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24/11/2023

Qualcuno volò sul nido del cuculo, di Ken Kesey

Andrea Brattelli alle prese con il testo di Ken Kesey pubblicato nel 1962 che ha ispirato il film omonimo diretto da Miloš Forman e magistralmente interpretato da Jack Nicholson: Qualcuno volò sul nido del cuculo. Se la pellicola vi è piaciuta, nel libro troverete una denuncia ben più evidente e strutturata alla società dell'epoca.


Alcune storie hanno come protagonisti dei personaggi così iconici che, in qualità di lettori, cerchiamo da loro risposte, come se figure di fantasia si dovessero prendere la briga di fornirci dettami su come possiamo raggiungere la serenità. Sembra di conoscerli da sempre; il gigante indiano dipinto nel romanzo di Ken Kesey assomiglia, per esempio, al più noto Frankenstein ma non per la bruttezza: anch’egli è un gigante, questo sì, ma è di fatto intelligente e ha un animo cordiale; è migliore della maggior parte di noi. Altra similitudine: sia il “Mostro” nato dalla penna di Mary Shelley che il suddetto co-protagonista possono chiedere lumi direttamente al loro creatore, cosa che noi comuni mortali non possiamo fare. Alla fine, quindi, è sempre il redattore del libro in questo caso che ci guiderà verso la strada maestra della saggezza.

Le vicende sono narrate da Bromden, un paziente indiano nativo americano che è in cura presso il reparto psichiatrico di un ospedale dell'Oregon. Si presume che Capo Bromden sia sordomuto ma, in realtà, non è affetto da nessuna disabilità fisica. Agisce quindi come osservatore onnisciente ed educa il lettore riguardo la vita all'interno del manicomio.

Questo luogo è gestito dalla tirannica infermiera Ratched, rigida e pignola per quanto concerne l’attenersi ai protocolli e la disciplina. Le sue sembianze assumono particolari fabieschi se si osserva la sua divisa bianca inamidata e la sua austerità che la fanno sembrare una strega dalle sembianze umane mandata dagli inferi per alimentare odio negli animi già esacerbati e sottomettere vigliaccamente poveri derelitti e fare proselitismo tra coloro che godono nell’essere sottomessi. Rappresenta l’emblema della stupidità che sfocia naturalmente in tirannia quando il poco sapere (medico in questo caso) e la saccenza si coniugano alla testardaggine e pedanteria nel far rispettare le regole sia al personale che si comanda sia agli ospiti della struttura sanitaria.

Questi atteggiamenti mal si sposano con la paranoia dell’omone indiano affetto da paranoie: egli è convinto che il mondo sia mosso da meccanismi ben congegnati, come quelli che costituiscono le macchine di Charles Babbage tanto care ai disegnatori di mondi distopici per intenderci, controllati unicamente da coloro che detengono l’autorità. La sua forza è insufficiente contro queste entità coercitive. Le digressioni sulla ricerca del luogo da cui provengono questi disturbi erodono un po’ la scorrevolezza della narrazione devo spiacevolmente confermare.

Un giorno nel reparto viene internato un certo McMurphy, che ha deciso di finire la sua pena detentiva in questo luogo a suo dire confortevole piuttosto che in una fattoria dove è obbligato a lavorare. Sembra uno psicopatico, è un gran chiacchierone, affabile, affetto da disturbi compulsivi legati perlopiù al gioco. Possiede quindi, per quest’ultimo motivo, una notevole attenzione e pazienza nel valutare cose, persone e situazioni. Si muove con cautela per poi maliziosamente attaccare la Capo Infermiera ottenendo piccole vittorie e guadagnandosi il rispetto degli altri pazienti che mettono così in discussione i metodi di cura della clinica. Proprio per questo motivo Bromden abbasserà la guardia con lui e lo scapestrato personaggio ne approfitterà per scoprire il suo segreto.

Inizierà una sorta di Guerra Fredda tra la donna e il protagonista principale che porterà inevitabilmente ad una tragedia.

Per capire meglio quest’opera dovremmo analizzarla contestualmente al periodo in cui è stata scritta. Si era proprio all’inizio delle battaglie per i diritti civili; tanto per fornire un esempio, la marcia di Martin Luther King su Washington e il relativo discorso che ne scaturì sono avvenimenti che accaddero l’anno dopo l’uscita del libro.

Kesey iniziò a scrivere il romanzo nel 1959. Sebbene McCarthy e la sua politica erano già decaduti, le questioni legate al conformismo e alla libera espressione erano ancora prevalenti e sono infatti trattate nel romanzo: i pazienti dell’ospedale, come in dittatura, sono incoraggiati a spiarsi l’un l’altro e a riferire a chi di dovere comportamenti anomali.

La psicologia e la neurologia, a causa della loro intrinseca complessità nell’essere indagate con strumentazione medica non all’avanguardia, ai tempi ancora non erano ben studiate ma dei dati iniziavano già ad emergere. Il libro di memorie del neurologo Oliver Sacks Awakenings per esempio, sebbene pubblicato nel 1973, riguardava principalmente ricerche degli anni ‘60.

Le questioni relative al trattamento degli umani istituzionalizzati sono incarnate nella parte centrale dello scritto. Il tutto rappresenta la metafora della vita all’interno di una società in gran parte conformista. Viene mostrata la grande capacità di coloro che detengono il potere di controllare e manipolare la maggioranza del popolo tanto da farli sentire impotenti e, alla fine, le persone comuni perdono anche la consapevolezza di essere assoggettate. Tutto ciò non è palesato nel film omonimo.

Cosa potrei scrivere per concludere questa recensione? Affermo che in alcuni paragrafi traspaiono machismo, razzismo e misoginia e ciò non mi aggrada, neppure quando le vittime di simili preconcetti e atteggiamenti sono i malvagi della situazione. Penso siano per nulla giustificabili simili scene anche alla luce del fatto che il libro è datato ed è figlio del suo tempo. Penso che McMurphy sia inizialmente un antieroe che, quando poi però attuerà le condizioni per cui il re apparirà a tutti nudo e avrà illuminato con la fiaccola della speranza l’animo dei negletti, diventerà a tutti gli effetti un eroe che ha provato a sacrificarsi per i diritti dei più deboli.

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