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24/02/2023

Il declino della violenza (The Better Angels of Our Nature), di Steven Pinker

Come anticipato, torna Andrea Brattelli con la recensione di un volume tanto controverso come Il declino della violenza. Perché quella che stiamo vivendo è probabilmente l'epoca più pacifica della storia (The Better Angels of Our Nature: Why Violence Has Declined) dello scienziato cognitivo Steven Pinker, che nel 2011 scrisse questo volume documentando come nel corso della storia la violenza sia diminuita nonostante l'opposta percezione a causa della comunicazione mediale.


Secondo l'Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (SIPRI), negli ultimi quindici anni le spese militari sono cresciute ogni anno e, mentre leggete questa mia umile recensione, si stanno combattendo circa venti guerre. Lungo tutto il XX secolo sono morte oltre 175 milioni di persone a causa di conflitti armati e altre otto milioni per atti di violenza di vario genere. Nonostante ciò lo psicologo di Harvard Steven Pinker sostiene nel suo saggio The better angels of our nature: why violence has declined che vi è stata una drastica riduzione della violenza nel mondo negli ultimi anni; il numero di vittime è in aumento ma anche quello delle nascite e la sopravvivenza nei primi anni di età dei nuovi nascituri è aumentata anche nelle zone più povere del globo: la situazione, quindi, non sarebbe poi così grave.

Se fino ad ora, a ragion veduta, avete pensato che io abbia snocciolato sin troppi numeri a scapito delle parole per arrivare ad analizzare la questione, aspettate che annoveri gli argomenti trattati in quest’opera di 800 pagine le quali possono sembrare tante (troppe) ma che in realtà sono ben poche affinché possano essere trattati approfonditamente temi così importanti; devo riconoscere che Steven Pinker ci è riuscito comunque molto bene.

Le domande che vengono poste (e che troveranno risposte, non sempre plausibili) sono, ad esempio, le seguenti.

Sussiste un legame tra il movimento per i diritti umani e la campagna per i diritti degli animali? Le tendenze aggressive sono ereditabili? Il declino della violenza in alcuni territori potrebbe essere attribuito al cambiamento genetico dovuto al mescolarsi con altre persone di altre nazionalità? In che modo l’intelligenza di un comandante è correlata al maggiore o minore numero di morti in battaglia e nelle guerre? Stiamo diventando più intelligenti? Un mondo più intelligente è un mondo migliore perché costituito da persone migliori?

Nel cercare risposte a questi quesiti dovremmo fare un tuffo nel passato, ristudiando la storia alla luce delle nuove scoperte scientifiche che ci vengono fornite per contestualizzare e analizzare meglio alcuni avvenimenti del secolo scorso. Dovremo attingere alla psicologia, alle scienze cognitive, all’economia e alla sociologia.

La tendenza a migliorare le tecnologie di supporto all’agricoltura, l’ascesa della democrazia e le leggi promulgate a favore dei diritti delle donne, degli omosessuali, dei bambini e degli animali hanno avuto la loro parte di merito nel ridurre la tortura, la schiavitù e le esecuzioni sommarie ed istituzionalizzate.

Lo studioso riconosce che la nostra esperienza immediata di persone comuni potrebbe smentire questi fatti; alcuni lo definirebbero un ciarlatano. Eppure la ricchezza di dati che egli presenta a noi lettori non può essere ignorata a meno che non si voglia considerare la matematica un’opinione; vero è che i numeri andrebbero contestualizzati, ma su questo ci torneremo più avanti, con una mia considerazione.

Il problema in questi casi è il processo psicologico che sta dietro al bias di conferma che talvolta, nel libro, rappresenta anche il tallone di Achille del professor Pinker. La gente presta, sostanzialmente, più attenzione ai fatti che corrispondono alle loro convinzioni invece che a quelli che vanno a minare le loro certezze.

In due lunghi capitoli lo scienziato descrive i processi psicologici che rendono noi umani, a seconda delle situazioni, bellicosi oppure pacifici. Il nostro lato oscuro è influenzato da un retaggio primitivo, da una propensione alla predazione e al dominio del territorio. Questo aspetto negativo del nostro animo è comunque mitigato, o dovrebbe esserlo, dall’autocontrollo che è frutto della nostra evoluzione e della nostra capacità innata di cooperare all’interno di una comunità.

L'evoluzione, sostanzialmente, ha modellato il design di base del nostro cervello e quindi le nostre facoltà cognitive ed emotive. Le circostanze, ovvero se siamo felici o meno di ciò che abbiamo e degli obiettivi raggiunti, unite agli input culturali, determinano le nostre azioni.

