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06/08/2021

Armance di Stendhal

Andrea Brattelli torna a parlare di Stendhal (qui la sua recensione dei Ricordi di egotismo), stavolta con il suo primo romanzo Armance, pubblicato anonimo nel 1827 e tradotto in italiano per la prima volta un secolo dopo. In questo romanzo viene toccato un dramma interiore in un modo volutamente non esplicito.




Armance è il primo dei romanzi di Stendhal. Si svolge all’epoca della Restaurazione, sotto il regno di Luigi XVIII. Il protagonista è Octave, dotto ventenne di nobile famiglia parigina, affascinante e generoso.

Egli ha tuttavia un carattere lunatico: si confida molto con la madre, preoccupata perché suo figlio preferisce vivere in solitudine e invece col padre è molto riservato e lo contempla mentre è seduto su un divanetto, mentre l’anziano è intento a rimuginare sulle fortune economiche poste in pericolo dalla Restaurazione. 

In quest’era particolare e nei confronti della società in cui vive il nostro pargolo mostra a volte un evidente disgusto, in altre occasioni contrizione e bontà verso persone che frequentano i salotti parigini.

Un giorno incontra, proprio in questi luoghi, una sua cugina, Armance, che gli mostra sincera amicizia e ammirazione. Lei è una povera esule russa e dal momento in cui Octave eredita una ingente somma di denaro iniziano una serie di equivoci amorosi.

In primo piano vengono quindi posti questi due esseri umani singolari, superiori al loro ambiente, in disaccordo tra le loro aspirazioni e la loro posizione nella società.

L’amore che nasce tra questi due esseri è una lotta complicata in se stessa e resa tale per sovrappiù da certi intrighi e da certi eventi accidentali.

Questo conflitto viene studiato con una sagacia sorprendente. Di primo acchito i caratteri possono dare una sensazione di inverosimiglianza che poi si rivela apparente: di pagina in pagina, essi finiscono per mettersi in luce, per affermarsi, per imporsi.

L’impotenza di Octave proietta una luce particolare sull’opera e sulla dissociazione fra sentimento amoroso e appagamento dei sensi.

Il suo difetto organico contrasta con la sua forza passionale così come la sua intelligenza contrasta con i rigidi schemi della casta: Octave e il barone Charlus descritto da Marcel Proust sono la stessa persona; sono la fine di un tipo di razza in uno dei salotti di un regime al suo tramonto.

Per affinità di tematica, chiudo con un riferimento al Bell'Antonio di Vitaliano Brancati che ispirò il film omonimo del 1960 diretto da Mauro Bolognini, con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale.

Rispetto al romanzo (Brancati morì nel 1954, ma gli fu comunque attribuito il soggetto), la vicenda è spostata di una trentina d'anni, nella Catania dei primi anni sessanta. Le vicende del libro sono sintetizzate e talvolta omesse; inoltre viene sorvolata la critica antifascista presente nell'opera di Brancati e i fatti si svolgono più rapidamente. 

Il film utilizza il tema dell'impotenza sessuale come opposizione verso la mentalità che incarna nella virilità un valore assoluto o, più in generale, un dissenso verso una società che nasconde sotto il fanatismo politico e sessuale un vuoto profondo.

Un tema simile era quindi tabù nell'Ottocento e lo è altrettanto nella società dell'apparenza e del consumismo.

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