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10/06/2022

L’imprevedibile viaggio di Harold Fry di Rachel Joyce

Poi non dite che Andrea Brattelli non è un tenerone! Stavolta ci parla di un libro dolce, dolcissimo (sdolcinato, secondo alcune recensioni), che narra la storia di un Forrest Gump inglese anzianotto. Romanzo d'esordio (del 2012) di Rachel Joyce, L’imprevedibile viaggio di Harold Fry ha vinto numerosi premi ed è stato tradotto in tutto il mondo: inevitabile che un successo tanto ampio abbia attirato le critiche di coloro che ci vedono una storia scontata e una scrittura superficiale.



Harold Fry è un signore di 65 anni in pensione da poco, con una moglie fissata per le pulizie e brontolona.

Le sue giornate vanno avanti per inerzia, ma presto scopriremo che questa monotonia sta per finire: il suo sopravvivere all’inedia si tramuterà in un viaggio che gli permetterà di guardarsi dentro e imparare tante lezioni dalle persone che incontrerà lungo il percorso.

Ricevuta infatti una lettera da una ex collega di lavoro, Queenie Hennessy, nella quale lei gli comunica di essere malata, il protagonista intraprende un pellegrinaggio a piedi per andarla a incontrare.

Non uso il termine “pellegrinaggio” a sproposito. Nel romanzo sono presenti infatti riferimenti biblici e a parabole; storie descritte in maniera sobria e semplice.

Ci ritroveremo quindi con un nuovo “Forrest Gump” che invece di correre cammina, trascinandosi dietro ammiratori e gente stupefatta a cui ha raccontato il perché di questa sua spedizione.

La solitudine lo costringe ad aprire la porta ai suoi demoni personali. Semplicemente camminare richiede un comportamento totalmente avulso dal suo carattere e gli conferisce la capacità di connettersi sia con la natura che con l'umanità. Trae la forza per andare avanti dalla nuova consapevolezza dell'intricata bellezza della natura.

Si denota poi una certa satira quando Harold verrà in seguito raggiunto da star del cinema che lo seguono ma non per portare realmente conforto ad una persona morente, bensì solo per farsi notare, in un' era in cui “apparire” è tutto.

Alcuni di questi personaggi secondari sono molto ben delineati e sembra che riusciamo a percepirli distintamente attraverso gli occhi e le orecchie del sessantacinquenne.

A volte il libro, con la sua struttura episodica e talvolta ripetitiva, rasenta la noia, ma la Joyce non edulcora i fatti.

La vicenda è intrisa di solitudine, si annoverano le piccole delusioni della vita e si definisce il grande peso che costituiscono problemi che ingrigiscono la vita reale degli adulti, sempre surclassati da impegni, troppi in quest’età moderna; gli ultimi capitoli sferrano al petto e allo stomaco del lettore un paio di colpi emotivi inaspettatamente violenti. Tutto questo è temperato da un senso di quieta celebrazione.

Il protagonista non capisce mai pienamente perché ha iniziato il suo viaggio e non riesce a contemplare tutti i motivi per cui sta camminando, sa solo che deve andare avanti. Una nota di speranza attraversa il racconto facendoci giungere lentamente, con piccoli dettagli, alla commozione finale. Durante il percorso troveremo momenti di connessione con una donna che si sveglierà da un sonno profondo, come congelata dal dolore, e poi capace di toccare nuovamente le persone e sentirne la vita scorrere tre le punte delle dita.

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