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19/05/2023

Gli extraterrestri, di Clifford Simak

Clifford D. Simak (1904-1988) è stato uno scrittore statunitense prolifico. In Italia sono stati pubblicati parecchi dei suoi romanzi e racconti, tanto che in base al Catalogo Vegetti della letteratura fantastica il suo City del 1952 ha avuto ben 38 edizioni, con titoli diversi. Simak ha vinto due premi prestigiosi nel suo genere: nel 1976 il The Grand Master Award e nel 1987 il riconoscimento Horror Writers Association Life Achievement. Andrea Brattelli ci parla della raccolta Gli extraterrestri e ci spiega perché dovremmo leggere Simak. Chiude la recensione una curiosità su Tadanori Yokoo.


Clifford Simak era sia un giornalista che uno scrittore di romanzi e racconti di fantascienza. Le sue storie sono spesso ambientate nel Middle West americano, in particolare nello stato del Wisconsin, costituito ai suoi tempi per lo più da cittadine e fattorie a conduzione famigliare; nel percorrere il cammino tra un punto abitato e un altro si potevano incrociare laghetti tersi, corsi d’acqua limpidi e prati in fiore ove, come in un agguato, potevano spuntare in momenti inopportuni animaletti sì teneri, ma che potevano incutere spavento facendo capolino da qualche tana all’improvviso. L’approccio dello scrittore americano nel narrare è pressoché questo per suscitare stupore e meraviglia nei lettori.

Porgo inizialmente all’attenzione di tutti una rapida digressione sulla nascita del racconto breve di stampo “Sci-Fi” (Science Fiction). Tra il 1930 e gli anni '80 la proliferazione di riviste di fantascienza e l’interesse suscitato da questi temi era tale per cui uno scrittore, seppur pagato poco o nulla per pubblicare, cercava di porsi all’attenzione del pubblico anche solo con una rubrica all’interno di esse per poi suscitare interesse verso qualcosa di più importante a cui da anni stava lavorando come, ad esempio, un libro o una sceneggiatura per un film. 

In realtà la fatica richiesta non era molta. Infatti Bradbury o Pynchon, per esempio, molto famosi, ambientavano le loro storielle in contesti simili e con tematiche medesime a quelle già palesate in precedenza in Martian Chronichles o The illustrated Man ecc. nel caso del primo o in V. e nell'Arcobaleno della gravità nel caso del secondo.

Simak invece lo potremmo paragonare più verosimilmente a Sherwood Anderson: entrambi giornalisti, preferivano scrivere testi di cinquanta pagine al massimo, come se stessero raccontando un fatto di cronaca. In caso contrario, non sarebbero stati capaci di intrattenere un appassionato del genere che si sarebbe, altresì, annoiato. In questo modo lo scrittore americano riesce a partorire vicende con un finale convincente pur rimanendo nel settore fantasy o fantascientifico.

Ciò che stupisce nella raccolta Extraterrestri edita da Bompiani in esame è come il comune, l'ordinario, prepari sempre il palcoscenico a qualcosa di particolare, rappresenti il preludio di un evento straordinario ed eccitante. È un metodo collaudato di narrazione questo, per portare il lettore gradualmente da una zona di comfort a lui più congeniale, mentre lo si culla, per poi sbalzarlo via scaraventandolo in un altro mondo.

In poche pagine si combinano alcuni temi familiari agli scrittori di fantascienza degli anni '50 e '60 con una visione personale e curiosamente pastorale dell’autore. Per questo motivo, se desiderate un racconto con una descrizione del paesaggio non eccessivamente distopica, cyber potenziata ma comunque approfondita, mi permetto di consigliarvi la lettura di Simak: avrete, alla fine, passato una giornata spensierata e avrete un approccio diverso nel rapportarvi con la realtà nel vostro futuro, un altro punto di vista, vedrete l’avvenire sotto una luce diversa.

P.S. Nell’edizione Bompiani che ho io in copertina vi è rappresentata una locandina Tadanori Yokoo. La tecnica di questo artista giapponese si può inquadrare in una espressione religiosa ed ermetica fortemente colorata e contaminata con la sua personalità popolare, consumistica e politica con le quali concepisce un particolare design, contribuendo così a perpetuare lo scisma tra quest’ultimo e l’arte.

I poster di Yokoo durante gli anni '60 enfatizzavano elementi indigeni, pre-modernisti e kitsch presenti nei gusti libidinosi delle masse giapponesi e sorprendevano coloro che erano abituati ad architetture moderniste e razionali.

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