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Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

04/11/2022

Pet Sematary di Stephen King

Concludo questa prima settimana di novembre con un nuovo contributo di Andrea Brattelli che, pochi giorni dopo la Commemorazione dei Defunti, ci regala questa bella recensione di uno dei romanzi più profondi di Stephen King: Pet Sematary. Le analogie con il soggetto di Zeder di Pupi Avati (che però uscì negli stati Uniti solo nel 1984, mentre la prima edizione italiana del libro di King è del 1985) sono evidenti e il mistero che avvolge questa similitudine contribuisce a rendere ancora più affascinante l'idea di un terreno che ha la facoltà di far risorgere chi vi viene seppellito.



Talvolta il dolore causato dalla perdita di un famigliare può occupare gran parte della nostra esistenza. Le malattie possono annientare la mente e il fisico del malato tanto che, quando passa a miglior vita, per coloro che gli sono stati accanto ciò rappresenta un sollievo. Ma di coloro che rimangono vivi a contemplare le macerie del tempo impiegato nel cercare di salvare la persona amata cosa ne resta?

Le nostre anime e i nostri pensieri non è detto che in qualche modo sopravvivano all'esperienza della morte: potrebbero anche non farlo. La fede che cerca di spingerci nel vedere un futuro migliore e il ricordo di ciò che ci è capitato non sono la stessa cosa e cozzano addirittura.

Quando il protagonista della vicenda, il Dottor Louis Creed si trasferisce per lavoro dalla città di Chicago in una zona rurale del Maine insieme alla sua famiglia, non immagina che diventerà un novello Dr. Frankenstein. Egli è il personaggio con cui Stephen King si consuma, più che con gli altri, nello scavargli nell’animo, per fargli uscire fuori tutta la sua parte grottesca dato che, di scelte sbagliate, il nostro “eroe” ne compirà eccome...

La tranquillità della loro dimora in campagna è messa a dura prova dal rumore dei camion che sfrecciano sull’autostrada; enormi vagoni e cisterne su ruote che consumano asfalto, gomme, pazienza degli abitanti del luogo e vite di animali che riposano in un cimitero approntato alla meglio dai loro piccoli padroni (sbagliano anche a scrivere: Sematary invece di Cemetery) lì nei pressi, ma non per questo meno spettrale ed inquietante.

L’utilizzo dei bambini nei film e libri horror è un “tòpos” che funziona sempre. Qui ci verrà descritto un pargolo pallido il cui volto è solcato da venature nerofumo, le unghie non tagliate e i capelli appiccicati alla fronte; alla luce del sole appare per quello che è: malato, affamato e trascurato perché l’amore di un genitore non arriva, per quanto disperato sia, dove la morte lo ha condotto. Cosa si potrà mai fare per lui? Da dove iniziare?

Come l’autore ci fa abituare con parsimonia a tutto ciò che avverrà nella seconda parte del romanzo, descrivendo inizialmente luoghi, personaggi e tristi vicende famigliari passate (con l’utilizzo di flashback) che condizioneranno le scelte delle persone nel presente, anche io, nel mio piccolo, ho raccontato in poche righe la parte iniziale della trama per cercare di persuadere la mente di tutti coloro che ancora non hanno letto il libro e neppure visto il film del 1989 nel capire dove si andrà a parare.

Nella seconda parte dell’opera è il vicino di casa Jud a rubare la scena. Introdotto sin dall’inizio con un buon mix di formule base presenti in tutti gli horror, con ritmi e toni giusti, senza sbavature, egli è l’uomo del luogo, il locale per eccellenza, che filma tutto con i suoi occhi penetranti come una cinepresa che mostra a tutti noi, attraverso il filmato, quanto sia pericoloso avere una villa ed una famiglia con bambini piccoli vicino ad una strada trafficata dove non vige il rispetto per le regole... e non capiamo perché nessuno se ne accorga. Sarà questa disattenzione palese da parte del narratore l’unico difetto del romanzo?

Forse ci viene fatto notare tutto ciò perché propinarci dinanzi lo sguardo un insieme di cose sbagliate ci farà protendere istintivamente a pensare che sicuramente tante fatalità incorreranno durante lo svolgersi della vicenda e ci sarà dolore dove non lo vorremmo e una parte di noi, la più recondita, verrà colta dal panico.

Le storie che ci spaventano ci pongono degli insegnamenti su noi stessi. Forse non sempre questo genere di lezioni sono edificanti, ma penso che in questo caso lo siano; proviamo paura per le cose che ci stanno a cuore.

Probabilmente è sbagliato credere che ci possa essere un limite all'orrore che la mente umana può sperimentare. Al contrario sembra che, in talune occasioni, esponenzialmente l'oscurità cali sempre più in profondità: per quanto poco si voglia ammetterlo, l'esperienza umana tende, in molti modi, a sostenere l'idea che quando l'incubo diventa abbastanza cupo l'orrore genera orrore, un male casuale genera altri mali, spesso più deliberati, fino a quando finalmente l'oscurità sembra coprire tutto e ciò ci dona una sensazione di pace scaturita dal cervello stremato. La domanda più terrificante di tutte potrebbe essere questa: quanto stress la mente umana può sopportare e mantenere, tuttavia, ancora una sanità mentale inesorabilmente sveglia?

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