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05/08/2022

Bruce Chatwin, Che ci faccio qui? (What Am I Doing Here)

Inauguriamo quello che per tradizione è il periodo delle ferie estive con la recensione di Andrea Brattelli di What am I doing here, una miscellanea dei racconti di viaggio del grande Bruce Chatwin, l'ultimo libro pubblicato quando lo scrittore e viaggiatore era ancora in vita.



Bruce Chatwin è stato, fino a poco prima di morire, un ramingo che ha basato la sua intera vita sull’essenzialità, che gli permise di vagare per il mondo per decenni, libero da pesi e convenzioni.

Scrisse dei popoli nomadi e delle loro afflizioni durante i pellegrinaggi, con tenerezza, armato di una penna leggiadra come una piuma, fatiche che egli sapeva sopportare benissimo e con decoro grazie alla sua cultura: è troppo riduttivo infatti, ancor oggi, definire questo scrittore un “narratore di viaggi” che lo fa sembrare un giornalista di riviste a tema per vacanzieri e camperisti della domenica; egli era ovunque, prima con la mente e lo spirito, poi con il corpo; la sua casa... in ogni luogo.

La frontiera comune delle sue peregrinazioni erano mete improbabili ed esotiche dove poter incontrare persone eccentriche, sia che vivessero nei salotti curati parigini, sia che dormissero sotto un pergolato di stelle o in lande desolate e primitive.

What am I doing here è una raccolta, una miscellanea dei suoi racconti di viaggio, una reminiscenza dei suoi migliori scritti.

Come altre sue opere, anche questa è zeppa di persone che brulicano tra le pagine del diario e di fatti accattivanti e gli ambienti naturali sono descritti incantevolmente. Inoltre allo scrittore piace confondere un po’ realtà e finzione ed è quindi compito del lettore accertarsi della veridicità di alcuni fatti narrati, sovente imperscrutabili perché si è disorientati da una cronistoria priva di ordine cronologico. Ci si dovrebbe quindi soltanto divertire nel leggere questi racconti ponendosi la domanda: "Dovrei rimanere stupito per gli usi e costumi di un popolo aborigeno di cui sto ora apprendendo la cultura o per l’inventiva di Chatwin?"

Il narratore britannico sembra che preferisse intervistare le donne anziane, con i loro volti scavati come se fossero appena fatti riemergere a colpi di piccozza dalle rocce metamorfiche di un’area geografica di cui custodiscono la storia sin dalla notte dei tempi. Vecchie arzille, terrose, schiette e vibranti come la scrittrice Nadezda Mandel’stam, ad esempio.

L’unica pecca, se si può definire così, di questo scritto è che avrei voluto conoscere qualcosa in più sul modo di ragionare e di intendere dello scrittore. Provo invidia, nel senso buono, per costui che ha girato il mondo ed ha saputo accogliere dentro di sé l'"io" di ogni essere umano che ha incontrato, nel pieno rispetto della cultura altrui, vivendo intensamente fino alla morte, che quando è giunta si è trovata dinanzi un uomo con una forte dignità, eclettico conoscitore del pianeta Terra che ci ha fatto scoprire attraverso i suoi taccuini e le sue foto. Assorbiti dalle sue parole e facendo nostri i suoi pensieri torniamo da un viaggio più istruiti, ne usciamo come persone migliori.

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