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La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

10/02/2023

La cripta dei Cappuccini di Joseph Roth

Questa settimana, Andrea Brattelli ha scelto Joseph Roth, scrittore nato nell'odierna Ucraina da genitori ebrei e conteso in morte dai cattolici. Il padre soffriva di problemi psichiatrici (così come ne soffrirà la moglie di Joseph, che perirà per mano dei nazisti), la madre morì di cancro ancora giovane. Nei suoi numerosi spostamenti, Roth manifestò tremenda gelosia per le compagne e morì a soli 44 anni per una malattia aggravata dall'alcolismo e dai continui problemi finanziari. Dal punto di vista delle opere, fu particolarmente segnato dalla morte dell'imperatore Francesco Giuseppe e viene ricordato come il cantore funebre dell'impero asburgico. Personalmente consiglio anche La leggenda del santo bevitore, pubblicato postumo.

«Voglio visitare il sarcofago del mio imperatore Francesco Giuseppe» risposi.
«Dio la benedica!» disse il frate, e fece sopra di me il segno della croce.
 


Il lamento di Roth per la perdita dell’impero austro-ungarico si traduce in una storia scritta su più livelli, a volte anche incoerente (non penso per esigenze o virtuosismi stilistici, piuttosto perché lo scrittore era un alcolizzato cronico). Si denota comunque bene il contrasto pre e post Prima Guerra Mondiale, del mondo deludente che il protagonista, Franz Trotta, si è lasciato alla spalle, non avendo più uno scopo per viverci, e quello in cui sta entrando, metaforicamente parlando. 

Incapsulato in un ideale di “nobiltà eroica” cerca di proiettarsi nel futuro ma scivolerà verso l’inevitabile. Egli è comunque più fortunato di altri, non ha perso tutto, qualcosa è riuscito a salvare ma comunque è rimasto inerme dinanzi al soccombere della società; cerca di arrabattarsi per ottenere una riconciliazione almeno momentanea con le persone che lo circondano e la quotidianità in generale. Non riuscirà a ribaltare la situazione e distribuirà amarezza da un paniere ancora caldo. Potremmo, noi lettori, biasimarlo, perché tutti sappiamo quanto siano stati deleteri per le persone gli anni tra le due guerre; non c’è tempo, in questi frangenti, di rivangare un passato svanito in una brezza primaverile come l’udito della madre del nostro personaggio principale.

A seguito di taluni cambiamenti c’è chi, come Francesco Ferdinando, riuscì a mandare suo figlio in Francia per proteggerlo, altri finirono in Siberia costretti ai lavori forzati...

A tal proposito, ho avuto il piacere di notare come Roth sia un maestro della modellazione delle scene in cui riesce a mostrare tutta l’acutezza dei personaggi protagonisti. Nella Marcia di Radetzky (che non è necessario leggere prima di questo romanzo) una sorta di inevitabilità a guisa di spirito guida accompagna le vicissitudini degli umani in preda a débâcle emotiva a causa della loro incapacità di adattarsi alla nuova realtà in netto contrasto con gli abitanti delle campagne, forgiati dalla vita rurale. In quest’opera invece è l’autore stesso che sistema come pedine le varie personalità e le lega come burattini ai fili del fato volta per volta.

In definitiva, a prescindere dai problemi di stesura che hanno minato la convincente trama di questo libro, posso affermare che La cripta dei Cappuccini sia simile al Grande Gatsby in quanto la storia e le persone che ne fanno parte sono una metafora onnicomprensiva di un mondo perduto e di sogni infranti.

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