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27/08/2021

Le ricerche del professor Shogo Nagaoka

Questa settimana, Andrea Brattelli ricorda il terribile mese di agosto del 1945 e delle bombe atomiche che dilaniarono il Giappone. In particolare, Andrea ci porta a Hiroshima e parla di un geologo, il professor Shogo Nagaoka, che attraverso lo studio delle rocce indagò le manifestazioni radioattive dell'esplosione che colpì Hiroshima. A lui si deve l'apertura, nel 1949, della prima esposizione pubblica dei materiali residui dell'esplosione. Nel 1955 venne aperto un museo dedicato, l'Hiroshima Peace Memorial Museum con Shogo Nagaoka come primo direttore, con la collaborazione dei residenti di Hiroshima nella raccolta dei materiali. Il memoriale è stato più volte ampliato e rinnovato nel corso degli anni ed è ora Patrimonio dell'umanità UNESCO.


Shogo Nagaoka è stato il fondatore del Museo di Hiroshima in cui sono depositati oggetti e rocce di vario genere che si rovinarono o bruciarono del tutto o parzialmente dal momento in cui furono scaraventati dell'esplosione della bomba atomica lontano dalle abitazioni, estraniati per sempre dalla quotidianità, via dalle vite dei loro proprietari.

Dato il caos generato dalla violenta esplosione, considerata la novità sulla tipologia di attacco militare e l'inconsapevolezza delle persone in materia di nucleare, dovuta all'oscurantismo adottato dalle nazioni che lavoravano ai progetti atomici, i giapponesi erano allo sbando.

Il geologo Shogo Nagaoka, inviato il 7 agosto a Hiroshima, designato dal Direttivo di una Task Force per comprendere l'entità dei danni e le conseguenze di un attacco atomico, si accorse subito che tra le precauzioni da prendere vi era quella di iniziare a sfollare le persone via dalle zone contaminate, separandole dai loro oggetti radioattivi, impedendo loro di ingerire cibi e acque contaminate.

Lo scienziato infatti, sedendosi per riposare qualche minuto dal viaggio fino a Hiroshima, notò di non sentirsi bene. La pietra su cui si era adagiato presso il Santuario di Gakoku era diventata radioattiva.
Egli calcolò quindi l'ipocentro, ovvero la proiezione verticale, sulla superficie della Terra, del punto in cui era avvenuta la detonazione in atmosfera. Lo fece misurando le dimensioni del raggio di superficie nella quale delle persone investite dall'esplosione era rimasta solo polvere sul terreno. Il raggio era di due chilometri.*

Nelle rocce e pietre da costruzione, Shogo Nagaoka riscontrò concentrazioni specifiche di isotopi radioattivi di 226Ra, 232Th. Le concentrazioni di attività di 232Th, 226Ra e 40K nei campioni di tufo, riolite e quarzo selezionati variavano rispettivamente da 18 a 178, da 6 a 160 e da 556 a 1539 Bq kg-1. Fu riscontrato del cobalto-60 in pietre per affilare con forte presenza di zolfo (Enshou 烟硝 - traduzione "Gunpowder") e nei leganti di varie pietre per affilare (feldspati) e materiali da costruzione.

I suoi studi sulla radioattività servirono, come quelli compiuti da Rutherford, a determinare anche l'età delle rocce. Tutt'oggi si stima il tempo trascorso da quando queste subirono l'ultima trasformazione chimica. Si determinano le quantità relative di un isotopo radioattivo a lunga vita e del prodotto finale stabile nella catena di disintegrazione, che sono presenti in un campione. 

Un approccio più raffinato è fornito dal confronto tra il contenuto di elio nella roccia e la presenza di uranio nella stessa. In ciascuna disintegrazione alfa nella catena di decadimento si produce un nucleo di elio, e, se si è sicuri che l'elio non è sfuggito dall'interno della roccia, si può stimare quanti atomi di uranio si sono disintegrati da quando si è formata la roccia. Le rocce più antiche che compongono la crosta terrestre hanno circa 3x10^9 anni. Si tratta comunque di un limite inferiore dell'età della Terra, perché in passato la crosta ha subito molte mutazioni chimiche.

I giapponesi studiarono in questo modo anche le meteoriti, che hanno un'età di circa 4,6x10^9 anni. Esse si sono cristallizzate nello stesso periodo di tempo in cui si sono formati gli altri corpi del sistema solare.

Shogo Nagaoka si occupò anche dello studio di varie trinititi, ovvero dei residui vetrosi creati dalla fusione di silicio e feldspati saldati dal calore in seguito alla violenta esplosione della bomba. La sabbia risucchiata all'interno della palla di fuoco, durante la deflagrazione, si trasforma in vetro liquido, piove dall'alto verso il basso e una volta che ha toccato terra dopo un lasso di tempo ridiventa solida.* 

*Dalla sua analisi si può notare che la metà dell'energia si consumò nell'innescare una potentissima onda di pressione, un vento cinque volte più intenso di quello che si può originare in un violento uragano, che a velocità supersonica (oltre 1500 km/h) si allontanò dall'ipocentro (così è chiamato, usando una terminologia sismica, il punto sulla superficie terrestre collocato sulla verticale del punto dell'esplosione) spazzando via ogni cosa per circa due chilometri e lasciando il vuoto nella sua scia. 

L'impressionante velocità di questo vento caldissimo era ancora 1000 km/h a 500 metri dall'ipocentro, e 300 km/h a un chilometro e mezzo. Agli effetti distruttivi di questa onda d'urto diretta vennero poi a sommarsi quelli dovuti al ritorno dell'aria che, dopo lo svuotamento iniziale della zona, si precipitò indietro, rifluendo verso il centro dell'esplosione e abbattendo ciò che miracolosamente era rimasto ancora in piedi. Vennero in tal modo rasi al suolo 12 km2 della città e si stimò in circa l'80% il grado di distruzione delle costruzioni.

La seconda manifestazione dell'energia sviluppatasi nell'esplosione fu il calore. La temperatura più alta al suolo fu raggiunta proprio sotto il punto di esplosione, dove si stima abbia superato l'impressionante valore di 3900 gradi centigradi. L'enorme calore fu in grado di sciogliere le tegole in ceramica delle case entro un raggio di 500 metri dall'ipocentro. Gli abitanti di Hiroshima che si trovavano entro un raggio di 2 chilometri dal centro dell'esplosione ebbero i vestiti letteralmente bruciati dalla vampata.

Ma la componente più subdola (sia perché invisibile, sia perché quasi totalmente sconosciuta) fu il restante 15%, vale a dire l'energia racchiusa nelle radiazioni. Nell'esplosione, infatti, si originarono radiazioni Alfa, Beta, Gamma e di tipo neutronico, e se le componenti Alfa (nuclei di elio) e Beta (elettroni o positroni emessi dai nuclei radioattivi) vennero assorbite dall'aria e non raggiunsero il terreno, non così fu per le radiazioni Gamma (radiazione elettromagnetica) ed i neutroni, che seminarono tra la popolazione il loro carico di morte.

E se l'effetto dell'onda d'urto e del calore provocò in pochi istanti 70.000 vittime, ben 130.000 saranno coloro che, per anni e anni ancora dopo l'esplosione, moriranno tra atroci sofferenze a causa delle conseguenze delle radiazioni.

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