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11/08/2023

Il re della pioggia, di Saul Bellow

Andrea Brattelli alle prese con Il re della pioggia del 1959, un divertente libro di Saul Bellow che fu immediatamente pubblicato anche in Italia nella traduzione di Luciano Bianciardi.

"Un uomo può fare molte cose strane, ma fin quando non ha una teoria in proposito, noi lo perdoniamo. Se invece dietro le sue azioni c'è una teoria, tutti gli danno addosso."

Nel film L’ora più buia, durante la scena di un pranzo re Giorgio VI (Ben Mendelsohn) chiede a Winston Churchill (interpretato magistralmente da Gary Oldman): "Una bottiglia di champagne a pranzo ed una a cena, come fa?" E Churchill risponde: "Abitudine!"

Il protagonista del romanzo di Saul Bellow Il re della pioggia, Eugene Henderson, è anch’egli così: un multimilionario, spavaldo clown per natura, alcolizzato tanto da essere già ubriaco prima di pranzo. Le sue follie lo portano però, ad un tratto, ad un cambio di rotta e così, all’età di 55 anni, intraprende un viaggio in Africa. Il racconto di questo pellegrinaggio non ha nulla di omerico. Per noi lettori rappresenterà per sempre l’anti-poesia narrata dalla voce gergale del protagonista che farà da “io narrante” alle sue vicissitudini, nelle quali la vera eroina sarà solo la sua sfacciataggine.

Annoiato e infelice, questo ricco possidente allevatore di suini dall’indole rude, lunatico e tiranno spezza la monotonia delle sue giornate suonando il violino. Le sue ossessioni cerca di sfiancarle col duro lavoro fisico nella sua tenuta a Danbury (è un omone molto forte); nulla però può lenire il suo “tedio vitae” e la sua agonia generale a cui il suo spirito è in preda. Questi aspetti di codesto signore vengono posti in risalto più volte dallo scrittore, in maniera minuziosa nonché prolissa ed esasperante.

Definirei questo libro una prosa scaturita da una triplice sorgente. Tre sono infatti le fondamenta sulle quali si erge tutta la trama del romanzo. La commedia grottesca che non ha nulla di comico; l’avventura in Africa, continente messo in luce volutamente sotto una luce distorta, descritto con nessuna attinenza alla realtà, dove ci si aspetta, pagina dopo pagina, di incontrare Tarzan con il suo fedele Waziri; la ricerca dei “grandi principi della vita” che porteranno (dovrebbero condurre) a una pace spirituale, la felicità e il sentirsi più vicini a Dio in qualità di suoi figli prediletti. Tutti e tre questi elementi sono amalgamati sapientemente nel racconto. Henderson vaga per l’Africa lamentandosi dei suoi peccati, compiendo prodezze tanto da essere acclamato da una tribù primitiva “Sacro Re della Pioggia”. 

Il suo personaggio ricorda Don Chisciotte o il capitano Achab, se non per il suo coraggio, almeno per la sua indole ribelle contro il materialismo moderno contro il quale urla a gran voce nel deserto frasi di scherno per amore della Natura più che per affetto verso gli esseri umani. Intanto che le sue parole vengono scandite dal suono di tamburi, i colori di una nazione completamente diversa dalla nostra ci entrano dentro, e li lasciamo passare attraverso l’anima come se fossimo sdraiati sulla pelle di strumenti a percussione e nel nostro cuore e cervello rimbombasse solo il suono di casse di legno percosse da bastoni. Ad un tratto ci svegliamo e con gli occhi sbarrati guardiamo la luna gialla, immersa in una foresta resa blu dalla notte. Le stelle girano calme. Se ci alziamo e poggiamo l’orecchio a terra possiamo udire lo scalpitio degli zoccoli di zebra che si muovono in gruppo.

Nessuno vorrebbe criticare una lezione sulla redenzione ricca di simbolismi come questa. Molti lettori probabilmente concluderanno che Bellow ha cercato di trasmetterla in maniera un po’ impacciata. Egli non ha mai avuto un background africano, non c’è mai stato lì ma, con fare melodrammatico, tende a suggerirci che le fiabe con morale non sono realistiche per definizione eppure Esopo riusciva ugualmente a trasmettere buoni esempi ed ottimi principi. 

Lo scrittore statunitense però non è capace, in un certo senso, rispetto al greco, nel porre sul giusto piano e con equilibrio allegoria e fantasia. Henderson stesso sembra un wrestler che reprime il suo ego e la sua spavalderia sì con umiltà, ma che, alla fine, nonostante abbia cercato di acculturarsi, di studiare arte, letteratura e storia rimane un contenitore pieno di nozioni che potremmo tranquillamente apprendere in vecchi manuali polverosi stantii su scaffali polverosi di una biblioteca di una qualsiasi cittadina, scevri dai resoconti delle ultime scoperte. In definitiva, un bellimbusto qualsiasi alle prese con i provini del primo film su Tarzan del 1932, dai quali però poi viene scartato perché la sua parte andrà a Johnny Weissmuller.

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