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La cavale, di Albertine Sarrazin

Andrea Brattelli parla del secondo romanzo di Albertine Sarrazin , scrittrice morta nel 1967 a soli 29 anni dei quali ben 8 trascorsi in car...

10/03/2023

George Orwell, 1984

In questo periodo, sfruttando l'attenzione reazionaria riservata al politically correct - definizione (ab)usata per qualunque cosa, da sacrosante necessità di cambiamento sociale a opinioni personali bizzarre spacciate da scaltri giornalisti per tendenze dell'intera (sigh) "lobby woke" - alcuni autori sono soggetti a riscritture queste sì indecenti, che poco hanno a che fare con il politicamente corretto e tanto con strategie di marketing. Andrea Brattelli ha quindi deciso di rispolverare un grande classico del complotto: 1984 di George Orwell, che ci accompagna anche negli attuali venti di guerra.



Leggere 1984 sin dalle prime righe ci porterà a incupirci; è un romanzo che narra di un futuro distopico nel quale i comuni cittadini sono oppressi da una sorta di “super stato”. Di primo acchito potrebbe essere intesa come un’opera in cui si mostrano gli effetti di un cattivo uso reiterato della tecnologia che porterà ad una sorveglianza tecnologica indiscriminata di massa, in realtà è un libro in cui si rappresenta e si sviscerano tutti i lati negativi di un potere ed una politica dittatoriale e totalitaria.

Per capire meglio il perché Orwell abbia scelto di trattare certe tematiche dovremmo fare un “passo indietro”, come si suol dire e analizzare il contesto storico nel quale è stato concepito questo scritto. Pubblicato nel 1949, fu redatto all'indomani della Seconda Guerra Mondiale quando la cortina di ferro era scesa sull'Europa orientale e Stalin stava salendo al potere. Era anche un periodo in cui il comunismo si stava diffondendo a livello globale, agguantando in una morsa gran parte dell’ Asia. La minaccia di una guerra globale era plausibile, questa volta con la temibile prospettiva di un uso sconsiderato di armi nucleari.

I vetusti imperi europei erano crollati, il fulcro del potere occidentale si era spostato negli Stati Uniti e la Gran Bretagna doveva ancora sviluppare le proprie armi nucleari; la Seconda Guerra Mondiale l’aveva infatti sbattuta al tappeto, economicamente parlando.

Lo stesso George Orwell era un socialista disilluso. Profondamente impegnato nell'economia socialista, ma fortemente contrario al comunismo e alle sue tendenze totalitarie, detestava, in particolare, il comunismo in stile sovietico di stampo staliniano.

L'effetto di tutte queste ansie personali (Orwell), e problemi nazionali (Gran Bretagna e quasi tutto il resto del mondo) si ripercuotono sulla storia. Tuttavia, mentre le rivoluzioni socialiste sono il veicolo utilizzato per spiegare come è nata la struttura politica di 1984, i temi centrali della storia funzionerebbero ancora se si utilizzasse un esempio ideologico diverso, cioè il capitalismo oligarchico estremo.

È un libro sul potere politico che schiaccia la vita degli individui, quindi tutto ciò che rappresenta è assimilabile ad un meccanismo, con tanto di disegni tecnici e didascalie che illustrano come concentrare il potere politico nelle mani di pochi a spese di una popolazione a cui sono stati già tolti tutti i diritti. Il problema è l'incessante accumulo di potere fine a se stesso. La narrazione si svolge sotto il punto di vista di Winston Smith, un membro di basso livello del partito che lavora nel “Ministero della Verità”. I dettami di questa organizzazione sono riportati in calce proprio sopra l’ingresso del Ministero:

"La guerra è pace
La libertà è schiavitù
L'ignoranza è forza"


Il mondo di Winston è quello in cui non c'è verità oggettiva, solo "fatti" approvati dal partito. Questo futuro ha le sue fondamenta su un trono di menzogne e le chiappe dell’oppressione totalitaria sono ben salde su questa poltrona d’oro. La verità è solo la versione che meglio si adatta ad una o più diverse situazioni, di volta in volta.

Per fare un esempio, nel romanzo si fa riferimento a una guerra che da decenni è in corso tra tre “superstati”. Questi ultimi ogni tanto si alleano senza una ragione apparente ma la storia ufficiale riporta che le alleanze non ci sono mai state o non vi sono mai stati cambiamenti. Il protagonista allora inizia a dubitare dell'esistenza del conflitto e poiché non è mai stato visto, vissuto da nessun, potrebbe avere ragione. Egli comincia quindi a sospettare che la guerra potrebbe essere semplicemente un altro strumento di partito per mantenere l'unità sociale. Uniti contro un nemico comune.

La minaccia di una guerra globale contro due super stati rivali consente, in un certo lasso di tempo, di costringere i cittadini a tollerare attacchi sempre più pervasivi alle loro libertà individuali a sostegno dello sforzo bellico. Si insinuano in loro la paura di perdere la guerra e di essere schiavizzati da invasori stranieri. Solo la lealtà totale al partito potrà scongiurare questo destino.

Forse la vera paura che si insinua nella nostra mente a fine lettura di questo romanzo distopico è che il controllo completo di un'intera nazione sotto uno stato totalitario è perfettamente possibile. Se il mondo cadesse sotto il controllo di uno o anche più dittatori, il futuro potrebbe facilmente diventare un mondo contorto e crudele in cui ogni movimento, parola, respiro è scrutato da un potere onnipotente e onnipresente che nessuno potrà mai fermare o addirittura opporsi mettendo in pericolo la propria vita.

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