Big Sur è l’ultimo bacio sulla guancia che riceve dalla vita Jack Kerouac, l’ultimo saluto all’esplorazione, ai festeggiamenti, l’estremo baluardo alla sua vita fatta di eccessi. Come in un vortice ci troviamo a far scorrere dinanzi a noi tutta la sua vita ben documentata nelle sue altre produzioni; però, questa volta, i personaggi che l’hanno popolata, le destinazioni a cui è giunto, sono solo fonte di malessere.
Il falso antidoto a tutto ciò è l’alcool, dolce vino che brucia nel sangue. Quindi la paranoia prende il sopravvento, la disconnessione dalla realtà gli propone solo immagini sbiadite dell’ambiente che lo circonda, i vizi prendono il posto dell’ amore e dell’amicizia nella sua anima.
Situazioni elettrizzanti si tramutano presto in orrore e disperazione che lo seppelliscono.
Tutto ciò che l’autore guarda con i suoi occhi non ha più nulla di romantico e trascendentale come in On the Road, ad esempio. In realtà nella sua scrittura non si nota neppure una vena malinconica o tristezza; semplicemente il nostro Jack descrive in maniera asettica la natura che, nel momento in cui sta scrivendo questo romanzo, cerca di proteggerlo da incontri spiacevoli con parassiti che gli hanno succhiato via l’essenza per tutta la vita, compagni di dissolutezza.
Perché lo scrittore sembra così privo di idee? Perché non gioca più con le parole come in altri suoi romanzi? Ricordo che, anche quando descriveva il frangersi delle onde contro le rocce, scriveva metafore paragonandole al suo animo in fermento di una tragicità simile a quella presente nei testi di Edgar Allan Poe.
Le risposte a queste domande forse si nascondono dietro al fatto che egli ormai così come non si prende più la briga di cercare di cambiare ciò che lo circonda (ambienti, persone, situazioni) non stuzzica neppure più il nostro “appetito” con descrizioni poetiche ma riporta le cose così come sono. Giudica la sua esistenza inutile e può fare a meno di ciò che è stato in passato. La sua vita va in frantumi e specchiandosi nei frammenti Kerouac vede il suo volto emaciato in primo piano e, dietro, la gioia ormai appassita dei suoi successi letterari con cui non riesce a riconciliarsi.
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