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Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

19/11/2021

Guerre che ho visto, di Gertrude Stein

Questa settimana Andrea Brattelli ci parla di un libro scritto tra il 1942 e il 1944, pubblicato l'anno seguente poco prima della morte dell'autrice. Gertrude Stein lo scrisse mentre, con la compagna Alice Toklas, era segregata in un borgo della Savoia occupato dai tedeschi. La lettura del testo non è immediata, in quanto unisce le caratteristiche del diario e dell'autobiografia a fatti di cronaca, ma rende bene l'atmosfera di confusione e di angoscia legata alla guerra. "Gli esseri umani sono così, finiti e infiniti, quando hanno la pace vogliono la guerra, e quando hanno la guerra vogliono la pace."

Il libro Guerre che ho visto, in maniera frammentaria, attraverso una storia biografica e i ricordi della scrittrice-protagonista ci porta a vivere un ritratto intimo della Seconda Guerra Mondiale nella Francia occupata dai nazisti.

Le sequenze sono incastonate l’una accanto all’altra, come in un mosaico di cui però non esiste un preciso disegno e le tessere possiamo ricomporle soltanto ascoltando chi alcune esperienze le ha vissute realmente.

L’opinione comune crea la trama del discorso. La protagonista vede quello che la gente comune osserva nelle strade e ascolta, registrando mentalmente, ciò che le persone dicono.

Il periodare dimesso, l’andamento semplice della frase, il flusso continuo delle conversazioni che confluiscono nei brani di riflessione creano un muro compatto, corposo.

La Stein ci rende cittadini operosi che cercano di vivere, peregrinando nella cittadina, con un po’ di verdura e frutta, poco pane e poco latte. Il desinare frugale lo dovremo condividere con la scrittrice e la sua amica e amante Alice Toklas perché non è abbastanza per tutti.

Le descrizioni di prigionieri e bombe sono stridentemente giustapposte a vignette quotidiane sulla vita quotidiana, e a considerazioni sulla guerra civile americana e dell'Inghilterra sotto Enrico VIII.
Ciò che rende questo tipo di scrittura così intricato è che l’autrice ci propina pensieri come cibo lanciato contro degli affamati che lo afferrano e lo divorano avidamente senza distinguere tra antipasto, primo, secondo e contorno: sembra che decidiamo noi su quali parti del romanzo soffermarci ma in realtà decide lei in preda all’eccitazione e alla paura per ciò che accadrà a causa dei tedeschi.

Questo è un sistema di rappresentazione che l’autrice definisce “pubblicità” nel senso più ampio del termine, ovverosia esternare ciò che è all’interno di noi stessi rendendolo pubblico, quindi fuori dalla dimensione strettamente privata; è questo ciò di cui si nutre e necessita l’attenzione, la curiosità, la fame.

Discute con la stessa intensità di cose private e catastrofi politiche come il padre di famiglia che, seduto con i congiunti intorno alla tavola, fa delle considerazioni sulla sua giornata lavorativa unendosi coralmente alla discussione con la moglie riguardo i figli che l’hanno fatta dannare, le camicie non ritirare in tintoria perché ancora né lavate né stirate ecc.

Gertrude lavora, spostando lo sguardo dove l’attenzione coglie la mutazione e il movimento, soppiantando la finzione del romanzo e del ricordo. La fotografia si contrappone al quadro.

La narratrice, quando si preoccupa del miele, dei suoi stivali e di altre questioni domestiche mentre pensa ai prigionieri su un treno, mostra esattamente cosa sta affrontando, perché i pensieri sui piccoli problemi quotidiani la distraggono dalla cruda realtà che imperversa ossessivamente tra le strade e nei meandri della sua mente. Bisogna trovare il modo di sopravvivere in tali situazioni organizzandosi giorno per giorno. Questa è la guerra. Il confronto di ciò che sta accadendo nel suo tempo con l'Inghilterra di Enrico VIII, di Shakespeare, è un accento originale sul suo approccio nel considerare la storia come se si ripetesse costantemente.

Questo in teoria. Ma se così fosse il gioco sarebbe troppo facile e poco divertente.

Tanto per cominciare, proprio considerando questi accostamenti della guerra alla tragedia di Shakespeare e al romanzo di James Fenimore Cooper, viene da chiedersi se questo scritto implicitamente sottolinei la sua diversità rispetto alla storia narrata e rivendichi una capacità realistica che non appartiene alla finzione del romanzo, ma se poi, allo stesso tempo, l’immagine della guerra che lo sguardo della Stein registra, si dilata, si sfoca in un disegno di che prodotto letterario si tratterà mai? Come lo potremmo inquadrare?

Guerre che ho visto è un po’ un diario, un autobiografia, un romanzo storico. Rappresenta l’opera della scrittrice che si misura con tutte le forme di scrittura precedenti in un contesto di avanguardia storica per liquidarle e, al contempo, riappropriarsene.

Questi molteplici filoni di tempo e prospettiva rendono questo libro una lettura obbligata per gli ammiratori di Stein e per coloro che sono interessati alla storia del Modernismo.


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