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11/03/2022

Morti di salute di T.C. Boyle

Questa volta, Andrea Brattelli ci conduce nel fantastico mondo del dottor Kellogg (proprio lui, quello dei cereali!) con il libro Morti di salute e i suoi personaggi bizzarri. Il libro di T.C. Boyle è stato pubblicato nel 1993 con il titolo The Road to Wellville e l'anno seguente è diventato un film di Alan Parker.



Nel corso della sua carriera di scrittore, T.C. Boyle ha sempre mostrato interesse nel ritrarre la generazione del dopoguerra; in realtà regge lo specchio nel quale i loro volti sorridono scioccamente perché non riescono a comprendere il mondo a cui appartengono.

La sensazione che scaturisce in me alla fine della lettura di un’opera del suddetto romanziere è semplice: partendo dal presupposto che nei suoi libri vi è sempre presente un personaggio che potremmo definire, in maniera molto elementare, cattivo e narcisista e che per questi va sempre a finire male, ciò mi provoca una piacevole soddisfazione. Non potrebbe essere altrimenti dato che lo stile del narratore è denso di un delizioso humor nero, esuberante nella ricercatezza del linguaggio tanto da suscitare ammirazione, avulso da facili moralismi.

Nel libro Morti di salute, lo scrittore sembra aver abiurato nei confronti dell’umanità e della sporcizia che crea e che si porta dietro, non solo metaforica. Il tema infatti è la “salute”.

È il 1907 e ai lettori viene proposta la biografia del medico John Harvey Kellogg di Battle Creek, Michigan, ovvero l’inventore dei corn flakes, il quale professa ed impartisce ai suoi adepti e pazienti lezioni su modelli di vita salutari e di cucina vegana (o quasi).

I suoi clienti erano tutte persone estremamente danarose: tra loro si annoveravano Henry Ford, Harvey Firestone, Thomas Edison, ecc.

Lo scopo di T.C. Boyle è analizzare, in questo scritto, con la stessa scientificità con cui il noto dottore studiava al microscopio i cibi, il meccanismo di convincimento che utilizzano alcune persone sulle altre per persuaderle e la fonte primaria di origine delle convinzioni in generale e la loro radicalizzazione.

Ogni religione infatti ha bisogno di uno scettico e,  nel nostro caso, uno dei protagonisti che tesserà la trama pagina dopo pagina sarà proprio un uomo dubbioso accompagnato dalla moglie, in cerca di salvezza per il suo intestino e per il suo matrimonio.

Il vero antagonista è invece il figlio adottivo di Kellogg, George, metafora dell’uomo mediocre, incapace di prendersi cura di se stesso e vittima di cattive abitudini alimentari. L'esistenza stessa di questo ragazzo mina le convinzioni del dottore dimostrando con quanta enfasi i suoi metodi affabili gli si possano ritorcere contro. George, però, non è semplicemente una vittima incompresa. Puzza davvero, commette davvero crimini, cerca davvero di distruggere il suo padre adottivo e il suo “santo santuario sanitario” per pura vendetta.

In un romanzo di Boyle sono presenti personaggi principali ma nessun vero eroe o eroina. Piuttosto ci troviamo dinanzi ad una moltitudine di comparse picaresche, di dickensiana memoria. Egli complica e confonde il gioco ponendo in maniera non convenzionale il bene contro il male e viceversa.

A dispetto del fatto che le persone che popolano questa storia non siano eroi nel vero senso della parola, l’ambientazione invece è consona all’argomento trattato.

Il lago dipinto restituisce all’alba e al tramonto la luce del sole ai verdi parchi semplicemente riflettendola, senza improvvise scintille incendiarie, infondendo un benessere moderato e ordinario; un venticello leggero spinge le onde a riva increspandone le argentee gobbe rendendo l’acqua di una salubrità invitante.

Il primitivismo è imperante. L’uomo è descritto come specie animale tra gli animali in competizione per risorse inevitabilmente limitate. La principale falsa promessa del dottor Kellogg è quella dell’auto miglioramento, del cambiamento volontario attraverso la ragione e la determinazione. Gli animali però non cambiano e, certe scene rappresentate, assomigliano a quelle che si possono vedere nel film 7 chili in 7 giorni. L’ istinto naturale perenne non può trascendere attraverso pulizia spuria e false affermazioni.

Da questo punto di vista il nostro inventore assume i connotati di uno scienziato pazzo dei fumetti. Egli cerca di sostituire un tipo di dipendenza con un’altra e queste tematiche lo scrittore le conosce bene, dato che ha abusato di alcool e droga fino ai 40 anni e rotti.

L’umorismo mordace a cui è avvezzo il romanziere ci stigmatizza a conigli: siamo troppi e la troppa vicinanza in un pianeta stretto ci farà morire di tularemia*. Forse non lo ameremo mai ma la sua prosa è una meraviglia, godibile dall’inizio alla fine, ricca di osservazioni astute, sottile musicalità.

La ripetitività all’interno della clinica regna sovrana: clisteri ed esercizi fisici tutti i giorni, sempre gli stessi, alla stessa ora, rendono i personaggi tutti uguali tra loro e, alla lunga, ciò annoia un po’. Per fortuna il film tratto da questo libro ci evita simili lungaggini.

Diciamo che a Boyle gli si perdona tutto, anche la lunghezza un po’ eccessiva di questa sua produzione, grazie al suo potere narrativo incentrato sul grottesco, alla sua capacità di descrivere una semplice passeggiata al chiar di luna in modo da farti gelare il sangue.

*la febbre dei conigli.

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