 1947 a New York. Il gelido vento dell’ovest, proveniente da un mondo selvaggio, come la strega malvagia del Mago di Oz, colpisce le doloranti membra dei compagni “Beats”, di Salvatore Paradise, Allen Ginsberg, Neal Cassady.

Kerouac cerca di creare una logica in quella che a molti americani sembrò essere di primo acchito una striscia a fumetti piuttosto che un libro, in cui si affiancano vignette insensate in bianco e nero che avrebbero dovuto mostrare moti di ribellione tra i giovani. Questo sistema però non sembra funzionare molto: sistematici flashback e flashforward riferiti a vicende accadute a personaggi, che rimangono in mente ma che varrebbe la pena dimenticare per la loro misoginia, fanno traballare la storia come la vecchia e scassata macchina da scrivere che il narratore utilizzò per far divagare l’inchiostro che ha arato la strada delle sue vicissitudini.

Il flusso di coscienza è una tecnica narrativa che potrebbe non piacere a tutti quindi mi permetto di suggerirvi una edizione con una introduzione al racconto vero e proprio.

Durante la lettura ci imbatteremo in un gran numero di personaggi, grotteschi come alcuni di quelli presenti nei lavori di Charles Dickens, tutti senza un soldo come la maggior parte degli uomini presenti nelle storie riportate da Dostoevskij.

Per i suddetti motivi il mio consiglio spassionato è quello di seguire ciò che è insito in una canzone dei Marillion ovvero di dosare, quando si è troppo felici, la spensieratezza con brani tratti da On the Road che così, preso con il contagocce, risulterà anche più digeribile.

Alcune parti di quest’opera sono morbosamente affascinanti e mi ricordano alcuni passi dei libri di Chuck Palahniuk; affrontare certi discorsi riportati in questo romanzo è come essere catapultati indietro nel tempo alle superiori, a una lezione di biologia sulla riproduzione sessuale umana, ma le diapositive che ci vengono mostrate dalla prof invece riguardano malattie veneree come la sifilide e i loro effetti sul corpo.

Chiudo questa recensione prendendo spunto da ciò che ho scritto inizialmente (anche se, di solito, non mi piace tornare sugli stessi argomenti): è affascinante notare come l’uso di sostanze stupefacenti possa far cambiare idea allo scrittore e fargli descrivere scenari diversi, con una prosa differente, nel corso di una sola giornata anche se si trova sempre nello stesso luogo e non è ancora partito per altri lidi. È come se la sua voce e quella di un ghostwriter* eccentrico si sovrapponessero. Per tale motivo questo lungo viaggio attraverso gli States a volte sembra piuttosto un peregrinaggio costa a costa sulle sponde di un fiume per barattare prodotti con gli abitanti dei villaggi presenti sulla riva.

*(alieno, di un altro pianeta, che cerca di comprendere l’universo femminile non capendoci nulla e, di conseguenza, ne parla male al pari di un bambino capriccioso che non riesce ad ottenere il giocattolo tanto agognato).

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