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15/09/2023

L’ultima spiaggia, di Nevil Shute

Andrea Brattelli ci parla di un romanzo di fantascienza postapocalittica del 1957 dal quale sono stati tratti due film: L'ultima spiaggia di Nevil Shute, pubblicato nel 1957 in piena guerra fredda. L'autore (che era stato ingegnere aeronautico e militare durante i due conflitti mondiali) immagina una terza guerra planetaria provocata da potenze atomiche considerate minoritarie...

Sovente trovo peculiari le traduzioni dei titoli (e talvolta anche di interi testi) dei libri nel passaggio dalla lingua inglese all’italiano. Questa volta no, anzi. L’opera dell’ingegnere Nevil Shute intitolata L’ultima spiaggia nella nostra lingua, in quella originale reca il titolo On the beach. Mi viene quindi da sorridere pensando al fatto che, quando pubblicarono questo romanzo, nel 1957, le persone comprandolo pensassero di leggere una storia su un gruppo di surfisti la cui pelle veniva baciata dal sole mentre praticavano il loro sport preferito tra le onde dell’oceano californiano. Tutto ciò a patto che questo romanzo, ai tempi, non fosse stato acquistato anche da un veterano della Royal Navy. Per la marina militare britannica infatti in gergo On the Beach sta ad indicare “ritirato dal servizio” e quindi si poteva intendere che ci si sarebbe approcciati ad una diversa lettura rispetto a quella preventivata.

Il racconto invece narra di un olocausto nucleare e di come il popolo di Melbourne si sia rassegnato a morire a causa delle radiazioni insieme a tutta le gente del pianeta.

L’antefatto di questa storia risiede nell’esperienza dello scrittore in qualità di tenente dell’esercito. Durante la Seconda Guerra Mondiale egli costruì insieme al reparto ingegneristico militare inglese una potente arma da usare sulle coste nemiche denominata "Panjandrum" (una specie di piattaforma lancia missili e razzi) talmente potente da risultare pericolosa non solo per il nemico ma anche per coloro che la utilizzavano in battaglia. Fu così che, per fortuna, non fu mai adoperata.

Questo libro rappresenta una metafora sull’inadeguatezza australiana anni '50 e delle paranoie del suo popolo. L’autore infatti sosteneva che durante la Seconda Guerra Mondiale l’esercito suddetto nell’affrontare la Germania nazista si fosse relegato su fronti sussidiari nonostante le più recenti ricostruzioni storiche sconfessino queste sue teorie: l’esercito australiano svolse un ruolo chiave nelle battaglie del Pacifico.

Secondo quanto scritto in questo romanzo, l’Australia non riuscì a sfruttare appieno gli importanti cambiamenti che sul piano economico e industriale avrebbero potuto migliorare il benessere dei cittadini e che, anzi, hanno invece contribuito ad alimentare le loro ansie e paure.

A impersonare queste idiosincrasie della gente l’autore utilizza quindi, per rimanere ancorato alle vicende storiche del suo passato, protagonisti provenienti dal mondo militare; gli ufficiali Peter Holmes e John Osbourne, rispettivamente della Marina e della ricerca scientifica, il capitano Dwight Towes del sottomarino USS Scorpion. A controbilanciare gli effetti di tutto questo testosterone vi è la figura di una donna, Moira Davidson. Ognuno di loro dimostra di avere il proprio modo di affrontare le avversità fisiche, mentali ed emotive dovute alla consapevolezza della fine che incombe. Tutte le loro interazioni, emozioni, i loro pensieri costituiscono la struttura centrale dell’opera.

Mi vorrei soffermare sulla figura Moira di cui Dwight si innamora. Retoricamente per l’uomo lei può essere intesa come un porto sicuro dopo che egli ha perso (forse) tutti i suoi familiari; attracco inoppugnabile come quello in cui accede con il suo sommergibile in seguito ad un viaggio lungo tanto quanto quello di Ulisse.

Scritto sotto l’incombente minaccia della Guerra Fredda, L’ultima spiaggia mostra le reazioni alla catastrofe da parte della razza umana che sono senza tempo. Le azioni e la psicologia dei personaggi sono ben delineati e sembra che vengano guidati dalla voce dell’autore; uno stratagemma classico, che funziona sempre, ma che risulta un po’ obsoleto ai giorni nostri.

La singolarità di quest’opera è che non vi sono descritti i disordini sociali dovuti a questa drammatica circostanza: il caos è, letteralmente, tenuto fuori dalle scene. L’unica scelta, di carattere esclusivamente edonistico, rilevante in tal senso è quella relativa alla serata di festa che impazza in una delle vie principali di Melbourne, durante la quale la gente canta, balla sotto l’effetto dell’alcool. Per una volta Nevil Shute è riuscito a far diventare la città emblema di qualcosa nel mondo, anche se tutto il resto non c’è più... E in tutto ciò si coglie una sottile (superflua) ironia.

Ricordate la poesia di T. S. Eliot nella quale, alla fine, si afferma che quando l’umanità si estinguerà non si avvertirà un boato bensì un lamento*? Bene, sembra che anche Nevil Shute creda fermamente in questo. I personaggi continuano a vivere le loro esistenze, i chirurghi a operare negli ospedali persone destinate comunque a morire presto e, tra giornali svolazzanti, con il sibilo nelle orecchie del vento che fischia insinuandosi tra le strade vuote c’è chi guarda attonito nel palmo della sua mano pillole di cianuro della Chemist Warehouse**.

Passando attraverso le cinque fasi del dolore (diniego, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione) con gratitudine molti accettano di non poter raggiungere tutti gli obiettivi che si erano prospettati durante la loro esistenza, ma continuano a fare tutto ciò che è necessario per tutto il tempo possibile fino a quando di loro non rimarrà che una scatola vuota fatta di tessuti umani.

In questa “guida educata all’apocalisse” una cosa mi ha davvero sorpreso: l’autore afferma che la guerra nucleare era iniziata in Albania. Nevil Shute era già a conoscenza del fatto che Enver Hoxha in quegli anni ospitava nelle sue acque sommergibili nucleari russi o è solo una coincidenza?

*Gli uomini vuoti (The Hollow Men), 1925

**Nel film omonimo queste scene sono state girate la domenica mattina, molto presto e in estate, quando in giro non vi era praticamente nessuno; scelte opportune attuate anche nel film Occhi bianchi sul pianeta Terra.

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