Tornando all’antichità, nel volume sono riportati dettagli espliciti ed inquietanti concernenti la condizione delle vittime causate dalle battaglie condotte dagli scimpanzé tra i loro simili, da tempo ritenuti, nel mondo animale, i nostri parenti più prossimi a livello genetico, coloro che forse assomigliano di più ai nostri antenati pur non potendo definirli umani.

Infatti quando gli archeologi scavano portando alla luce antiche tombe, scoprono anche che molte delle persone che giacciono in quei cimiteri sono state chiaramente assassinate, e che i loro scheletri riportano danni causati da morti violente. Lo scrittore quindi sfata completamente l'idea romantica che i nostri avi vivessero in armonia con la natura e tra loro. È una visione eccessivamente rosea del passato che si basa sulla nostra ignoranza: non comprendiamo i progressi che abbiamo raggiunto.

Abbiamo iniziato a smettere di assassinare persone per motivi che oggi definiremmo futili quando abbiamo cominciato a stabilirci in comunità agricole stabili, smettendo di migrare. Dopo l’Illuminismo le forme di governo dei vari paesi iniziarono a diventare meno repressive e, nei restanti due terzi di secolo dopo la Seconda Guerra Mondiale, molte nazioni hanno iniziato a promulgare leggi a favore dei diritti umani.

Riprendendo il caso degli scimpanzé infatti, ciò che Pinker non scrive ma che è stato già studiato, è che le loro comunità hanno iniziato ad espandersi negli anni in cui il clima favorevole ha favorito la crescita di vegetazione e alberi da frutto e, di conseguenza, vi è stata una maggiore quantità di cibo di cui saziarsi. La crescita di numero di individui all’interno dei loro primitivi villaggi ha fatto però esplodere gli episodi di aggressività per la contesa del territorio, degli approvvigionamenti e delle femmine.

Queste uccisioni ugandesi hanno scatenato, sui media internazionali, interpretazioni di “guerre civili primordiali”, ma il termine guerra è una terminologia antropomorfizzante su cui pesano le vicende storiche e culturali che hanno da sempre plasmato aggressività e vicende belliche nella specie umana, e l'ostilità fino all’uccisione tra scimpanzé, mai osservata nei decenni passati, porta a questioni concernenti l'interpretazione di "fare la guerra".

La guerra è la più importante costante della storia della nostra specie, senza la guerra vi sarebbe stagnazione, non ci sarebbe evoluzione, ecco perché l'idea fantasiosa di pace trova i limiti nella realtà e nelle dinamiche naturali che già sappiamo hanno bisogno di conflitto e lotta per evolversi e permettere la vitalità.

Il famoso psichiatra, etologo e premio Nobel Konrad Lorenz già nel 1963 con il suo discusso libro, L'aggressività. Il cosiddetto male, aveva già proposto una lettura evoluzionistica della guerra. Purtroppo in un periodo dove il politicamente corretto cresce con quotidianità queste nuove domande sono relegate, anche in ambito mediatico, ad essere ignorate, censurate o derise.

Tornando al discorso iniziale sui dati “opinabili”, sarebbe bene ricordare che i dati vanno contestualizzati. Essi infatti inseriti in un contesto assumono un preciso significato e si trasformano in informazioni. Le informazioni a loro volta, connesse una all’altra, ci danno conoscenze. I frame sono invece tutte le possibili interpretazioni delle conoscenze. Per essere più espliciti, sempre in riferimento a questo libro, lo scrittore pone sotto esame quasi sempre dei numeri relativi anziché i numeri assoluti nella valutazione della violenza umana. Ma perché dovremmo accontentarci solo di una diminuzione relativa? Secondo questa logica, quando raggiungeremo una popolazione mondiale di nove miliardi nel 2050, Pinker sarà plausibilmente soddisfatto se solo due milioni di persone saranno uccise in guerra quell'anno, sue testuali affermazioni.

Viviamo in un'epoca in cui tutte le regole vengono riscritte in modo molto veloce e in cui un manipolo di persone accecate da folli ideologie (quindi non stiamo menzionando interi eserciti) può causare ingenti danni con bombe nucleari “sporche”. Cosa accade quando si mettono armi di distruzione di massa nelle mani di persone moderne che per molti versi vivono ancora primitivamente, senza rispettare neppure le donne del loro stesso paese che hanno dato i natali ai loro stessi figli? Questo Pinker non lo scrive perché mancano dei dati che ci sarebbero stati se lo stesso scienziato non fosse stato egli stesso vittima del bias cognitivo che non gli ha reso facile la distinzione tra indagine qualitativa ed indagine quantitativa (i primitivi, ad esempio, erano soliti risolvere gli alterchi tra di loro con la clava ma secoli di uso di clave tra interi villaggi non hanno mai causato un numero di morti pari a quelli che ci potrebbero essere in una frazione di secondo a causa dell’uso di un’arma nucleare di piccole dimensioni da parte di pochi estremisti).

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