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02/04/2021

I racconti di Katherine Mansfield


Questa settimana Andrea Brattelli ci parla dei racconti della scrittrice neozelandese.
Si suol dire che per apprezzare scrittori russi come Čechov o Dostoevskij è imprescindibile aver provato “dolore” nella propria vita. La sofferenza ci aiuta a capire e quindi ci rende capaci di sviscerare tutti gli aspetti, le sfaccettature, di una immagine reale, seppur non viene messo in scena, dinanzi ai nostri occhi, nulla di particolare o originale. In sintesi questo è ciò che riesce ad evocare nella mente del lettore la Mansfield con i suoi brevi racconti: con la sua penna tratteggia interessanti, semplici e piacevoli aspetti della vita quotidiana conditi di un sano verismo.

La scrittrice neozelandese soffrì molto, anche a causa della tubercolosi che la condusse presto a “miglior vita”. Ispirata anche dallo scrittore russo Čechov, spronata dalla Woolf , iniziò a scrivere e pubblicare storie brevi.

La città ma, in modo particolare, la campagna vengono letteralmente dipinte come se Katherine avesse tra le mani un pennello, al posto di una stilografica, per dipingere ad acquerello. Le scene prendono vita e i personaggi brulicano immergendosi nel loro vivere quotidiano come nei quadri dei macchiaioli. La lettura dei suoi scritti infonde tranquillità ma vi è una sorta di apatia che impedisce all’atmosfera di farsi più frizzante, nonostante tra le pagine della raccolta sembra soffiare un vento primaverile che le anima.

Si nota palesemente come, durante la produzione, la mente della Mansfield vaghi a ritroso rimembrando gli orrori passati e ottenebrata dalla paura del presente: la scomparsa del fratello in guerra morto per dissanguamento, le ore passate in ospedale per curare la tubercolosi con rimedi all’epoca truci… Il cielo descritto nelle sue opere brevi è sempre coperto… Conclusioni di storie che non arrivano mai, come quando qualcuno interrompe il tuo lavoro di scrittore bruscamente, urlando che devi fuggire per evitare l’inferno…

La scrittrice quindi sembra ripiegare sulla leggerezza e non ha scritto storie complesse per essere poi migliorate a più riprese, dato che la sua salute precaria esige, durante la giornata, stili di vita che non contemplano il lusso della scrittura.
I discorsi dei personaggi sussurrano alle nostre orecchie, passando per gli occhi che leggono tra le righe e la nostra mente che metabolizza, passano quindi sì attraverso i nostri sensi ma sembrano sempre bisbigliati o giunti a noi come un racconto di chi è solito origliare dietro le porte auscultando il battito della quotidianità.

Sta a noi lettori capire che se la vita ha senso, questo fine non consiste e non coesiste con la felicità ma si deve far riferimento ad un qualcosa di più intelligente e grande.

Infine, per certi versi, Katherine Mansfield mi ricorda l’ermetica italiana Antonia Pozzi, con la sua prosa asciutta che conferisce peso alle immagini. La crisi di un’epoca si intreccia nelle loro tragedie personali che tracimano sommergendo la poetica stessa.

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