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08/09/2023

Fame, di Knut Hamsun

Questa settimana ho chiesto ad Andrea Brattelli di leggere Fame, che ho "scoperto" grazie a Raiplay (qui trovate la lettura Ad alta voce). La recensione contiene le riflessioni di Andrea, che ne sottolinea la rilevanza: se pensiamo che è stato pubblicato nel 1890, lo troveremo ancora più sorprendente. Il malessere derivato da una società realmente malata e le oscillazioni del protagonista tra verità e bugie anticipano anche, in parte, un altro romanzo modernissimo: La coscienza di Zeno.


Knut Hamsun è stato uno scrittore premio Nobel per la letteratura la cui opera di ricerca nell’ambito dell’ esistenzialismo precede, ma può essere accostata, a quella di Kafka (Il processo) e di Albert Camus (Lo straniero). Nel romanzo in questione intitolato Fame si sviscera la vita quotidiana di un uomo solo e disperato in una grande città. Il narratore non possiede un nome, è uno scrittore freelance che ha solo una "ambizione", uno scopo nella sua vita: non morire di fame, appunto! È uno stacanovista, non esigente, ma accetterebbe di buon grado del cibo e un riparo per la notte come compenso per i suoi innumerevoli sforzi. 

Quanto scritto da me sino ad ora, poco o nulla in verità, ci impone subito alcune riflessioni: le sue fatiche sono tutte necessarie? Non potrebbero essere partorite dalle sue ansie oppure, il nostro protagonista non sarebbe meno piegato dalla fatica se invece di combattere i suoi pensieri intrusivi e ossessivi che lo divorano come un cancro potesse impegnare il suo tempo a migliorare le sue qualità e competenze e quindi il suo lavoro di scrittore che si fonda sulla creatività? Hamsun esplora quindi i traumi mentali e fisici del personaggio in un'opera magistrale che ha ispirato alcuni dei più grandi autori di narrativa filosofica del XX secolo, sottolineando nel suo lavoro che la lotta per sopravvivere in una metropoli può assumere le sembianze della follia più totale nella sua forma più pura.

Il protagonista cammina per la città di Oslo, redigendo articoli nei parchi, sperando che vengano pubblicati in modo da avere i soldi per comprare cibo e pagare l'affitto, con il quale è sempre in ritardo. La sua vita è scandita meccanicamente ogni ora, minuziosamente, poiché deve sempre preoccuparsi di avere del cibo da mettere sotto i denti durante le fredde giornate. Profondamente introspettiva, quest’opera è molto stimolante poiché seguiamo ogni pensiero e sentimento dell’io narrante sempre più disperato mentre il suo umore cambia: passa dall'essere speranzoso all'essere senza speranza numerose volte durante il giorno. Ciò fa sì che le persone a volte lo aiutino, altre volte no, come se si sentissero attratte o meno dalla sua personalità schizofrenica. Attraverso i suoi occhi possiamo vedere la città di Christiania e la capire la sua organizzazione sociale mano a mano che camminando elaboriamo le immagini... Il quadro che ne emerge è relativamente desolante.

La Fame stessa è da considerare una coprotagonista della storia e viene citata molte volte. Questo è più che comprensibile dal momento che essa non è mai lontana dai pensieri immediati del nostro giornalista: "Se solo uno avesse un boccone da mangiare in una giornata così limpida!", egli grida disperato. Alcuni potrebbero trovare la narrazione leggermente ripetitiva, ma questo è esattamente il punto del libro: il narratore è intrappolato in un circolo vizioso di bisogno e disagio fisico e mentale, e ci viene palesato che questa sensazione perdurerà e che nessuna richiesta continua ed ossessiva farà sì che qualcosa cambi.

Come Meursault in The Stranger, il narratore in Hunger a volte rifiuta di fingere o di essere qualcuno che non è, anche allo scopo di salvare la propria pelle. Egli ha i suoi principi e le sue convinzioni innate, la sua identità, una bussola morale, e non vuole fare nulla che possa compromettere il suo io interiore o i suoi principi di vita. Scorrendo nella lettura notiamo infatti che il protagonista dice ad un certo punto: "la consapevolezza di essere onesto mi è venuta in testa, riempiendomi della gloriosa sensazione di essere un uomo di carattere, un faro bianco in mezzo a un mare umano torbido con relitti galleggianti ovunque". Questo potrebbe essere il suo più grande "fallimento", poiché la società in cui vive si preoccupa delle apparenze ed è basata sulla menzogna che spesso portano a maggiori benefici. Il nostro scrittore a volte è impulsivo nel suo comportamento e dirà "piccole bugie" per confondere qualcuno o per attirare l'attenzione di altri, ma la sua condizione pietosa non cambierà ugualmente, né quando si comporterà bene, né quando avrà comportamenti secondo il suo metro di giudizio disdicevoli. Tutto ciò si tradurrà in una romantica rovina.

Anche Knut Hamsun sembra snobbare la sua stessa creatura letteraria. Il Premio Nobel si comporta come Leopardi; al pari della Natura Matrigna, la Società e l'intero Universo sono silenziosi e inesorabili. Le strutture e le barriere sociali sono lì per paralizzare lo spirito umano, così come tutti i principi morali e le credenze individuali riguardanti la giustizia, portano a situazioni paradossali che poco hanno a che vedere con la salvaguardia del benessere comune.

In definitiva possiamo affermare che con quest’opera esistenziale si vogliono mettere in scena i risultati di un esperimento sociale in cui si è riusciti a dimostrare che un essere umano soccombe facilmente, nonostante la sua istruzione, se viene privato di ciò che gli è assolutamente necessario per vivere. Quindi l’uomo dirà addio al suo orgoglio, ai suoi principi morali, alla sua stessa essenza e convinzione interiore pur sopravvivere fisicamente. Logico è che questo teorema per essere definito tale deve avere postulati e assiomi ben definiti in un ambiente circoscritto e ben contestualizzato. In tutti i modi, si muore o "spiritualmente" o “fisicamente” – non in entrambe le maniere simultaneamente.

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