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11/11/2022

Il tamburo di latta di Gunter Grass

Andrea Brattelli alle prese con Il tamburo di latta, capolavoro geniale e grottesco che attraverso un "uomo piccolo" racconta la grande tragedia nazista e lo fa in modo grottesco, a partire dalla scelta del manicomio. Dalle quattro gonne della nonna di Oskar al racconto dell'assalto al Palazzo delle Poste, Gunter Grass intreccia la denuncia sociale con la narrazione di una tragedia personale e familiare.



Prima di accingermi a recensire Il tamburo di latta, data la complessità del romanzo, propongo un elenco dei personaggi principali:

 Oskar (protagonista)

 Anna Bronski (nonna)

 Joseph Koljaiczek (nonno)

 Jan Bronski – cugino e amante di Anges Koljaiczek (madre di Oskar)

 Alfred Matzerath (padre di Oskar)

 Maria Truczinski (seconda moglie del padre e primo amore di Oskar)

 Kurt (fratellastro o, forse, figlio di Oskar – quest’ultima ipotesi è improbabile)

 Il Clown

 Roswitha Raguna (Nana)

 Sigismund Markus (proprietario di un negozio di giocattoli)

 Fajngold (mercante ebreo)


Quest’opera è la prima della trilogia di Danzica che comprende anche Gatto e topo e Anni di cani ed è ambientato nel suddetto distretto urbano durante la Seconda Guerra Mondiale (prima, durante e dopo di essa).

Come tutte le famiglie borghesi del periodo anche quella del protagonista Oskar Matzerath, che narra gli eventi in prima persona, sta subendo gli effetti nefasti del nazionalsocialismo e della guerra.

Il suddetto ragazzo, ormai trentenne, è in un sanatorio; ha le prospettive di vita di un bambino e si sente represso nel suo corpo adulto. Si rifiuta di crescere per protesta contro i tempi che corrono. Osserva intorno a se persone rese seguaci dal regime per pura ignoranza e vittime deluse dalle politiche economiche e sociali.

Quando sin dall’inizio del componimento si mostrano le abitudini della nonna, si descrive il suo odorare leggermente di rancido, si compie una demarcazione netta tra ciò che vi era prima, il sapore delle tradizioni e ciò che si staglia all’orizzonte: l’evoluzione secolare, il mondo agricolo e industriale, il tradizionale e il cosmopolita, il feudale e il postmoderno. Il quadro generale che viene dipinto e che scaturisce dalla mente malata del giovane è sostanzialmente grottesco; si avvicendano scene crudeli, talvolta disgustose miste a immagini poetiche. 

Egli non è un personaggio ben definito ma posso affermare con sicurezza che è una canaglia, che si dimostra in maniera sovente malvagio. Il suo infantilismo è un modo per manipolare le persone più adulte della sua famiglia e cela la sua ignavia. Per questo motivo viene ignorato, e il tamburo è il mezzo con cui prova ad affermare la sua esistenza scandendo a colpi di bacchetta i suoi cambiamenti di umore.

Con il suo strumento di latta, regalatogli al suo terzo compleanno, trasforma in ritmo i pensieri che gli balenano nel cervello e le scene che i suoi occhi scrutano. Cerca, con il frastuono, di far scappare le angosce e di richiamare a sé i buoni propositi: tutte le sue riflessioni, le congetture frutto di lunghe meditazioni ballano insieme, in quei momenti, in un valzer infernale.

Alcune scene risultano assurde perché partorite dalla mente di un malato psichiatrico: i periodi che le descrivono risultano prolissi, non si capiscono e la scorrevolezza della lettura quindi ne risente. Il fatto che Oskar parli in prima persona non aiuta date le peculiarità del personaggio; è difficile immedesimarsi in lui.

Il romanzo in realtà non si può neppure definire tale: è piuttosto un collage di storie diverse popolate da molti personaggi le cui vicende si snodano nell’arco di tempo su più livelli. Lasciate che la scrittura e la narrazione vi colgano, tenetevi stretto il foglietto con i nomi appuntati che vi ho segnalato all’inizio di questa mia recensione (non so bene se definirla così questa volta) e fregatevene, letteralmente, di tutte le comparse che si avvicenderanno; non dovete necessariamente ricordarvi tutto di loro, non sono essenziali nella comprensione delle dinamiche del racconto.

Allegorie e simbolismi suscitano stupore e penso che Gunter Grass abbia meritato il Nobel perché è riuscito molto bene nel mistificare il male, non per volontà politica ma per licenza poetica, per ammettere tramite un testo letterario le proprie colpe in un periodo che lo ha visto protagonista. Ciò che a volte leggendo ci suscita un sorriso seppur aspro o amaro in realtà dovrebbe provocarci un copioso lacrimare. Nel mondo di allora inconsapevoli persone auto referenziatisi illuminate erano chine nello scrutare da un ideale spioncino* le vicissitudini degli altri mentre un governo scellerato dietro di loro compiva delitti … il popolo non immaginerà che da quella fessura altri osserveranno altri esseri umani morire.

* Se leggerete il libro dopo questa mia recensione mi direte il perché dell’uso di questa metafora, in base a quale avvenimento descritto nell’opera l’ho scelta.

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